lunedì 13 marzo 2023

"LE OMBRE DELLE NOSTRE PAURE" - PIERALBERTO VALLI RACCONTA "IL NODO" - INTERVISTA DI MAURIZIO CASTAGNA


Un romanzo figlio del tempo e non solo di questi ultimi due anni di "libertà vigilata". Una realtà distopica ma solo fino a un certo punto. "Un viaggio iniziatico teso alla scoperta dell'ignoto, delle proprie radici archetipiche, della poesia, di sensazioni sedate, del dolore. Un viaggio per la riaffermazione della libertà". Abbiamo incontrato Pieralberto Valli, musicista noto anche per il progetto Santo Barbaro, e abbiamo parlato de "Il Nodo" (Gagarin Edizioni).

Ciao Pieralberto e grazie per la disponibilità. "Il nodo" è il tuo ultimo libro uscito lo scorso Dicembre per Gagarin Edizioni ed è ambientato in un futuro distopico che però tanto assomiglia alla realtà di questi anni. C'è un episodio particolare che ha ispirato il tuo romanzo?

Non direi un episodio particolare, ma più una sensazione generale sulle cose. Il futuro si è ripiegato su se stesso e non ha più molto senso provare a immaginarlo. Basta guardare un telegiornale e sembra già di essere in un romanzo di Orwell. Per questo ho smesso di usare il termine “distopia”. Se la realtà è già distopica di suo, allora la fantascienza non può più esserlo. Se guardi una puntata di Black Mirror ti sembra di guardare un qualsiasi programma in onda su La7. A me interessa parlare dell'uomo, del modo in cui stiamo cambiando intimamente, della nostra trasformazione post-umana. Il mondo si è spaccato in due e voglio provare a descrivere quella frattura che si è creata nel mezzo. Ma non voglio farlo con pessimismo. Chiaramente è calata un'oscurità epocale sul nostro presente, sono successe cose che nessuno avrebbe osato immaginare. Ma le fratture sono anche fessure che portano luce, e questa oscurità ci ha obbligato a guardarci dentro e attorno. Abbiamo avuto modo di capire a quale specie apparteniamo. Curiosamente l'epoca delle mascherine ha distrutto le maschere dietro cui ci nascondevamo e ha mostrato ciò che siamo. Questa è un'epoca di rivelazione. Possiamo finalmente conoscerci e riconoscerci.

I due "mondi" in cui si trovano a vivere i protagonisti sono lontanissimi. Da una parte la vita "no alarms and no surprises" di Hermann e Johann, un "nucleo di convivenza" in un mondo che pare aver abolito tabù e problemi in cambio di una sorta di sottomissione al sistema, dall'altra una comunità fatta di "persone", con i loro pro, i loro contro, le loro gioie ma anche i dolori. Ci stiamo gradualmente orientando verso una società di questo tipo?

Come ti dicevo, credo che la spaccatura sia ormai avvenuta e non si possa più saldare. Resta a noi la libertà di decidere se delegare ad altri il nostro potere decisionale e il nostro spirito critico, oppure tenerlo per noi e costruire, mattone su mattone, un universo autonomo e consapevole. La seconda scelta è molto più faticosa della prima. È, come dico nel libro, una salita cosparsa di chiodi. Ma credo che sia estremamente importante comprendere la natura di questa spaccatura sociale. Non è, come qualcuno vorrebbe far credere, la conseguenza di una scelta medica, tanto per fare un esempio. Nasce dalla creazione di una contrapposizione tra due categorie inesistenti: chi esce di casa a correre e chi rimane dentro; chi porta fuori il cane e chi lo maledice dalla finestra; chi respira l'aria con le narici e chi preferisce non farlo; chi teme ogni contatto e chi lo ricerca; chi accetta di sottostare a un ricatto e chi non lo fa. E potrei andare avanti per ore. Nel momento in cui dividi l'umanità in buoni e cattivi hai automaticamente creato un conflitto. Il punto è che i buoni e i cattivi non esistono, ma fino a quando non lo capiremo allora i mondi saranno sempre e solo due: uno maggioritario, totalitario, dispotico e uno marginale, precario, resistente. Ma ogni dualismo è finzione. Dobbiamo avere la forza di ascoltare, comprendere e perdonare. E tornare alla conciliazione degli opposti. Il dualismo è uno strumento di potere. L'umanità è e resta una soltanto. Aspetto fiducioso un risveglio che al momento tarda ad arrivare. È una questione di coscienza e di consapevolezza. Come sempre, d'altronde.


