sabato 3 maggio 2025

HEUTE NEBEL - MUSICA PER CHI CERCA DI SUCCHIARE TUTTO IL MIDOLLO DELLA VITA - RECENSIONE E INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI


“Vino – Sangue – Santità”, l’esordio dei ferraresi Heute Nebel è uno schiaffo in pieno volto che costringe l’ascoltatore ad aprire gli occhi e vedere la realtà così com’è, nella sua crudezza, impermeabile ad ogni emozione, popolata da zombie che ballano una macabra danza che emana un tanfo rancido. I brani dell’album rappresentano, infatti, sia dal punto sonoro che, soprattutto, dei testi, una denuncia dell’incubo quotidiano in cui siamo intrappolati e un estremo tentativo di reagire per tornare ad essere umani. Il quartetto, formato da Lorenzo Magnani, basso e voce nonché fondatore della band ed autore di gran parte dei brani, Silvia Loiacono, voce solista, Giacomo Lunardi, chitarra e Alessandro Padovani, batteria si presenta con un sound granitico, che mescola l’hardcore punk con chitarre che attingono a fonti sonore eclettiche che spaziano dallo stoner al grunge, per giungere fino ai gruppi di riferimento del rock italiano di sempre, dai CCCP ai Marlene Kuntz e molti altri. Il forte impatto emotivo dei pezzi trova l’interprete perfetta nella voce di Silvia Loiacono che, con fiera ribellione sbatte la verità in faccia all’ascoltatore. Il cantato è diretto, senza fronzoli, spesso drammaticamente vero e attuale come nel caso di “Deserto", pezzo d’apertura dal lavoro nonché primo singolo tratto dall’album, che racconta la storia di un ammalato in balìa di un dottore che si crede il suo dio. “Io non ci sto” urla con rabbia la cantante in un moto di necessaria ribellione. L’essenza degli Heute Nebel è proprio questa, non piegare la testa, non arrendersi mai. In “Onore ai topi” altri versi emblematici come “la nave affonda, prendi la tua decisione” esprimono l’estremo tentativo di salvare ciò che è essenziale anche a costo di perdere la vita. “Ti seguirò ovunque”, pezzo che racconta l’ennesimo femminicidio dal punto di vista dell’aggressore è un altro elettroshock per farci reagire all’apatia che fa sì che notizie così drammatiche siano ormai diventate una orrenda routine che quasi non ci tocca più. “Questa non è vita”, è un brano emblematico di un’altra tematica forte della band, ossia la rivendicazione dell’assoluta libertà di scelta, anche della scelta ritenuta generalmente sbagliata. 



