Se si fosse costretti a scegliere una sola parola per definire i catanesi Helen Burns, quella parola sarebbe pioggia. Pioggia caleiodoscopio delle emozioni più disparate, che la band - formata da Domenico alla voce, Sebastiano alla chitarra, Edoardo al basso e Salvo alla batteria – suscita nell’ascoltatore, dalla gioia per la fine di una lunga siccità al lato cupo dell’io che emerge ogni volta che il cielo si riempie di gonfie nuvole nere. Di questa materia sono fatte le canzoni degli Helen Burns, band catanese con il post punk e certo rock di matrice inglese nel sangue. Il loro esordio discografico, “The Rain Caller”, pubblicato a fine 2024, è un album saturo di colori nascosti dalla pioggia. Le sonorità non si riallacciano di certo alla musica italiana e i brani procedono piuttosto per suggestioni, flash musicali che arrivano, nella conclusiva “Raincaller”, ad abbracciare persino gli Underworld di Born Slippy. Il cantato dell’apertura “Always ends well” riporta alla mente i Joy Division, band seminale che emerge come tratto distintivo di tutto l’album.
Ma non mancano influenze stoner e alternative anche da Oltreoceano. Ciò che rende speciale una band così aliena rispetto al panorama nazionale è il senso di famiglia che si respira tra i membri del gruppo. L’album è infatti stato composto in un casolare del catanese, in un ambiente ideale nel suo isolamento per partorire The Rain Caller. Tra i pezzi dell’album che più colpiscono al primo impatto si colloca sicuramente “Combat girl”, con il cantato ipnotico e rabbioso di Domenico. Altro pezzo forte è “Mina” con quegli effetti di chitarra che creano come dei loop mentali nell’ascoltatore. Complessivamente quel che più colpisce di questo primo lavoro è la sicurezza nei propri mezzi che la band mostra. Attendiamo un seguito, convinti che, con una partenza così, non si possa che crescere.
Recensione a cura di Luca Stra
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