domenica 27 aprile 2025

PALM IN A FOREST - IL VANTAGGIO DI NON SAPERSI MIMETIZZARE - TESTO E INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI


In fuga da definizioni ed etichette inutili. Questo ed altro sono i Palm in a forest, il cui nome fornisce già buoni indizi riguardo le coordinate della band. Una palma, infatti, non si confonderà mai con gli alberi di una foresta spiccando e distinguendosi per la sua palese diversità. I Palm in a forest sono nati nel 2018 fondendo insieme le diverse anime musicali dei componenti, provenienti da esperienze precedenti molto differenti tra loro. Nel corso degli anni si sono verificati alcuni cambi di formazione fino ad arrivare oggi ad una line up che comprende Penelope Truglio alla voce, Emanuele Ema Molinero alla chitarra e Mattia Mat Molinero al basso. Per il ruolo di batterista la band è al momento alla ricerca di un musicista compatibile con il progetto. II gruppo ha all’attivo un EP autoprodotto, “Mellow Flame”, uscito nel 2024, che raccoglie 4 brani di cui uno, “Story of Nobody”, in una doppia versione, elettrica ed acustica. Il pezzo di apertura dell’EP, “Spiral into chaos”, inizia con un oscuro arpeggio di chitarra che, come tuoni in un cielo carico di pioggia, prelude ad una tempesta elettrica che folgora l’ascoltatore. Il calo repentino di tensione a metà del brano suona quasi come un sospiro di sollievo e l'abbandonarsi in balìa delle onde sonore. La voce potente di Penelope e la chitarra sferragliante di Ema dominano la scena con autorevolezza, sostenuti da una sezione ritmica in grado di dare rotondità al tutto. Altro brano cardine è la citata “Story of Nobody”, il cui incipit richiama alla mente i System of a down di Toxicity. Il cantato è come un mantra ipnotico e buio che si innesta sul crescendo della chitarra fino ad esplodere nel ritornello. L’evidente cura particolare messa dal gruppo nella costruzione di questa canzone ne fa un caposaldo della loro ancora limitata discografia. Il brano in versione acustica conserva intatto il proprio spirito confermando ancora una volta che, quando una canzone rende bene anche in questa veste significa che è solida e funziona. La title track “Mellow flame” si distingue per l’atmosfera quasi marziale e il muro del suono innalzato dalla chitarra, mentre dal brano “The fall” emergono gli innumerevoli ascolti degli MTV Unplugged più classici degli anni 90 e il cantato assume a tratti sfumature morrisoniane. Abbiamo avuto occasione di intervistarli per approfondire il significato del progetto e la loro storia.