Lorenzo Magnani ci ha concesso un’intervista che approfondisce i contenuti di “Vino – Sangue – Santità” rivelandone molti aspetti interessanti.
- La prima cosa che mi ha colpito del vostro album è il titolo “Vino – Sangue – Santità”, tre parole che messe in quest’ordine ricordano la passione di Cristo. Perché questa scelta? Ci puoi spiegare meglio? 
- Queste tre parole sono in realtà il ritornello di uno dei brani del disco, Quando eravamo intenti a cercare titoli plausibili del l’album abbiamo avuto l’idea di usare un verso contenuto nel disco e le abbiamo scelte proprio per il motivo che hai detto, questo rimando un po’ liturgico.
- Che contrasta molto con lo spirito dei pezzi.
- Esatto, in realtà nell’album c’è questa spiritualità un po’ pagana e ci piaceva mettere per contrasto tre parole che richiamano la liturgia cristiana cattolica. Nasce quindi dalla voglia di creare questo stridore.
- Bene, ora ti dò altre tre parole che vorrei coniugasti alla Heute Nebel. Rabbia, orgoglio e reazione.
- Rabbia è quello che ci piace sfogare. Questa band è partita con l’idea di essere un po’ una valvola di sfogo. Nelle canzoni della band cerchiamo di incanalare questa rabbia in qualcosa di costruttivo. Orgoglio invece è un’idea che non ci piace tanto, diciamo che siamo orgogliosi nella misura in cui ci teniamo che ciò che facciamo di renda orgogliosi, vogliamo ascoltare le cose che facciamo senza avere nulla di cui vergognarci. Invece reazione è un’azione inevitabile nel senso che molte nostre canzoni descrivono lotte disperate con scarse possibilità di vittoria, ma è fondamentale comunque provarci. La reazione è una conseguenza per noi necessaria dell’indignazione e della condizione di chi parte da un punto di vista un po’ svantaggiato.
- Nelle vostre canzoni c’è un ribaltamento del senso del peccato, da accezione negativa a ultimo baluardo cui aggrapparsi per salvarsi.
- Questo è un aspetto molto interessante che ci è già stato anche fatto notare. Diciamo che sono d’accordo, l’osservazione è giusta. In realtà più andiamo avanti più ci vengono fatte notare cose sulle canzoni dell’album più ci rendiamo conto che c’è una sorta di etica ribaltata. Quest’idea del peccato è molto in linea con la nostra posizione come band. Diciamo che in realtà non è stata una cosa voluta nel momento in cui scrivevamo il disco, ma una cosa che ci siamo resi conto quando abbiamo finito e ci siamo voltati indietro a guardare quello che avevamo fatto. Non pensavamo che fosse un aspetto che si notasse da fuori, per cui mi fa piacere che in realtà si noti. Il concetto di peccato è figlio del punto di vista da cui si guardano determinati aspetti perciò quello che per alcuni può essere peccato può essere una cosa virtuosa per altri. Ci siamo resi contro che stavamo mettendo per iscritto una sorta di nostra etica personale. D’altra parte i testi li scrivo per il 90 per cento io ed ho avuto da ragazzino una formazione cattolica da cui poi, negli anni, mi sono sempre più allontanato. Cerco i più possibile di allontanarmi da certi dogmi, da certi paletti etici che mi sono stati imposti.
- Ascoltando l’album mi sembra che la vostra sia una controcultura antiregime, dove la parola antiregime è da intendere in senso ampio, come costrizione. Qual è il messaggio che, da questo punto di vista, volete trasmettere al vostro pubblico, dal punto di vista della presa di coscienza?
- Noi in realtà non ci poniamo dal punto di vista di voler insegnare niente a nessuno nella maniera più assoluta. Ci piacerebbe che questo tipo di testi portasse il pubblico a farsi delle domande, poi ognuno ne trae le proprie conclusioni, ma verremmo che il pubblico fosse un po’ scosso. E’ anche per questo che è stata scelta una forma musicale aggressiva e testi scritti in modo abbastanza crudo. Mi piacerebbe che il pubblico si sentisse un po’ schiaffeggiato. 
- Questa società ci vorrebbe tutti identici, con gli stessi gusti per poter essere più controllabili. Che ne pensi?
- E’ assolutamente così, l’omologazione è stata sempre usata per controllare meglio le persone. Questa lotta all’omologazione è un po’ l’eredità che abbiamo voluto raccogliere dal movimento punk. 
- Dal punto di vista strettamente musicale come fonti di ispirazione si sente, oltre al punk, lo stoner rock, il rock degli anni 90 dalle parti di “Bleach” dei Nirvana e, come gruppi italiani, ci vedo qualcosa dei CCCP, qualche suono dei Marlene Kuntz. Ti ritrovi in queste coordinate musicali?
- Assolutamente sì, le nostre ispirazioni sono all’incirca quelle. Il disco è un po’ una fusione dei gusti dei vari membri della band, io e Silvia la cantante siamo più legati al punk, del punk hardcore, mentre al batterista è legato allo stoner, mentre il chitarrista che era con noi alla stesura dei pezzi abbracciava un po’ tutti questi elementi. Poi Cristiano Godano è secondo me al momento in Italia il miglior scrittore di testi insieme a De Gregori e a pochi altri.
