- Bella domanda, diciamo che ci siamo ispirati alla “Città incantata” (film d'animazione di Hayao Miyazaki) in cui c’è questo mostro che all’inizio gira distruggendo tutto ciò che ha per poi scoprire che alla fine ciò di cui ha bisogno è l’amicizia e l’amore fondamentalmente. Lo scatto della copertina è per far risaltare le nostre figure in questi tempi in cui c’è questa perdita di identità e siamo tutti quanti di fretta, in fuga. Vogliamo dire che noi ci siamo, in mezzo a tutto quello ci riconosciamo. Siamo circondati da persone con delle maschere che non vogliono essere se stessi, mentre noi mostriamo, in realtà, il nostro vero volto.
- Il modo in cui componete lascia intuire che abbiate già una notevole esperienza alle spalle. Da dove venite musicalmente parlando?
- Sì in effetti abbastanza, io il cantante Nicola Colomboni ho iniziato a suonare a 13 anni la chitarra e poi altri strumenti come autodidatta. Mi sono appassionato anche grazie al MAF, il Festival che viene organizzato a Marotta, poi suono da tanto tempo con Nicola Ragnetti, il bassista. Diverse canzoni di questo album come “Già lo sai” o “Mi hai rotto il cazzo” sono nate anche dieci anni fa. Abbiamo suonato molto nel mio garage che è tuttora la nostra sala prove e poi ci siamo ampliati con l’ingresso degli altri elementi.
- Qual’è la visione in comune che vi tiene uniti come band?
- Io che sono il chitarrista Tommaso e sono l’ultimo arrivato posso dire che come band improvvisiamo un sacco e le canzoni vengono fuori un po’ per caso ma funzionano perché funziona questa alchimia tra noi come band. Ormai ci sentiamo quasi una famiglia, siamo amici oltre che musicisti.
- Passiamo al disco. Nell’album mescolate registri molto diversi tra loro, sia a livello di testi che a livelli di musica. Nei testi si passa dalla disillusione e dalla frustrazione al desiderio di reagire. Emblematica da questo punto di vista è “Attraverso” che ha un verso che recita “farò mia la possibilità”. Qual è la vostra idea di presente le vostre speranze per il futuro?
- Siamo in lotta come tutti, non ci sono garanzie, sicurezza. Una volta c’era il boom economico e stavano tutti bene, ora si cammina su un mondo in rovina, come dico in “Mi hai rotto il cazzo”. “Questo modo è marcio, nessuno che va più lento” è un verso di “My time”. Abbiamo voluto raccontare quello che è stata la nostra vita in questo disco. Cerchiamo di dare un messaggio alle persone come noi che stanno vivendo quello che viviamo anche noi. Paranoie e ansie per un ragazzo della nostra età è pane quotidiano.
- Come generi musicali nell’album spaziate dal pop al rock al rap, a volte anche all’interno dello stesso brano. “OH-AH” da questo punto di vista mi sembra abbastanza emblematico.
- E’ perché ognuno di noi ama generi diversi, ad esempio il chitarrista è per esempio più metallaro, al batterista piace di più la musica elettronica, il cantante ama di più il cantautorato mentre il bassista è più punkettone. Cerchiamo di unire tutti questi generi creando un genere nostro. A volte andiamo più sul punk, a volte più sul rock, a volte sul pop, dipende dal mood del momento. Non usiamo criteri stabiliti quando componiamo, jammiamo e poi quando ci vengono le idee proseguiamo su quel percorso e cerchiamo di finalizzarle.
- Avete la capacità non scontata di scrivere brani molto orecchiabili con grandi ritornelli che restano in testa. Quando scrivete avete già in mente una direzione da intraprendere o, come dicevate già prima, nasce tutto in modo spontaneo?
- Questo primo album è stato molto spontaneo ed è stato bello perché molte persone lo hanno notato e ce lo hanno detto. E poi ci premeva chiudere questo ciclo con l’album. Il prossimo singolo che uscirà quest’estate che si intitolerà “Non mi va più” abbiamo studiato di più la struttura del brano cercando di creare una canzone più completa. Per come creiamo i nostri pezzi è una sorta di puzzle in cui ognuno mette il suo pezzo per formare l’insieme. Ognuno di noi non ha un ruolo preciso, ma è libero di esprimersi. Per esempio il cantante può scrivere la parte di chitarra senza problemi.
- L’album contiene due collaborazioni, una con Clementino e una con Mannaroman. Come sono nate?
- Beh citando un brano del disco direi che “tutto questo non ha un senso”. Abbiamo partecipato al Festival di Castrocaro nel 2023, siamo arrivati in finale con “Ascolta” e il presentatore che c’era quella sera era appunto Clementino che ci ha notati ed è rimasto colpito dall’energia che abbiamo emanato sul palco e da qui è nata la collaborazione. Mannaroman invece è un artista della nostra zona che abbiamo portato in studio con noi.
- A proposito di “Tutto questo non ha senso”, a parte sentirci un po’ di Chemical Brothers, trovo molto coraggioso fare un pezzo di tre minuti strumentale.
- Dal vivo la colleghiamo con My time, di cui doveva esserne un remix, ma i due brani si collegano. Dal vivo li colleghiamo e il cantante dice al microfono “Tutto questo non ha senso” e poi parte il brano.
- A livello di attività live avete in programma un tour?
- Sì abbiamo già diverse date fissate ma ci piacerebbe trovare locali anche al di fuori delle Marche. Se qualcuno ha dei contatti noi siamo pronti!
Com’è emerso dall’intervista che ci hanno concesso i Senzavolto sono spontanei e sinceri e cercano di sottrarsi a questo gioco pirandelliano che vorrebbe che tutti noi indossassimo delle maschere per il quieto vivere e la convenienza in un eterno gioco di ruolo, al prezzo di una totale massificazione in cui l’individuo si perde e diventa veramente senza volto.
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