- Partiamo da questa idea dalla Palma in una foresta. E’ un nome scelto per marcare la vostra diversità?
- Esatto, questo è lo spirito del nome e, di conseguenza, anche del nostro logo. La sua nascita ha una storia carina alle spalle. Quando la prima formazione si mise insieme nel 2018 non avevamo dato un nome al progetto, ma avevamo già iniziato a scrivere qualcosa. La direzione, il genere musicale però non era così netto. E così uno di noi una volta mentre suonavamo disse che gli sembrava di essere come una palma in una foresta di pini. Cioè un albero tropicale in una foresta del nord, che è come dire “non solo sono diverso, ma non mi sembra proprio di appartenere al contesto che mi circonda”. Da lì è nata la formula che abbiamo usato per la nostra bio che è “fuori contesto per definizione”.
- Da quanto tempo suonate con questa formazione e come hanno influito i vari cambi di line up sul vostro essere band?
- Nel 2018-2019 eravamo in quattro, poi si è aggiunto un altro chitarrista fino a fine 2024 e ora siamo in tre, in attesa di individuare un nuovo batterista. Anche il modo in cui stiamo lavorando risente di questo aspetto. Siamo per così dire magmatici, cambiamo forma e temperatura continuamente. Ovviamente la ricerca di un’identità di suono è presente, ultimamente abbiamo trovato una strada molto più definita, soprattutto come chitarre. Però vogliamo continuare a sentirci liberi, se ci viene in mente di fare un pezzo hardcore lo facciamo, se vogliamo creare un pezzo new metal lo facciamo senza problemi. Il fatto è proprio che proveniamo da percorsi musicali molto diversi tra loro. Abbiamo Ema il chitarrista che dà una fortissima impronta metal, nel suo suono si sente l’influenza dei Pantera, dei Limp Bizkit, dello stoner e quindi dei Queen of the stone age. Come cantante io – aggiunge Penelope – ho una solida radice nel punk e nel rock degli anni 90. Sono cresciuta con le band più classiche come i Ramones, i Clash, i Sex Pistols, eccetera.
- Abbiamo parlato molto di generi, ma se invece di un genere per identificarvi doveste scegliere un solo aggettivo, quale sarebbe?
- Complesso, anzi cangiante, che riassume perfettamente il nostro spirito. Una cosa che abbiamo in comune è di essere molto emotivi nell’approccio alla scrittura. Non si può non essere emotivi quando crei. E’ come mettere in musica quello che stai vivendo in quel momento.
- Sentendo i vostri pezzi sono rimasto particolarmente colpito da “Story of Nobody”.
- E’ un po’ il nostro “bambino”, gli vogliamo molto bene. Ha una genesi interessante perché nasce da un fumetto di Dylan Dog intitolato “Storia di nessuno”. Io – spiega Penelope – ho iniziato a leggere i fumetti di Dylan Dog da piccolissima, all’età di 9 anni ed ero già appassionata di horror e dark. Ne ho recuperati vari numeri da amici di mio padre e un po’ sono riuscita a comprarli io stessa in edicola. “Storia di nessuno” è il numero che più mi rimase impresso e l’ho riletto moltissime volte. Quando i ragazzi mi sottoposero questo pezzo con questo tipo di sonorità pensai che mi faceva venire in mente proprio quel fumetto. 
- Nel suono “Story of Nobody” richiama i System of a down, che ne dite?
- Sicuramente – risponde il chitarrista Ema – rientrano tra le mie grandi influenze, un po’ tutti i gruppi nu metal, come anche i Limp Bizkit. Quando scrivo mi viene spontaneo inserirle, le amalgamo alle accordature che usiamo noi che sono in realtà diverse da quelle di quel genere. In questo caso è venuto fuori questo lento, tra virgolette.
- “Story of Nobody” ha anche un bel videoclip di accompagnamento, con una storia, non le semplici riprese del gruppo che suona. Ce lo potete spiegare?
- Quel video è un’esperienza di collaborazione gratuita incredibile. Abbiamo raccolto con il passaparola le professionalità necessarie, perché chi partecipa non sono amatori, ma veramente gente che lo fa di mestiere. Regia, fotografia, ballerini, trucco è stato tutto molto professionale. Abbiamo trovato un teatro di posa ad un prezzo molto basso e in due giorni abbiamo girato. E’ stato molto emozionante farlo.
- Che cosa volete trasmettere con quella sorta di lotta danzata che c’è nel video?
