giovedì 4 febbraio 2016

"ULTIMO TOUR SULLA LUNA" DI LJUBO UNGHERELLI // CAPITOLO 1 :"L'EBBREZZA DI VIAGGIARE SULLA LUNA"


Ecco "L'ebbrezza di viaggiare sulla luna", il primo capitolo di "Ultimo Tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli che sarà pubblicato a capitoli (uno a settimana) ogni giovedì su questo blog. Il romanzo è una grande satira del mondo indie italiano visto attraverso le vicende di una band e del loro tour realizzato mediante una campagna di crowdfunding. Buona lettura con le vicende di Guy e Vicni e se volete riascoltare l'intervista di Ljubo a Riserva Indie per presentare il romanzo cliccate qui.


Capitolo 1


L’ebbrezza di viaggiare sulla Luna

Con la coda dell’occhio la vidi che armeggiava sullo smartphone. Fu quasi un riflesso condizionato. Si era zittita di colpo da un paio di minuti, interrompendo un monologo sullo stile architettonico a suo dire fumettistico delle fabbriche che costeggiavano quel tratto d’autostrada. Prima ancora, stava ammorbando l’abitacolo con l’ennesima sigaretta.
“Dicono qualcosa di noi?”, le domandai, annoiato dallo scenario. Nel giro di qualche decina di chilometri, boschi, montagne e gallerie avrebbero rimpiazzato in larga parte ciminiere, loghi di cartiere e cementifici e campi incolti.
“Veramente ora stavo controllando altre cose”, mi rispose lei sovrappensiero. Ma si riscosse all’istante. “Tu invece cosa stai controllando? La strada o le smagliature del mio collant?”
“Tutti uguali voi uomini”, la imitai io, canzonandola con uno dei suoi cavalli di battaglia che, a ben pensarci, poco le si addiceva.
“Guida, Guy”, mi esortò con indifferenza, prima di tornare a concentrarsi sullo schermo del telefono.
Alzai il volume dello stereo. I Violent Femmes minacciavano di pubblicare un nuovo disco. Il repertorio classico aveva sempre il suo fascino, però. Quando si chiudeva in sé stessa, non c’era che da attendere che le passasse. Finché non decideva di estraniarsi dal suo estraniamento, Vicni ed io eravamo due strade parallele. Due pianeti che ruotavano attorno alla Luna. Due dualità a distanza di sicurezza.


Gettai uno sguardo al sedile accanto al mio. Ebbi l’impressione si fosse smaterializzata. Era in realtà sprofondata; già era piccolina e in quelle circostanze lo era ancor di più.
“Gioia, tutto ok?”, mi azzardai a domandare.
“Carrie… Dawson… I miei batuffoli di pelo. Chissà come staranno adesso. Tutti questi giorni senza di me…”
“Li hai lasciati a tua mamma, no? Se ne occuperà lei.”
“La mamma non è stata in grado di occuparsi di non far andare via papà con un’altra! Me li farà finire schiacciati sotto un camion! Accidenti a quando non li ho affidati a qualcuno meno irresponsabile.”
“Non devi preoccuparti, dai retta a me. O perlomeno, se ti preoccupi tu, io dovrei avere attacchi di panico ogni cinque minuti se penso alla mia Sheena.”
“Sheena è la regina della giungla?”
“No, Sheena è una punk rocker. Oltre che una micia adorabile. E ho dovuto alloggiarla a casa di mia sorella più grande, e soprattutto di quel bestione del suo fidanzato. Io ti farei vedere il soggetto. Un bomber patentato che a trent’anni passa ancora le giornate ai giardinetti insieme ai suoi degni amici. Mia sorella non poteva che cedere al suo irresistibile fascino da avanzo di galera. Povera Sheena. Il tempo di abbassare la guardia mezzo minuto e quello me la scuoia viva e la vende a tranci ai cinesi.”
Si accese un’altra sigaretta.
“Se già il primo giorno fumi a nastro, tra una settimana qua dentro l’aria si sarà solidificata. I tizi della Luna ci faranno un cazziatone quando gliela riportiamo esalante nicotina anche dalle guarnizioni.”
“Quelli là ci devono solo ringraziare”, sentenziò Vicni con la vocina pedante che sfoderava per impartirmi grandi lezioni di vita. “Un gruppo famoso va a giro sul loro pidocchioso minivan, su e giù per le strade di tutta Italia a sbandierare la sigla ‘Autonoleggio La Luna’ che quei megalomani hanno appiccicato davanti, dietro e su tutt’e due le fiancate, insomma gli facciamo un casino di pubblicità, e vorrebbero aver da ridire per un paio di sigarette?”
“Fatina, non credo la loro concezione di gruppo famoso vada molto più lontano dei Pooh.”
“Problemi loro. Facciano una ricerca su Google. Dovrebbero ringraziarci in ginocchio se ci spostiamo a bordo di uno dei loro catorci”, insisté.
“Ci spostiamo a bordo di uno dei loro catorci perché non ci possiamo permettere nulla di meglio”, le feci notare, cozzando contro le sue sparate sul gruppo famoso. “E poi io ci sono affezionato alla Luna. Si lascia guidare, ci puoi caricare tutto l’occorrente e ci rimane un sacco di spazio vitale. Senza contare l’ebbrezza di viaggiare sulla Luna!”
“Ma quale ebbrezza. Io sono affezionata a quello che stiamo portando avanti insieme. Ai risultati che abbiamo ottenuto finora. A chi sta credendo in tutto questo.”
“Ci stanno credendo perché tutte le cose che hai appena elencato funzionano. Perché ne vale la pena. Perché nessuno ha mai osato proporsi con questa convinzione come la risposta italiana ai White Stripes.”
“Anche se noi con i White Stripes non c’entriamo un accidente!”


