Terzo album per i Clustersun edito da Little Cloud/ Icy Cold. Abbiamo parlato dello psych rock dal respiro internazionale di "Avalanche" e di tanto altro in questa intervista a cura di Maurizio Castagna.
Salve ragazzi e grazie della disponibilità. Partiamo subito da "Avalanche", la vostra ultima uscita, e dalla sua realizzazione. Dietro questo disco c'è un nome importante come quello di James Aparicio e due etichette come Icy Cold e Little Cloud. Come è nato il disco e quanto queste collaborazioni hanno influito sul prodotto finale?
Ciao Riserva Indie e grazie a voi per l’attenzione e lo spazio dedicatoci! La gestazione di “Avalanche”, come già quella dei due album precedenti, si è compiuta principalmente durante le nostre sessioni di prova: siamo soliti perderci in lunghe jam di improvvisazione, che registriamo e riascoltiamo con attenzione a orecchie fredde, alla caccia dei momenti più ispirati attorno a cui poi strutturare i brani veri e propri. È un metodo nel quale crediamo molto, e che ci consente di mantenere sempre una dimensione massima di spontaneità creativa. A livello di suono, poi, l’intervento di James Aparicio, che ha curato il mix ed il mastering, è stato decisivo. Conoscevamo il lavoro eccezionale che aveva svolto con Spiritualized, Mogwai, Depeche Mode, Liars, Throw Down Bones, Cult Of Dom Keller e da ultimo abbiamo adorato la sua produzione per “Kykeon”, l’ultimo album dei nostri amici Rev Rev Rev; gli abbiamo dato praticamente carta bianca, certi che avrebbe fatto suonare questo disco nella maniera più esplosiva e impattante possibile. Ed infatti le nostre aspettative, già altissime in partenza, sono state superate di gran lunga: James ha plasmato un suono maestoso, allo stesso tempo restituendo una fotografia perfetta della nostra attitudine live. Senza giri di parole, lui è uno che fa la differenza. Successivamente, con il master del disco appena sfornato, abbiamo avuto la fortuna di catturare l’attenzione di due etichette come Icy Cold Records e Little Cloud Records, label di riferimento assoluto per gli amanti di psych, shoegaze e post-punk. Ma, ciò che più conta, sono realtà portate avanti da persone animate di passione vera, con un’etica che pone sempre al centro l’artista: qualcosa che nell’ambiente discografico, anche indipendente, non è assolutamente così scontato da trovare.
Rispetto a "Out of your ego" e "Surfacing to breathe" come si colloca "Avalanche"? E' la naturale evoluzione dei primi due dischi o state cercando di esplorare nuove vie per "contaminare" il vostro suono?
Questo ultimo lavoro rappresenta per noi uno step enorme in termini di messa a fuoco, maturazione, consapevolezza di noi stessi e del nostro percorso come band. I brani del nostro primo album, “Out Of Your Ego”, erano caratterizzati da atmosfere eteree, rarefatte, dreamy, pur se tendenti all’oscurità. Con il secondo LP “Surfacing To Breathe” abbiamo iniziato a plasmare suoni più impattanti e densi, lasciando che la componente psych e space portasse il nostro shoegaze verso territori maggiormente aspri e potenti. Adesso con “Avalanche” il balance sonoro si è sicuramente spostato in direzione di una ulteriore aggressività e immediatezza muscolare; allo stesso tempo sentiamo di aver trovato una dimensione assoluta di autenticità sonora ed estetica. In questi 8 brani convivono le dilatazioni shoegaze, le allucinazioni acide della psichedelia, la furia ed il rigore del post-punk, tutto miscelato per colpire più forte possibile: “psych-gaze siderale” leggevamo in una delle ultime recensioni di “Avalanche”, ed è una definizione nella quale ci ritroviamo totalmente. A ben vedere, la nostra parabola artistica si è mossa in direzione contraria rispetto al classico iter evolutivo secondo cui, dopo un esordio discografico incendiario, si tende a virare progressivamente verso approcci meno furenti e più riflessivi. Nel nostro caso il trascorrere del tempo, invece di portare quiete, sembra aver enfatizzato esponenzialmente la furia.
Dal punto di vista dei testi c'è un concetto, una storia che lega tutti i brani del disco?
