Ecco "L'ebbrezza di viaggiare sulla luna", il primo capitolo di "Ultimo Tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli che sarà pubblicato a capitoli (uno a settimana) ogni giovedì su questo blog. Il romanzo è una grande satira del mondo indie italiano visto attraverso le vicende di una band e del loro tour realizzato mediante una campagna di crowdfunding. Buona lettura con le vicende di Guy e Vicni e se volete riascoltare l'intervista di Ljubo a Riserva Indie per presentare il romanzo cliccate qui.
Capitolo 1
L’ebbrezza di viaggiare sulla
Luna
Con la coda dell’occhio la vidi che
armeggiava sullo smartphone. Fu quasi
un riflesso condizionato. Si era zittita di colpo da un paio di minuti,
interrompendo un monologo sullo stile architettonico a suo dire fumettistico
delle fabbriche che costeggiavano quel tratto d’autostrada. Prima ancora, stava
ammorbando l’abitacolo con l’ennesima sigaretta.
“Dicono qualcosa di noi?”, le domandai,
annoiato dallo scenario. Nel giro di qualche decina di chilometri, boschi,
montagne e gallerie avrebbero rimpiazzato in larga parte ciminiere, loghi di
cartiere e cementifici e campi incolti.
“Veramente ora stavo controllando altre
cose”, mi rispose lei sovrappensiero. Ma si riscosse all’istante. “Tu invece
cosa stai controllando? La strada o le smagliature del mio collant?”
“Tutti uguali voi uomini”, la imitai io,
canzonandola con uno dei suoi cavalli di battaglia che, a ben pensarci, poco le
si addiceva.
“Guida, Guy”, mi esortò con
indifferenza, prima di tornare a concentrarsi sullo schermo del telefono.
Alzai il volume dello stereo. I Violent
Femmes minacciavano di pubblicare un nuovo disco. Il repertorio classico aveva
sempre il suo fascino, però. Quando si chiudeva in sé stessa, non c’era che da
attendere che le passasse. Finché non decideva di estraniarsi dal suo
estraniamento, Vicni ed io eravamo due strade parallele. Due pianeti che
ruotavano attorno alla Luna. Due dualità a distanza di sicurezza.
Gettai
uno sguardo al sedile accanto al mio. Ebbi l’impressione si fosse
smaterializzata. Era in realtà sprofondata; già era piccolina e in quelle
circostanze lo era ancor di più.
“Gioia,
tutto ok?”, mi azzardai a domandare.
“Carrie…
Dawson… I miei batuffoli di pelo. Chissà come staranno adesso. Tutti questi
giorni senza di me…”
“Li
hai lasciati a tua mamma, no? Se ne occuperà lei.”
“La
mamma non è stata in grado di occuparsi di non far andare via papà con
un’altra! Me li farà finire schiacciati sotto un camion! Accidenti a quando non
li ho affidati a qualcuno meno irresponsabile.”
“Non
devi preoccuparti, dai retta a me. O perlomeno, se ti preoccupi tu, io dovrei
avere attacchi di panico ogni cinque minuti se penso alla mia Sheena.”
“Sheena
è la regina della giungla?”
“No,
Sheena è una punk rocker. Oltre che una micia adorabile. E ho dovuto
alloggiarla a casa di mia sorella più grande, e soprattutto di quel bestione
del suo fidanzato. Io ti farei vedere il soggetto. Un bomber patentato che a
trent’anni passa ancora le giornate ai giardinetti insieme ai suoi degni amici.
Mia sorella non poteva che cedere al suo irresistibile fascino da avanzo di
galera. Povera Sheena. Il tempo di abbassare la guardia mezzo minuto e quello
me la scuoia viva e la vende a tranci ai cinesi.”
Si
accese un’altra sigaretta.
“Se
già il primo giorno fumi a nastro, tra una settimana qua dentro l’aria si sarà
solidificata. I tizi della Luna ci faranno un cazziatone quando gliela
riportiamo esalante nicotina anche dalle guarnizioni.”
“Quelli
là ci devono solo ringraziare”, sentenziò Vicni con la vocina pedante che
sfoderava per impartirmi grandi lezioni di vita. “Un gruppo famoso va a giro
sul loro pidocchioso minivan, su e giù per le strade di tutta Italia a
sbandierare la sigla ‘Autonoleggio La Luna’ che quei megalomani hanno
appiccicato davanti, dietro e su tutt’e due le fiancate, insomma gli facciamo
un casino di pubblicità, e vorrebbero aver da ridire per un paio di sigarette?”
“Fatina,
non credo la loro concezione di gruppo
famoso vada molto più lontano dei Pooh.”
“Problemi
loro. Facciano una ricerca su Google. Dovrebbero ringraziarci in ginocchio se
ci spostiamo a bordo di uno dei loro catorci”, insisté.
“Ci
spostiamo a bordo di uno dei loro catorci perché non ci possiamo permettere
nulla di meglio”, le feci notare, cozzando contro le sue sparate sul gruppo famoso. “E poi io ci sono
affezionato alla Luna. Si lascia guidare, ci puoi caricare tutto l’occorrente e
ci rimane un sacco di spazio vitale. Senza contare l’ebbrezza di viaggiare
sulla Luna!”
“Ma
quale ebbrezza. Io sono affezionata a quello che stiamo portando avanti
insieme. Ai risultati che abbiamo ottenuto finora. A chi sta credendo in tutto
questo.”