- Tra i pezzi del vostro album che mi hanno colpito di più c’è senz’altro “Ti seguirò ovunque” che è il racconto dell’ennesimo femminicidio. Come la leggi tu?
- In genere i nostri pezzi nascono come degli strumentali su cui poi io lavoro per i testi. In questo caso invece il chitarrista era arrivato dicendo che era arrivato con un pensiero su questa canzone in cui si leggeva una sorta di riflessione sulle ossessioni. Da lì è nata l’idea di fare un pezzo sullo stalking, sui femminicidi che sono un’emergenza ovunque, ma in Italia ancora di più. Nel nostro piccolo ci piaceva dare il nostro contributo. Abbiamo deciso però, per non fare un pezzo retorico dato che è molto facile cadere nella retorica quando si scrivono brani così, di metterci dal punto di vista dello stalker. E questo fa passare il messaggio per cui non è una malattia del singolo ma è insita nel sistema. La parola “patriarcato” che molti snobbano è una malattia molto diffusa.
- Un altro brano su cui mi piacerebbe saperne di più è “Rogo”, che richiama alla mente la dittatura e il rogo dei libri di Fahrenheit 451.
- E’ il discorso dell’omologazione che facevamo prima. Nel momento in cui hai di fronte delle persone ignoranti è molto più facile controllarle rispetto a individui che possono accedere alla cultura, allo studio e quindi farsi un’idea propria. Il rogo di libri è proprio il tentativo del regime di impedire che chi sta sotto abbia le proprie armi per sapersi ribellare. Ricordo, a questo proposito, di aver sentito un’intervista a Corrado Augias in cui raccontava che un insegnante il primo giorno di scuola in una nuova classe disse agli allievi disse che si sarebbe organizzata la prima grande evasione.
- Altro pezzo che mi piacerebbe approfondire un po’ è “Onore ai topi”, che rappresenta il coraggio di rischiare per tenersi ciò cui si tiene di più.
- “Onore ai topi” è nata come una sorta di sfogo postelettorale e il riferimento ai topi è legato al fatto che si dice che quando una nave affonda i primi a scappare cercando una via di fuga dall’acqua siano i topi. Per cui l’onore va a quei topi che sono morti annegati cercando si salvare tutto ciò che era possibile. Il fare, la partecipazione a tutti i livelli, politico, sociale, culturale, è l’unico modo che ci rimane per salvare questa nave che affonda.
- Dato che sei tu l’autore di gran parte dei pezzi ti vorrei chiedere, quali sono le altre arti, la lettura, la musica, i film che ti hanno maggiormente ispirato? Anche a livello di band ovviamente.
- Siamo quattro persone molto diverse tra noi a livello di letture, ognuno di noi porta il proprio bagaglio. Io personalmente sono un lettore cui piace variare, passare da un genere all’altro ed è anche difficile che legga più libri dello stesso autore perché poi subentrano altri autori che vorrei approfondire per cui sono un po’ onnivoro. Di mestiere poi faccio il bibliotecario e quindi sono abituato a leggere tanto e anche cose diverse. A livello di film, invece, abbiamo notato come i nostri pezzi siano legati all’espressionismo tedesco, quindi Fritz Lang, Murnau. Infatti uno dei nostri primi concerti l’abbiamo aperto con la registrazione di “M – Il mostro di Düsseldorf” di Fritz Lang. Su questo quindi diciamo è che siamo abbastanza omogenei.
- Ti faccio un’ultima domanda sulla vostra bio: “Gli Heute Nebel sono quello che succede quando vivi tra la nebbia d’inverno e la canicola d’estate” a Ferrara ovviamente. Racconta un po’ di più, com’è mettere in piedi una band a Ferrara?
- E’ una cosa che abbiamo notato più io e la cantante che arriviamo da fuori, mentre gli altri membri sono autoctoni per così dire. Si passa dal freddo e dalla nebbia d’inverno con freddo umido nelle ossa a estate con temperature allucinanti. Diciamo che non ti senti mai nel posto giusto. Credo che questa cosa un po’ traspaia sia a livello di testi e musica nella nostra produzione. C’è questa alternanza tra suoni freddi e suoni afosi diciamo. Per esempio nel primo singolo “Deserto” quando il chitarrista ha tirato fuori quel riff che anticipa il ritornello ho avuto proprio visto questa visione del deserto. C’è quindi una schizofrenia climatica che si sente anche nei pezzi. 
- La parola Nebel in tedesco significa nebbia se non sbaglio e voi l’avete messa nel nome della band.
- Assolutamente sì, quando vivi da queste parti la nebbia è un elemento che entra a far parte di te.


Canzoni che trasmettono messaggi precisi, importanti, talvolta anche scomodi. Questa è la materia di cui è fatto “Vino – Sangue Santità”, album d’esordio degli Heute Nebel. Per questo occorre ascoltarli con orecchie attente, non distratte, per non perdere di vista la nostra natura umana in questi tempi deviati.  


Testo e intervista a cura di Luca Stra




 

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