Il mondo da cui proviene Hermann è quello in cui la tecnologia è parte fondamentale della vita di ogni essere vivente. Una mole di dati impressionante serve per creare algoritmi, profilazioni personalizzate di cui non è possibile non tener conto per le proprie scelte. E' una sorta di falsa libertà a cui tutti si adeguano, un po' come quelli che ormai hanno appaltato la loro cultura ai suggerimenti di Netflix o Amazon. Quanto siamo e saremo schiavi di questo meccanismo perverso e quali sono i pericoli a cui siamo più o meno inconsapevolmente esposti?

A mio avviso c'è un grande equivoco rispetto al concetto di libertà, ed è la convinzione di essere liberi. Se davvero sei libero, allora nessuno potrà toglierti la libertà e renderti schiavo. Ti possono togliere il lavoro, i soldi, la casa, il diritto di parola, di movimento, e così via. Ma non credo sia questa la libertà di cui parliamo. Quella ce la portiamo dentro al di là delle leggi insulse che ci attorniano. Non siamo noi gli schiavi ed è importante comprenderlo. La schiavitù è strettamente legata alla paura: paura di perdere un lavoro, di diventare povero, di andare contro ciò che viene disposto, paura di morire. Senza tutte queste paure non ci troveremmo dove siamo. La società va chiaramente in una direzione che trovo aberrante, ma siamo sempre noi a creare la realtà. E dunque siamo noi a decidere quale realtà desideriamo abitare. È questo in sostanza il concetto de “Il nodo”.


Inevitabile leggendo "Il nodo" e il precedente "La trilogia della distanza" non correre con la mente a questi due anni di pandemia. Si è creata, e sicuramente l'aver "appaltato" le opinioni a una rete controllata da un privato non ha aiutato, una sorta di narrazione ufficiale a cui si poteva liberamente aderire ma a cui era praticamente impossibile dissentire senza essere, nel migliore dei casi, sbeffeggiati. Questi scenari che rimandano a Orwell e soprattutto a Huxley sono a dir poco inquietanti ma sembrano scaldare poco gli animi delle persone. Ci possiamo davvero accontentare di non fare domande?

Basta osservare quello che sta succedendo con la Russia. Tutto ciò che rimanda alla cultura russa viene demonizzato, ostracizzato, eliminato senza alcuna pietà. Se fossimo svegli ci renderemmo conto che si tratta di una brutalizzazione del pensiero, di un incitamento all'odio, di uno stereotipo assegnato a un popolo intero, senza distinzioni. Cacciare atleti dalle manifestazioni, intellettuali dalle fiere del libro o dai corsi universitari rappresenta uno dei punti più bassi della nostra storia, ma è la semplice continuazione della cancel culture che ci ha fatto abbattere le statue di Cristoforo Colombo o ci ha spinto a demonizzare Montanelli e tanti altri. La stessa che ha spinto alcuni pseudo-intellettuali a vantarsi di aver denunciato i propri vicini. Non saremmo arrivati al green pass. In questi anni di pandemia tutta l'informazione ufficiale ha impedito a milioni di persone di poter esprimere degnamente il proprio pensiero creando per loro una categoria di sub-umani appena fuoriusciti dalle caverne. Non abbiamo forse compreso a pieno che se si consente a una maggioranza di reprimere una minoranza allora il limite è stato valicato. Basterebbe leggere Primo Levi. Basterebbe conoscere la storia.

Quello che mi fa molto pensare è il silenzio assordante di una certa parte politica che ricordo bene in prima fila durante Genova 2001. All'epoca i nemici erano Monsanto, Nestlè, Shell e la globalizzazione dei gusti di McDonald. Dietro ogni corporation c'era un esercito di burattinai pronti a far muovere i centri di potere e il denaro. Oggi non ho sentito una sola parola su aziende come Pfizer che altro non sono che scatole cinesi con all'interno fondi di investimento il cui unico obiettivo è la soddisfazione dell'azionista più che la cura del paziente. Come siamo arrivati a questo punto? Cosa ha anestetizzato le lotte " a voce alta" a queste corporation?

