Ci sono artisti di grande qualità che hanno una sorta di superpotere: quello di farci sentire a casa appena ci si mette in ascolto dei loro dischi.
Confucio scrisse “La mia casa è piccola ma le sue finestre si aprono su un mondo infinito”.
Mi succede la stessa cosa con Umberto Maria Giardini che in 25 anni di carriera ha mantenuto intatta la sua coerenza artistica e di stile.
Il suo ultimo lavoro, dal titolo “Olimpo diverso”, uscito a novembre 2025 per Tempesta dischi, è un vero e proprio concept album che ha come filo conduttore il tentativo di comprendere i cambiamenti che caratterizzano l’epoca storica che stiamo vivendo.
Probabilmente si comunica di più, ma lo si fa peggio. Sempre più spesso, l’obiettivo ultimo non è più condividere realmente, ma soltanto ottenere consensi o aumentarne il numero.
Una situazione grottesca a cui ci siamo (quasi) abituati.
Nella titletrack, le intenzioni del cantautore sono messe subito in chiaro: all’ascoltatore viene richiesta concentrazione, apertura mentale, propensione all’introspezione. Descrive se stesso come un agnostico che non teme di ammettere il declino dei valori della società contemporanea e che alla pietà continua a preferire la realtà.
“Frustapopolo” è una delle canzoni più importanti dell’intero disco. Autodefinita “la mannaia che amputa l’ipocrisia, attraverso la quale attualmente tutto si sviluppa e tutto sopravvive”. Anche qui si vorrebbe porre fine alla falsità, diventata ormai caratteristica dei rapporti umani. L’uomo moderno diventa martire del suo tempo: annichilito e sopraffatto dagli impegni e dalle responsabilità, non trova uno spazio per manifestare le proprie emozioni. E’ un brano di chiaro carattere politico che pone l’accento su quanto il dolore e la sofferenza degli operai d’oggi siano in contrasto con la visione della vita di molti giovani.
In “Energia”, un arpeggio ipnotico ci trascina in un’atmosfera alternative-rock che sa farsi vibrante ed incisiva. Le liriche parlano di un legame sentimentale che si è spento. Non ha più importanza capire chi sia il responsabile dell’epilogo di una relazione: aleggia solo confusione, aggressività e un ambiguo vigore che non si è in grado di gestire.
Non possiamo non citare le struggenti “Vipera blu” e “Paga la vita”, vere perle dell’intera opera. Entrambe rimandano in maniera evidente al progetto Moltheni e sono di una disarmante intensità emotiva. La prima è una malinconica ode all’amore perduto, in cui sarcasmo, cinismo e razionalità danzano liberamente, rivelando che le radici dell’autore sono ben salde e la marcata identità sonora ed artistica che ben conosciamo non è stata intaccata dal trascorrere degli anni (“Peggio per te che non ti importa mai di niente, che ti nutri dell’oscenità di tanta gente. Meriti me, io davvero non direi. Ci incontreremo nella lava laggiù all’inferno. Nel tormento dei tuo io mi vedo anch’io”).
“Paga la vita”, affrontando il tema della routine e della noia, ci lascia sospesi a galleggiare leggeri nelle splendide armonie distese tipiche del buon post-rock intimista (“A malapena la calamita del mondo ci attraeva arrotando i coltelli del tempo”).
Nell’album trovano spazio anche una composizione completamente strumentale, code sperimentali, suggestioni nostalgiche e bellezza poetica decadente (“Pigri ignoranti belli e lontani, come gabbiani avviliti nei propri divani” - Pietre nell’accappatoio).
Olimpo diverso è un disco che parla di amori al capolinea, di rapporti interpersonali e di quanto si siano modificati, nascendo e disperdendosi quasi alla stessa velocità con la quale si tende a fruire di tutto: musica, film, serie TV. La scena musicale è apparentemente sempre più ricca ma in verità è bloccata e condizionata dal rapporto deviato tra music-business e televisione.
Umberto Maria Giardini approda a questa sua ultima uscita discografica con una rinnovata consapevolezza della magnetica forza espressiva della sua cifra stilistica. Sa graffiare senza mai dimenticare l’eleganza e la grazia che da sempre lo contraddistinguono. Per mezzo di liriche schiette ed evocative, la sua scrittura si veste di efficacia persuasiva, sagacia, dubbi, domande e ipotesi di risposte demandate a chi ascolta. L’autore ha recentemente dichiarato di “creare senza conoscere la direzione, di cercare un orizzonte che prima non c’era, fino ad intravederlo”. Mi sono venuti in mente i marinai descritti da De André in “Crêuza de mä”, che rientrando dopo una lunga e faticosa traversata in mare, ritornano non solo a casa, ma anche alla propria essenza. Chissà se anche Umberto Maria Giardini, così come loro, è riuscito riuscito a fare lo stesso e a scorgere una prospettive nuove.


Nessun commento:
Posta un commento