- Questo video ha avuto in realtà una genesi molto lunga – risponde il chitarrista Ema - nel senso che avevo già lavorato spesso, essendo di mestiere un tecnico del suono, con il videomaker che lo ha realizzato. Volevamo che fosse un progetto soddisfacente per tutti quelli che hanno collaborato. E così abbiamo deciso di inserire questa coppia di ballerini e abbiamo dato carta bianca un po’ a tutti quelli che hanno partecipato dando solo ai ballerini un paio di coordinate, cioè la palette di colori, che sono il bianco e il nero e il mood del pezzo. A partire da quella base loro hanno creato la coreografia che abbiamo poi incastonato nello storytelling del video. Ed è venuto fuori un risultato che è stata una piacevole sorpresa, molto soddisfacente. Per me che ho scritto il testo – aggiunge Penelope – è stato bellissimo vedere come sia stato colto pienamente il senso profondo, cioè la contrapposizione tra vita e morte, la linea sottile che separa queste due dimensioni, che si perdono l’una nell’altra. 
- Parliamo della title track dell’EP “Mellow flame”. Qual’è il senso del brano?
- Si tratta in realtà di una metafora sessuale ed è uno dei primi pezzi che abbiamo scritto e che ci stiamo portando dietro fin dall’inizio. Volevo che fosse interamente una metafora sul sesso ed è quello il suo senso profondo.
- In “Spiral into chaos” ho trovato interessante lo stacco a metà del pezzo che fa emergere atmosfere più rarefatte
- In effetti – risponde il chitarrista – io sono un grande fanatico di queste alternanze tra le ritmiche metal distorte e gli arpeggi con un suono pulito con molto delay, che conferisce quest’atmosfera un po’ sognante. Infatti in diversi pezzi che abbiamo scritto e che stiamo scrivendo ci sono queste alternanze. E io trovo che diano ai brani uno sviluppo e un’anima. Mi piacciono i pezzi che mi fanno provare delle emozioni quando li ascolto e quindi tutti i riff che suono, che mi smuovono questi sentimenti e che mi ispirano cerco di svilupparli nelle nostre canzoni.
- Come scrivete i vostri pezzi? Partite da improvvisazioni magari jammando insieme oppure avete un approccio più metodico in cui ognuno scrive la propria parte e poi cucite insieme il tutto?
- Negli ultimi anni- spiega il chitarrista - il nostro approccio ha seguito due linee. La prima prevede che Penelope arrivi in sala con un’idea di testo e magari un giro di accordi, un mood e da lì partiamo per la scrittura. Poi a volte, invece, capita che sono io chitarrista che sento magari in giro un riff che mi suggerisce emozioni e provo a trasformalo in qualcosa di personale e proporlo. Poi ho la fortuna di avere uno studio di registrazione in casa per cui mi metto lì e registro migliaia di take fino ad arrivare a un risultato che mi soddisfa.
- Ho sentito il pezzo acustico “The fall” del vostro EP e mi sono venute in mente a tratti reminiscenze del celebre Unplugged dei Nirvana. 
- In effetti – spiega il chitarrista- le influenze del grunge degli anni 90 sono ben presenti nella nostra musica. Quel brano in particolare è frutto del lockdown, componevamo a distanza le nostre parti e poi ci trovavamo online e io ho poi mixato il tutto nel mio studio. Adesso, tra l’altro, stiamo lavorando anche ad un set acustico perché ci siamo trovati in situazioni in cui ci è stato chiesto se potessimo fare una cosa del genere e abbiamo accettato di provarci proprio perché ci piace cambiare.
- Avete in previsione l’uscita di un album?
- Sì abbiamo un album – chiarisce il chitarrista - che chiude un po’ il ciclo con la vecchia formazione, è praticamente pronto e uscirà presumibilmente in autunno, più che altro perché ora inizia la stagione estiva e io essendo un tecnico audio in estate ho troppi impegni tra tour, festival e quant’altro. Uscito l’album faremo un po’ di date, che è la cosa fondamentale per farlo conoscere. 
- Ultima domanda. Come vedete la gestione diretta da parte dei gruppi indie come voi di tutti gli aspetti che trascendono il fare musica, come il management, la promozione, il posizionamento sul mercato in un’epoca in cui sui servizi streaming sono accessibili milioni di nuovi brani ogni giorno?
- A me sembra davvero – riflette Penelope - che più andiamo avanti più il Do it yourself diventa un'illusione. Gestire i social o comunque la comunicazione e promozione in generale non è una cosa sulla quale ti puoi improvvisare.


Quel che si percepisce nei Palm in a forest ascoltando i loro pezzi e sentendoli raccontarsi è la costante aspirazione a migliorare, a trovare un modo per dare una forma il più possibile aderente al proprio vissuto, alle proprie passioni, alla vita. E a condividere il tutto con l’anima di chi li ascolta. Perché il senso del fare musica alla fine è soprattutto questo.


Testo e intervista a cura di Luca Stra








 

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