Il concetto alla base dei testi di Avalanche è l’irrisolto, che sia nella ricerca spasmodica e dolorosa di una realizzazione personale che sfocia invece nel rimpianto (come in “Desert Daze”), oppure nella descrizione di un amore puro ma destinato ai contorni sfumati di un sogno eterno come in “Sinking In To You”. Attraverso il concetto dell’irrisolto si avvia un’esplorazione intima e profonda di noi stessi, una sorta di purificazione accompagnata da una pioggia di suoni, che talvolta si fa sottile ma più spesso si fa tempesta.
La vostra proposta ha varcato gli stretti confini del belpaese per affermarsi un po' in tutto il mondo. "Avalanche" ha avuto giudizi positivi ovunque. Mentre in Italia la recensione è un articolo che sovente serve solo a mettere in evidenza l'ego di chi scrive, com'è l'approccio della critica all'estero? Ci sono aspetti della vostra musica che son stati colti più all'estero che in Italia?
La risposta di critica ad “Avalanche” è stata davvero entusiasmante: su questo lavoro sono state spese parole importanti e unanimi fin da subito, si all’estero che in Italia, e questo ci ha gratificato enormemente. È verissimo che qui da noi, spesso, la recensione di un album diventa pretesto per liberare velleità letterarie più o meno sopite, o in generale per “espansioni”, tutt’altro che necessarie, di personalità già fin troppo debordanti. Tuttavia, per quanto ci riguarda, finora siamo stati fortunati nel trovare sempre penne attente e appassionate, in grado di raccontare e mettere in evidenza la nostra musica senza tracimare in onanismi autoreferenziali. Un altro profilo che ci ha dato soddisfazione è stato proprio il riscontrare come il senso, l'intenzione di questo ultimo album, siano stati colti in maniera molto precisa, sia dalla stampa nazionale che da quella straniera: il lavoro svolto sul suono, sulla scrittura, i riferimenti e soprattutto lo scarto evolutivo rispetto alle precedenti prove discografiche sono tutti aspetti che, con grandissimo piacere, abbiamo trovato compresi e sottolineati con grande efficacia in ogni giudizio che abbiamo letto.
Arrivate da una città, Catania, che nel corso degli anni ha sempre espresso nomi importanti per la scena "alternativa" nazionale. Due band tra le tante: Denovo e Uzeda. Com'è la situazione oggi, al netto della pandemia? C'è ancora una scena, un reticolo di locali in cui riescono ad esprimersi eccellenze come, ad esempio, i Clustersun?
Catania ha vissuto negli anni ’90 una stagione importante di fermento culturale e rinascita sociale, illuminata non solo dalle band fondamentali che citavi, ma da tutto un panorama artistico di grandissima caratura, che si muoveva in un contesto frizzante, vitale, agitato da personalità vulcaniche come quella di Francesco Virlinzi e che celebrava i suoi riti in un circuito di locali diventati leggenda. Erano i tempi della “Seattle d’Italia”, una etichetta che però, alla prova del tempo, si è rivelata piaciona, semplicistica e maledettamente ottusa. Perché quella stagione così mitizzata non è stata in grado di dare continuità a sé stessa, inaridendosi sino a morire e senza lasciare frutto alcuno: è rimasto solo un concetto vuoto, un brand sterile, crogiolo per nostalgici e passatisti. La realtà odierna dice che l’unico patrimonio non eroso è quello rappresentato dalla qualità della musica che si fa sotto il vulcano: band e artisti di livello ce ne sono a iosa e scalciano per farsi sentire. Ma lo sanno in pochi, se non solo loro. Adesso manca il contesto in cui fare fiorire qualunque progetto, sono ormai pochissimi i locali di medio-piccolo cabotaggio che rischiano affidando palchi a band con che propongono inediti. Manca un pubblico curioso, con la voglia di scoprire il nuovo invece di farsi cullare dal già sentito. E manca anche la capacità degli artisti stessi di unire la forze, fare fronte comune, coordinarsi, concepire una visione: non esiste una “scena”, ma solo monadi con un orizzonte limitato alla propria mattonella. Tutto questo già ben prima della pandemia, quindi oggi siamo proprio ad un punto zero. Il che per certi versi è persino consolatorio, perché sai che peggio di così non può andare e se qualcosa si muoverà, da adesso in poi, potrà essere solo in meglio.
In Italia c'è la tendenza a "etichettare" tutto, anche e soprattutto in ambito musicale. Un artista si porta in dote un numero di "tag" che spesso diventa la chiave d'accesso per essere ascoltati e non solo in ambito streaming ma anche e soprattutto dal vivo. La mia impressione è che all'estero il pubblico sia più disposto a lasciarsi "conquistare" dalla bravura di un artista sconosciuto piuttosto che ricercare la sicurezza dei suoni in artisti che già conosce. Voi che avete suonato molto all'estero avete avuto questa impressione?