“Appunto. Ma nessuno ci fa caso. I White Stripes sono finiti da secoli. La gente qui da noi si ricorda il coretto, i mondiali di calcio, l’uomo e la donna. Il resto sono dettagli. Il genere musicale, la strumentazione… dettagli, banalissimi dettagli di nessun peso. Un paio d’ingredienti vagamente simili e puoi convincere chiunque!”
Vicni abbozzò un sorriso, per quanto non convintissimo. Con la sua testa corvina e le stimmate dark disseminate in un corpo esile e minuto, piuttosto che la metà femminile dei White Stripes, pareva una Christina Ricci poco più che adolescente. Certe volte dubitavo avesse realmente ventisei anni.
“Beato te che credi ciecamente in queste trovate di marketing da strapazzo”, aggiunse poi, increspando il sorriso fino a trasformarlo in un broncio.
“I fatti ci danno ragione. L’importante è dare al pubblico due o tre cosine di cui parlare, su cui costruire un minimo d’immaginario. I White Stripes, nel nostro caso, erano il punto di partenza. Da lì abbiamo tirato su il nostro universo, restando in quella scia ma riuscendo a distinguerci. Tu per esempio suoni molto meglio di Meg White. Io invece sono molto meno figo di Jack White; però in compenso sono molto più scarso di lui come chitarrista. E poi…”
“E poi essendo in due ci risulta molto più semplice trovare ingaggi per i live”, cantilenò lei, interrompendomi. Di solito mi rinfacciava questa mia uscita nei periodi di ristagno dell’attività concertistica.
“Preciso. Al momento, la situazione dei locali italiani dove si suona dal vivo si commenta da sé. Un gruppo come il nostro lo puoi proporre tranquillamente nelle più svariate situazioni. Dal centro sociale al locale pseudofighetto in orario da aperitivo. Due è il numero perfetto!”
“Però se tutti ragionassero così, dovrebbe esserci molta più concorrenza. Fai conto che una band di quattro elementi si sciolga. Dalle ceneri della band nascono un duo e un solista, e mettiamo pure che il quarto si dedica ad altro. Se da ogni gruppo vengono fuori altri due o tre progetti, sarà il caos più totale!”
“Eh? Cos’è, l’albero genealogico dei falliti dell’indie italiano?! Di questo passo, il prossimo tour lo faccio con una street band di otto elementi anziché con un’aspirante prof di matematica!”
Intanto, la cartellonistica autostradale e il navigatore segnalavano che ci stavamo avvicinando alla nostra destinazione. Il cielo era scuro e il clima aspro, ma i nostri cuori battevano forte in previsione di ciò che ci attendeva.
“Questo tour sarà radicale distruttivo!”, esclamai, vedendo un numero di chilometri inferiore ai dieci sotto il nome dell’uscita che dovevamo imboccare.
“Mi piace!”, fece lei di rimando. Era il suo grido di battaglia da stacanovista dei social network. Alzò il pollice per ribadire. Il suo smalto nero non rendeva l’idea del ditone celeste di Facebook, ma per me andava bene.
Adoravo quella ragazza. Le sue diecimila complicanze non m’impedivano di adorarla. Quella storia dei White Stripes italiani, sì, era una forzatura, buttata lì per farci pubblicità, per creare hype. Ma io mi ero ormai convinto che potessimo in qualche modo ripercorrere le loro orme, con le debite proporzioni all’interno di quel microcosmo musicale ristretto di numeri e di vedute che era l’indie italiano.
E chissà com’erano le tournée dei White Stripes agli esordi. Chissà di cosa parlavano Meg e Jack durante gli spostamenti in furgone da una città all’altra. Chissà se erano davvero (ex) marito e (ex) moglie che facevano finta d’essere fratello e sorella, stratagemma che anche noi cercavamo di portare avanti. Chissà se invece erano tali e quali a noi due.
Il motore della Luna a pieno carico fece qualche rumore non granché rassicurante, mentre scalavo le marce per uscire dall’autostrada e pagare il casello. Feci un gran sorriso al tipo dietro lo sportello, che si guardò bene dal ricambiare. Prese i soldi, mi dette gli spiccioli di resto e tirò su la sbarra. Tutto senza dire una parola né degnarmi d’uno sguardo. Vicni non protestò perché avevo scelto di perder tempo da quello zombi anziché usare la carta di credito in una delle tante casse automatiche con l’ingresso a strisce blu sull’asfalto. Anche lei sentiva l’adrenalina entrare in circolo. Il gioco stava per iniziare.

La prima data del minitour italiano di 2 Dualità era in programma quel giovedì sera a Genova.



Appuntamento con il secondo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna" su questo blog da Giovedì 11 Febbraio




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2 commenti:

  1. Risposte
    1. Grazie! Appuntamento tra 7 giorni, stessa spiaggia stesso mare... sperando il meteo non sia troppo inclemente stavolta!

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