“Ci
stanno credendo perché tutte le cose che hai appena elencato funzionano. Perché
ne vale la pena. Perché nessuno ha mai osato proporsi con questa convinzione
come la risposta italiana ai White Stripes.”
“Anche
se noi con i White Stripes non c’entriamo un accidente!”
“Appunto.
Ma nessuno ci fa caso. I White Stripes sono finiti da secoli. La gente qui da
noi si ricorda il coretto, i mondiali di calcio, l’uomo e la donna. Il resto
sono dettagli. Il genere musicale, la strumentazione… dettagli, banalissimi
dettagli di nessun peso. Un paio d’ingredienti vagamente simili e puoi
convincere chiunque!”
Vicni
abbozzò un sorriso, per quanto non convintissimo. Con la sua testa corvina e le
stimmate dark disseminate in un corpo esile e minuto, piuttosto che la metà
femminile dei White Stripes, pareva una Christina Ricci poco più che
adolescente. Certe volte dubitavo avesse realmente ventisei anni.
“Beato
te che credi ciecamente in queste trovate di marketing da strapazzo”, aggiunse
poi, increspando il sorriso fino a trasformarlo in un broncio.
“I
fatti ci danno ragione. L’importante è dare al pubblico due o tre cosine di cui
parlare, su cui costruire un minimo d’immaginario. I White Stripes, nel nostro
caso, erano il punto di partenza. Da lì abbiamo tirato su il nostro universo,
restando in quella scia ma riuscendo a distinguerci. Tu per esempio suoni molto
meglio di Meg White. Io invece sono molto meno figo
di Jack White; però in compenso sono molto più scarso di lui come chitarrista. E poi…”
“E
poi essendo in due ci risulta molto più semplice trovare ingaggi per i live”,
cantilenò lei, interrompendomi. Di solito mi rinfacciava questa mia uscita nei
periodi di ristagno dell’attività concertistica.
“Preciso.
Al momento, la situazione dei locali italiani dove si suona dal vivo si
commenta da sé. Un gruppo come il nostro lo puoi proporre tranquillamente nelle
più svariate situazioni. Dal centro sociale al locale pseudofighetto in orario
da aperitivo. Due è il numero perfetto!”
“Però se tutti ragionassero così,
dovrebbe esserci molta più concorrenza. Fai conto che una band di quattro
elementi si sciolga. Dalle ceneri della band nascono un duo e un solista, e
mettiamo pure che il quarto si dedica ad altro. Se da ogni gruppo vengono fuori
altri due o tre progetti, sarà il caos più totale!”
“Eh? Cos’è, l’albero genealogico dei
falliti dell’indie italiano?! Di questo passo, il prossimo tour lo faccio con
una street band di otto elementi anziché con un’aspirante prof di matematica!”
Intanto,
la cartellonistica autostradale e il navigatore segnalavano che ci stavamo
avvicinando alla nostra destinazione. Il cielo era scuro e il clima aspro, ma i
nostri cuori battevano forte in previsione di ciò che ci attendeva.
“Questo
tour sarà radicale distruttivo!”, esclamai, vedendo un numero di chilometri
inferiore ai dieci sotto il nome dell’uscita che dovevamo imboccare.
“Mi
piace!”, fece lei di rimando. Era il suo grido di battaglia da stacanovista dei
social network. Alzò il pollice per
ribadire. Il suo smalto nero non rendeva l’idea del ditone celeste di Facebook,
ma per me andava bene.
Adoravo
quella ragazza. Le sue diecimila complicanze non m’impedivano di adorarla.
Quella storia dei White Stripes italiani, sì, era una forzatura, buttata lì per
farci pubblicità, per creare hype. Ma
io mi ero ormai convinto che potessimo in qualche modo ripercorrere le loro
orme, con le debite proporzioni all’interno di quel microcosmo musicale
ristretto di numeri e di vedute che era l’indie italiano.
E
chissà com’erano le tournée dei White Stripes agli esordi. Chissà di cosa
parlavano Meg e Jack durante gli spostamenti in furgone da una città all’altra.
Chissà se erano davvero (ex) marito e (ex) moglie che facevano finta d’essere
fratello e sorella, stratagemma che anche noi cercavamo di portare avanti.
Chissà se invece erano tali e quali a noi due.
Il
motore della Luna a pieno carico fece qualche rumore non granché rassicurante,
mentre scalavo le marce per uscire dall’autostrada e pagare il casello. Feci un
gran sorriso al tipo dietro lo sportello, che si guardò bene dal ricambiare.
Prese i soldi, mi dette gli spiccioli di resto e tirò su la sbarra. Tutto senza
dire una parola né degnarmi d’uno sguardo. Vicni non protestò perché avevo
scelto di perder tempo da quello zombi anziché usare la carta di credito in una
delle tante casse automatiche con l’ingresso a strisce blu sull’asfalto. Anche
lei sentiva l’adrenalina entrare in circolo. Il gioco stava per iniziare.
La
prima data del minitour italiano di 2 Dualità era in programma quel giovedì
sera a Genova.
Appuntamento con il secondo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna" su questo blog da Giovedì 11 Febbraio
Testo di Ljubo Ungherelli
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GRANDE LJUBO....!!!!!!!
RispondiEliminaGrazie! Appuntamento tra 7 giorni, stessa spiaggia stesso mare... sperando il meteo non sia troppo inclemente stavolta!
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