Qui tocchi uno dei punti più dolenti. I musicisti, gli artisti, gli intellettuali “di sinistra” che si sono sempre riempiti la bocca di parole come libertà, rispetto, tolleranza sono stati i primi a conformarsi e a insultare pubblicamente chi non la pensava come loro. Sono gli stessi che vanno a celebrare il 25 aprile e fanno quei bellissimi discorsi sull'anti-fascismo; gli stessi che suonano al primo maggio per il diritto al lavoro mentre una parte della popolazione viene sospesa per una scelta personale. Ci sono persone che pensano di informarsi leggendo La Repubblica o guardando La7. Sono le stesse persone che ai tempi di Berlusconi deridevano gli elettori di destra che si lobotomizzavano davanti alla Tv. Cosa è successo? È una bellissima domanda. È davvero possibile, a distanza di 20 anni da Genova, gioire per un banchiere al governo, esultare per un coprifuoco o per assurde restrizioni della libertà, sperticarsi le mani per un lasciapassare che tiene milioni di persone segregate in casa, applaudire per l'invio di armi a uno Stato straniero o difendere con i denti una terapia sperimentale sull'uomo? Ricordo molto bene i tempi di Genova: una copia di “No Logo” in ogni appartamento che frequentavo e i documentari di Michael Moore sulle corporazioni americane che facevano business sulla nostra pelle. Un mio amico a inizio pandemia ha detto: “L'importante è che non governi Salvini perché noi i fascisti non li vogliamo”. Evidentemente non ci piacciono i nostri simili.


Cito alcuni piccoli stralci dal tuo libro e vorrei un commento a queste frasi che secondo me aiutano molto a capire il contesto in cui si muovono i personaggi del libro. "Quand'era l'ultima volta che avevo scelto quale vita vivere. Non trovavo una risposta concreta. Avevo inserito le coordinate nel quadro di comando e mi ero lasciato guidare placidamente da un'auto che le antenne avevano smistato in mezzo al traffico".

Questo momento storico ci ha obbligato a fare delle scelte, spesso molto radicali. E di questo dobbiamo essere grati. C'era un universo dormiente dentro di noi. C'erano suoni dissonanti che fingevamo di non sentire. Ora siamo diventati enorme casse armoniche di risonanza. E lo abbiamo capito proprio mentre lo Stato ci chiedeva un atto di fede: “Fidati di noi, ti guideremo in un posto sicuro, lontano da tutta la paura che ti abbiamo fatto provare”. È un po' come la pillola rossa e la pillola blu di Matrix. Prima ancora di qualsiasi discorso medico il potere ha chiesto che ognuno facesse un rituale magico di cieca accettazione delle cose. Io cittadino demando a te, Stato, la mia facoltà di pensiero e di scelta. E lo faccio senza dati a supporto, senza certezze, senza sperimentazioni di garanzia. È lo stesso principio dell'ostia: è un atto religioso, un legarsi insieme. Ed è un rituale potentissimo. Qualcuno, in quel preciso istante, ha avvertito un sussulto. Come quando, per venderti un aspirapolvere, ti offrono in omaggio tre materassi e un viaggio alle Maldive.

"L'epoca dei miei nonni era una tavolozza confusa di cui le frontiere rappresentavano casuali linee di demarcazione tra le genti che avevano sviluppato forme di esistenza totalmente personali"

Credo che la grande questione di oggi sia la sopravvivenza di pensieri non allineati. Cos'è che fa veramente imbestialire quelli che ci governano e coloro che li sostengono? Il fatto che esistano persone che non si conformano all'unica verità concessa. I peggiori nemici di Israele, negli anni più crudi di oppressione del popolo palestinese, erano i ragazzi che si rifiutavano di andare a combattere, i refusenik. Venivano spediti in galera perché dimostravano che non tutti erano disposti ad andare a sparare a dei ragazzini. L'idea che ci siano persone che non accettano di arruolarsi nell'esercito dei buoni contro il nemico del momento è la dimostrazione che non tutte le menti possono essere conformate e uniformate. I non allineati che non si fanno la foto con la bandierina di turno sul proprio profilo sono i veri nemici del sistema. Ancor peggio è quando dimostrano di essere disposti a perdere tutto pur di non farlo. Sono la macchia di sugo sulla camicia bianca che stanno cercando di vendere a reti unificate.