Assolutamente sì, e ne abbiamo avuto prova lampante soprattutto in occasione del nostro tour negli Stati Uniti del 2015. L’approccio del pubblico lì era di massima curiosità, potevi percepire la voglia di scoperta, anche con quel connotato a metà tra il feticismo e l’atteggiamento “indie duro e puro” dell’elevazione a culto personale di act ancora fuori dal cono di luce. In Italia, invece, la logica è quasi sempre opposta: ti vengono a sentire solo se è l’hype a precederti, ovvero quando certa stampa o personaggi di riferimento ti iniziano ad “accreditare” in qualche modo. Prevale una diffusa pigrizia d’ascolto e anche un atteggiamento un pò provinciale, purtroppo.
Tempo fa si parlava di "Italogaze" con gruppi come Soviet Soviet, Stella Diana, Rev Rev Rev, oltre, ovviamente, a voi. Ci sono delle peculiarità che accomunano tutti questi gruppi rispetto alle altre scene "shoegaze" internazionali?
Nonostante un contesto nazionale tutt’altro che favorevole al proliferare di una scena del genere, tutta il panorama del c.d. “italogaze” si è imposto come una realtà ormai solidissima e apprezzata unanimemente e con grande entusiasmo all’estero. Forse proprio le difficoltà del venir fuori in una dimensione tradizionalmente poco avvezza a certe sonorità, determinano di fatto una selezione naturale che fa emergere band dal peso specifico e motivazione ben al di sopra della media; ognuna, peraltro, con una identità, un suono perfettamente riconoscibile e mai impantanato nelle secche di un mero citazionismo. Ecco forse è proprio questo che si potrebbe individuare come elemento unificatore, per assurdo: l’eterogeneità e la personalità della proposta musicale di ognuna delle band della scena tricolore. La riprova di tutto questo è il successo dell’In A State Of Flux, il festival itinerante che raggruppa tutti noi dispensatori tricolore di fuzz e riverbero, e che speriamo si arricchisca presto di un nuovo capitolo, ora che la pandemia sembra finalmente arretrare.
Tornando alla Sicilia non si puo' che parlare di Ypsigrock, un piccolo gioiello che dimostra quanto la passione possa portare la musica anche nei posti più lontani e logisticamente complicati. Avete mai suonato a quel festival?
Più che un festival, Ypsigrock è una esperienza, uno stato dell’animo, un momento di condivisione che non ha eguali, in termini di piacevolezza, anche paragonato a realtà più grosse e strutturate. È qualcosa di molto difficile da descrivere a parole, va vissuto nella ritualità dei suoi quattro giorni e nell’unicità della sua formula imbattibile: selezione musicale illuminata e un contesto impareggiabile come quello di Castelbuono. Noi l’abbiamo sempre vissuto da spettatori, ma non so che daremmo per poterci esibire lì. Essere siciliani, in questo caso, rappresenta senz’altro un handicap, considerato che la mission del festival è proprio quella di portare nella nostra terra artisti che non è facile sentire senza doversi spostare in continente. Ma mai dire mai.
E' in programma un tour per promuovere “Avalanche"?
Certamente, anzi proprio in questi giorni stiamo chiudendo una serie di date che ci vedranno impegnati a partire da ottobre in Nord-Italia, Francia, Germania, Austria, Svizzera e Olanda. E per il 2022, grazie al supporto di Little Cloud Records stiamo mettendo in cantiere un ritorno negli Stati Uniti. Speriamo di poter chiudere anche qualche data estiva a breve se, come sembra, il trend al ribasso dei dati sulla pandemia si consoliderà, magari con un ritorno a concerti senza limiti di capienza o distanziamento.
"Avalanche" è disponibile, oltre che in formato digitale, anche in vinile e cd. Come è possibile acquistare il disco e interagire con voi?
“Avalanche” è disponibile in vinile splatter edizione limitata, cd e formati digitali direttamente sul nostro bandcamp (https://clustersun.bandcamp.com) o su quello di Icy Cold Records (https://icycoldrecords.bandcamp.com). L’edizione in vinile è disponibile per Stati Uniti, Canada, Centro-Sudamerica, Oceania sul sito di Little Records (https://littlecloudrecords.com). Per interagire con noi potete trovarci su
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