La fortunata stagione del progressive italiano occupa solamente cinque
anni, dal 1971 al 1974 compresi, con esperienze proto del 1970 ("Sirio
2222" del Balletto di Bronzo) e post del 1975 (Napoli Centrale),
passando attraverso i grandi album dei magnifici sette (Premiata
Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Orme, Osanna, New Trolls,
Area, Battiato). C'è da dire che molta di questa produzione sta
attraversando attualmente un periodo di rivalutazione (come accade per
molti B-movie diventati cult) a tratti eccessiva, con tanto di
conseguenti reunion e tournée spesso infruttuose. Non si starà forse un
po' esagerando? C'è da essere onesti, molti album storici di certi
gruppi, se paragonati ai cugini anglosassoni, fanno davvero sorridere.
Volete mettere "Pawn hearts" dei Van der Graaf Generator a confronto con
"Aria" di Alan Sorrenti (peraltro tra i migliori del prog italiano)?
Niente da fare, lo "spaghetti prog" non raggiunge i fasti dello
"spaghetti western", quanto a credibilità e automia rispetto agli
originali. Album di gruppi come il Rovescio della Medaglia, The Trip
(entrambi con un'etichetta importante come la RCA), Delirium, appaiono
oggi invecchiati e approssimativi, poiché non reggono sia il passare
degli anni che il confronto con la produzione inglese; a differenza
invece del cantautorato, capace proprio in quegli anni di affermare
sempre più la propria considerevole identità, fino a scalzare dalla
stagione 1975/76 (nascita delle prime radio libere) tutto il prog
italiano, regnando indisturbato fino agli anni Ottanta. Tuttavia le
eccezioni esistono eccome e riescono a riscattare certa ingenuità ibrida
che sa un po' di King Crimson/Jethro Tull di serie B. Non ci sono solo i
sette big elencati all'inizio, ma almeno altri sette gruppi, tra cui
Museo Rosenbach, Perigeo e Jumbo.
Questa musica, nonostante la
numerosa produzione concentrata in soli cinque anni, non ha mai
veramente preso piede in Italia soprattutto per ragioni politiche: o eri
esplicitamente schierato a sinistra o eri contestato/snobbato. Perciò chi faceva questa musica finiva per essere chiuso in un limbo
strettissimo (pochissime le riviste e le trasmissioni radio/tv
sull'argomento) tra impegno e disinpegno, tra circuito ufficiale e
circuito alternativo/indipendente. In Inghilterra e Stati Uniti invece
era un fatto socio-culturale oltre che politico: la nuova musica nata
nel 1965 con la svolta elettrica di Dylan era il vero collante di una
generazione in lotta contro la cultura dominante, borghese,
conservatrice, moralista e autoritaria. Concludendo si può dire che,
volendo ridurre la nuova musica di matrice anglosassone solo a lotta
politica, in Italia si è persa l'occasione di conferirle il posto che
merita: l'arte.
Testo di Jordan Giorgieri dei Doppiofondo
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