Mattia Amati te lo immagini a casa, probabilmente solo, a comporre canzoni come se scrivesse sul proprio diario, melodie e parole capaci di alleviare almeno un po’ quelle delusioni d’amore e di vita che tutti abbiamo provato, prima o poi. Da questo punto di vista “Nottetempo” è un album strutturato come un autoritratto che mette a nudo l’anima del cantautore fiorentino e in cui il filo rosso è rappresentato proprio dai due concetti di “notte” e di “tempo”. Tra i dieci brani che compongono il lavoro spicca innanzitutto “Roberto”, riuscito ritratto un po’ alla Rino Gaetano di un personaggio naif, perso come un bambino in un mondo tutto suo in cui “crede di essere Delpiero”. Altro pezzo decisamente riuscito è “Corallo”, un duetto con la cantautrice AL!S in cui l’io narrante è determinato a vedere l’altra faccia di sentimenti negativi come la paura, che può significare anche “solo voglia di sentirsi vivi”. L’intreccio delle due voci di Mattia e di AL!S raggiunge l’apice emozionale nel ritornello. La title track è una ballata ben arrangiata in cui si condensano un po’ tutte le tematiche del disco. In generale la scrittura dei pezzi è molto legata al cantautorato italiano più classico, quello di De Gregori, Fossati, Mango e molti altri. E quest’impressione è suffragata dall’intervista che l’artista ci ha concesso.
- Mattia quando hai iniziato a comporre la tua musica?
- Nel 2019 ho fatto uscire una canzone, poi nel 2020 un’altra traccia e nel 2021 è uscito un EP. Poi c’è stato il periodo del Covid in cui ho composto un secondo EP che è uscito a fine fin 2021 e nell’estate del 2022 ho fatto concerti autorganizzati.
- A proposito di musica autorganizzata a Firenze c’è questa particolarità che mi ha sempre incuriosito molto che è l’Open Mic. Ti è capitato di provare l’esperienza?
- Non direttamente però ho diversi amici che lo hanno fatto ed è una formula molto interessante. Nei locali, nei pub un po’ più piccoli ti prenoti il tuo spazio e puoi proporre anche cose tue. Io, non essendo molto bravo come pianista avrei bisogno sempre di un tastierista di supporto. Comunque sì è una cosa carina che fanno diversi locali a Firenze. E’ anche un’occasione per conoscere altri artisti bravi, originali e si possono creare delle connessioni.
- Parliamo del tuo album “Nottetempo”. A me sembra che sia un album tematico con due elementi centrali, la notte e il tempo. Perché hai scelto proprio queste due dimensioni?
- In realtà non scrivo mai di notte, la sera sì perché è un momento in cui resetto un po’ tutto e mi concentro sui pezzi. Comunque è un album con un mood molto notturno ed è comunque anche un disco triste perché a parte il brano “Roberto”. Il concept è quello di un album triste.
- E’ uno specchio del tuo vissuto?
- Assolutamente sì, mi sono ritrovato a scrivere queste canzoni per esigenza di dover buttare fuori qualcosa, l’unica diversa è stata appunto “Roberto” perché volevo fare una canzone in quel modo. E’ un album nato dalla solitudine perché per farlo sono stato molto da solo. Mi è capitato anche di rinunciare ad uscire con gli amici perché dovevo buttare giù in musica le mie idee. Sono stato molto tempo solo e ho dovuto imparare a stare bene da solo. Adesso con me stesso sto bene, invece c’è stato un periodo quando ho iniziato a fare questo disco in cui non stavo bene. Sono fasi della vita.
- Hai citato molto “Roberto” e ti confesso che è la canzone che ai primi ascolti mi è rimasta più impressa, ci sento un po’ Rino Gaetano e quei personaggi un po’ naif.
- E’ una canzone molto ispirata al cantautorato italiano, appunto Rino Gaetano ma anche De Gregori. Poi c’è anche una particolarità che magari non si nota che sono ben tre cambi di tonalità che è una cosa che facevano negli anni 70 e 80, ad esempio la usava molto Battisti. E’ un omaggio a questi mostri sacri della musica, anche perché sono veramente appassionato del cantautorato italiano.