"Rifiutare un mondo che non troviamo giusto è solo il primo passo dell'opera; poi arriva il prezzo da scontare sulla pelle, il rigetto della vita che abbiamo vissuto fino a quel momento e la ricostruzione di una nuova esistenza".

Il mondo di oggi non può impedire che certe persone dissentano e facciano scelte non conformi alla norma prevalente. L'unica arma disponibile è rendere complicata quella scelta e aumentarne a dismisura le conseguenze e l'impatto personale. Stiamo vivendo una negazione delle norme più basiche del diritto e tutto per dissuadere alcune persone ad adottare certi atteggiamenti. Serve un grande coraggio per non conformarsi. C'è un prezzo altissimo da pagare: economico, innanzitutto, ma anche sociale e umano. C'è uno stigma che ti si attacca alla pelle, una sorta di giustificazione che sei costretto a esibire ogni qualvolta decidi di esprimere la tua opinione. Non ti sei arruolato nell'esercito dei buoni, non hai dimostrato patriottismo e responsabilità, sei un furbetto, un vigliacco, un terrapiattista, un neo-fascista, e di certo un ignorante in preda al panico. Ogni giorno, su ogni canale televisivo e sulle pagine di pseudo-giornali come La Repubblica o il Corriere, ci sono articoli che parlano di te, che provano a descriverti e dileggiarti. Niente di nuovo nella continua ciclicità della storia. Dunque c'è un mondo da abbandonare, ma è solo il primo passo. Esattamente come ne “Il nodo” il rifiuto di un mondo è solo la prima parte dell'opera. Da quel momento in avanti inizia il percorso di costruzione di un nuovo universo. Ci troviamo esattamente lì, con la calce nelle mani e i mattoni da impilare.


Quanti secondo te oggi sarebbero disposti ad abbandonare la propria "serena" normalità per fare una scelta estrema come quella di Hermann?

Tantissimi. Non la maggioranza, chiaramente, ma molti di più di quanto non sembri. Nel mondo dell'educazione, ad esempio, c'è tutto un proliferare di esperimenti di istruzione non convenzionale al di fuori del sistema monolitico della scuola pubblica, nella quale anche io lavoravo. Ci sono nuove comunità abitative un po' ovunque, mille tentativi di creare sistemi alternativi che possano sopravvivere al di fuori dei confini del mondo ufficiale. L'oscurità che invade le strade, come ti dicevo, è una grande occasione per cercare luce e ossigeno altrove, prima di tutto dentro di sé. Il “nodo” di cui parlo nel libro non è semplicemente un luogo fisico; è l'idea che esistano reti di connessione cerebrale, emotiva e spirituale che collegano migliaia di punti sul globo. Una specie di rete neuronale composta di tante piccole luci sparse su tutta le pelle del mondo. È una trama, come si direbbe nel Tantra.

Per quanto riguarda la musica hai dei progetti in corso o preferisci dedicarti alla scrittura?

Quello che è successo in questi ultimi anni non si cancella. Mi sono reso conto di non avere quasi nulla a che vedere con gran parte dei musicisti e degli addetti ai lavori del settore e questo ha e avrà un peso sulle mie scelte. Non ho mai accettato di fare concerti o presentazioni in cui venisse richiesto un lasciapassare di ingresso e continuerò così. Tant'è che non è stata fatta nemmeno una presentazione del libro e non è una grande mossa a livello di marketing. Ma solo l'arte è in grado di salvarci e solo dall'arte possono arrivare le scintille di un possibile risveglio. Onestamente continuo a essere ottimista. Qualcosa accadrà. Se ne farò parte o meno a questo punto è irrilevante.

Grazie ancora per tutto Pieralberto e per chi volesse acquistare "Il nodo" o entrare nel tuo mondo diamo tutti i riferimenti per interagire con te.

Non sono molto attivo sui social, ma mi potete trovare sulle varie piattaforme. C'è anche un sito vecchio stampo (www.pieralbertovalli.com) e il link della casa editrice dove ordinare i libri (https://www.gagarin-magazine.it/prodotto/pieralberto-valli-il-nodo/)





 

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