- Si può dire che sei nato con il cantautorato nel senso che i tuoi genitori ti portavano a vedere i concerti fin da quando eri bambino
- Sì ricordo di aver visto Mango, Battiato e soprattutto Battiato mi ha colpito talmente che poi per settimane parlavo solo di quello e le maestre a scuola non ne potevano più. Ho pensato che fare musica fosse una cosa bellissima. Mi è sempre piaciuto esibirmi in pubblico, anche quando c’era una serata karaoke mi buttavo anche se a volte era strano vedere un bambino cantare brani come Io vagabondo.
- L’importante in questi casi è non essere stonati.
- Certo, comunque penso che non ci sia mai un punto di arrivo a livello vocale. Anche ora sto prendendo lezioni di canto anche perché non mi ritengo un fuoriclasse nè a livello di estensione locale che a livello di precisione. Nel cantautorato comunque è difficile trovare artisti con una grande estensione vocale, a parte casi tipo Francesco Renga le altre sono voci nella media.
- Parliamo di un altro brano dell’album “Cemento” in cui spicca il verso “Siamo fiori cresciuti nel cemento. Quanto è difficile per te vivere questa realtà fatta di incertezza, insicurezze?
- Per un ragazzo più giovane di me, io ho 27 anni, è ancora più difficile relazionarsi con gli altri. Si vive con il cellulare in mano, virtualmente abbiamo tutto ma poi, quando sblocchi il cellulare trovi pochi contenuti davvero interessanti. Ed è anche difficile relazionarsi con gli altri. Per esempio ora conosci una ragazza anche su un’app poi dopo un po’ di scambi di messaggini magari la conosci è un’altra cosa rispetto q quello che ti aspettavi. Una volta per frequentare una ragazza dovevi chiamarla a casa, conoscerla di persona, magari ci si conosceva nella stessa compagnia. E purtroppo questa alienazione di tanti ragazzi che vanno in giro con il cellulare in mano e con il paraocchi temo sarà sempre peggio. Poi il Covid per i ragazzi più giovani ha ulteriormente complicato le cose, si è perso il contatto diretto con gli altri.
- A proposito di cantato c’è questo brano intitolato “Corallo” in cui compare questa voce femminile. Ci puoi dire di più su questo duetto? Anche perché in rete non ho trovato molto.
- E’ una cantante che si chiama AL!S e che ho conosciuto in studio ed ha lavorato con il produttore Marco Carnesecchi. Lei scrive molto e anche bene, in maniera molto diretta e allora mi sono detto “ma perché non scrivere anche una strofa in cui possa cantare anche lei?” Abbiamo mantenuto la melodia ma il resto l’abbiamo riscritta da capo insieme. Non compare il suo nome per un errore della casa discografica e spero che sia corretto presto perché altrimenti ne verrebbe sminuita.
- Oltre ad essere un cantante, come si è evoluto e com’è stato il tuo approccio agli strumenti e cosa sai suonare?
- Il mio primo strumento è stato la tastiera nel 2020 che ho iniziato a studiare. Ho preso lezioni per tre anni perché mi serviva, oltre che per suonare dal vivo, anche per scrivere i miei pezzi. Poi suono anche la chitarra ma a livello di principiante, infatti vorrei riprendere in mano anche questo strumento.
- La canzone “Occhi lucidi”, che è quasi un pezzo unplugged, è un volersi proteggere dalle proprie fragilità?
- Sì diciamo che è stato un pezzo nato da un amore finito che è stato molto tormentato. Il pezzo è nato quando mi sono reso conto, con il magone, che era un rapporto che non sarebbe riuscito ad andare avanti. Non riuscivo a buttare fuori queste cose se non con una canzone diretta. L’ho scritta di getto in due giorni e l’ho subito portata in studio. La lavorazione è durata veramente poco.
In definitiva “Nottetempo” è sicuramente un valido album d’esordio che merita l’ascolto e in cui è facile specchiarsi ritrovando i propri sentimenti, timori, passioni. In quanto artista, come emerge dalla nostra intervista, Mattia Amati ha l’umiltà di considerarsi un musicista in crescita con ancora molta strada da fare e questo non potrà che spingerlo a cercare di raggiungere nuovi, ambiziosi traguardi.
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