Ciao Francesco e benvenuto a Riserva Indie. Nei tuoi libri hai analizzato e sviscerato, facendo parlare i protagonisti principali, la scena indipendente italiana della prima parte degli anni Zero. "Riserva Indipendente" e "Fuori dalla Riserva Indipendente" fotografano perfettamente quel momento storico per la musica "alternativa" in Italia. Nel giro di pochi anni quella scena è cambiata notevolmente sia nei contenuti sia nei protagonisti. Come giudichi la scena di oggi? Si può parlare ancora di musica indipendente in Italia?
Quando ho scritto "Riserva Indipendente" era il 2012. In quel periodo ricordo che l'utilizzo del termine "indipendente", legato all'ambito musicale, era massiccio. Per cui ho iniziato a interessarmi a quello che, allora, aveva le sembianze di un movimento anche culturale. Ma quella carica è mutata. L'indie di allora si è trasformato nel pop di adesso, caratterizzato da un massiccio uso di synth. Se questo, di fondo, non è necessariamente un problema, lo diventa nel momento in cui si omologa tutto. Mi spiego meglio: l'utilizzo di certe atmosfere è nato con I Cani, poi i TheGiornalisti lo hanno legittimato fondendo i synth con il pop. Da lì tanti progetti sono nati o si sono trasformati facendo propria questa modalità di porsi, a livello musicale. Trovo che questo, oltre a togliere interesse nei confronti di altre proposte, abbia appiattito molto la situazione creativa. Non vedo più molta voglia di sperimentare davvero, e il pubblico mi sembra abbastanza lobotomizzato. Avevo sottolineato questo andazzo da follower, piuttosto che da leader, in "Fuori dalla Riserva Indipendente", che fin dal titolo guardava in termini critici a questo cambiamento.
Il concetto di musica indie in Italia è quanto mai vago. Cosa significava essere indie 10 anni fa e cosa significa oggi?
10 anni fa, a mio modo di vedere, era più una scelta. Oggi "indie" è un termine che si è legato a una condizione effettiva, e positiva per chi la abita. Intorno all'indie è nato un circuito, e interesse. Quindi entrare in questo tipo di concezione è diventato un vantaggio. Niente di male se non fosse che alcuni progetti si sono "violentati" per fare questo passo.
I grossi network hanno aperto a un certo tipo di musica indipendente. Motta, Zen Circus, Brunori, giusto per fare tre nomi, passano regolarmente in radio che fino a poco tempo fa li ignoravano. A cosa è dovuto questo cambio di rotta dei vari Dee Jay, Rtl e compagnia bella?
Il perché è dettato dalla scomparsa dei "dinosauri" della musica italiana, che per questioni anagrafiche devono essere sostituiti. Ed anche perché il pubblico che segue i nomi che hai citato è tendenzialmente giovane, e quindi ha sensibilità e gusti che non coincidono con vecchie proposte. Poi, ovviamente, ci sono interessi più o meno chiari, che spesso sfuggono anche a molti addetti ai lavori.
La scena indie italiana è stata quasi sempre caratterizzata da una certa collocazione politica che trovava il suo naturale sfogo sul palco del Primo Maggio a Roma. Parallelamente all'abbandono di tematiche politiche ha conquistato consenso in un pubblico più vasto fino a trovare spazio anche nelle classifiche di vendita. Pensi che a questa scena abbia giovato la sua graduale spoliticizzazione?
No, penso anzi che si sia svuotata. Non voglio essere politically correct, e non sono concorde con chi dice che nella musica sia importante non parlare di politica ecc. Mi cadono le palle quando leggo interviste di artisti che dicono di non voler veicolare nessun messaggio con la propria musica. Com'è possibile? Il Teatro degli Orrori è un grande progetto anche perché testualmente tocca certi temi in certi modi! E così lo fanno, in modo differente, Brunori Sas, I Ministri, Uochi Toki...
Uno dei problemi, a mio parere rilevanti, della musica in Italia è la mancanza di una seria critica musicale. Sia le riviste sia le webzine pubblicano montagne di recensioni in cui difficilmente si trovano giudizi negativi. Il voler promuovere tutti a tutti i costi non abbassa il livello sia della scena sia di chi ci scrive?
Concordo pienamente. E anche questo globalizza i fenomeni. La piaggeria non fa per me. Con questo non dico che l'ipercriticismo sia per forza un valore, ma sicuramente la capacità critica va esercitata e sulle riviste italiche accade raramente. Le penne che valgono davvero sono poche, tra queste vorrei citare Gianni Della Cioppa, Gioele Valenti, Federico Guglielmi, Michele Monina (vedo già i nasi arricciarsi per il paventato ipercriticismo del soggetto, ma ha diversi meriti per via di scoop che "tutti sanno" ma nessuno dice), Renzo Stefanel, Carlo Bordone.
Hai pubblicato un libro sulla scena di Verona negli ultimi 35 anni. Com'è fare musica in una terra, il Veneto, dal tessuto politico "particolare" rispetto a gran parte dell'Italia?
Verona è una città imborghesita. Da ormai qualche anno il fervore che animava l'epoca che ho vissuto io, quella di inizio anni 2000, è sparito. Internet ha atrofizzato le coscienze e l'attenzione, l'emigrazione ha portato via anche molti giovani. E questi ultimi non sembrano interessati al rock e al live, se non di artisti rap/trap, o dj set. Non c'è stato ricambio generazionale. I ragazzi raramente frequentano festival e locali in cui seguire concerti. E' profondamente triste. Da par mio continuo a partecipare a fiere, festival e concerti, ma mi sono anche distaccato un po' dalla scena locale, che per tanti anni ho descritto anche sulle pagine de L'Arena, il quotidiano della città. L'ho fatto per preservare un po' di romanticismo. Quello della musica è un mondo spigoloso, soprattutto se lo si vuole vivere con le spalle dritte, dicendo la propria con coscienza piena del tema trattato.
La musica oggi è fondamentalmente liquida. L'abbandono del formato fisico da parte degli ascoltatori ha inciso molto sulla scena e i suoi protagonisti?
Certo che sì. I vantaggi che lo streaming e i relativi servizi (Spotify, Deezer...) forniscono sono essi stessi difetti. La fruibilità quantitativamente illimitata non solo paga dazio a livello qualitativo, ma obnubila la capacità di selezione dell'ascoltatore medio che sovente - e questo lo dico sia per esperienza sia per testimonianze dirette - si trova in difficoltà, non sa cosa ascoltare. E magari si affida alle classifiche viral, di fatto annullando le differenze con quello che propongono le maggiori radio, asservite a quei 40/50 brani che ruotano per lunghi periodi. Non voglio dire che Spotify non sia comodo da ascoltare in auto o a casa, ma senza dubbio i lati oscuri ci sono, e sono gli stessi che caratterizzano internet. Tra questi la difficoltà di approfondimento, lo skip selvaggio.
Tornando ai tuoi libri e ai tanti personaggi che hai intervistato: c'è qualcuno che secondo te avrebbe meritato molto di più di quello che poi ha effettivamente raccolto?
Certo. Sicuramente Daniele Celona e Marco Iacampo, entrambi autori di alto lignaggio, che hanno scelto linguaggi molto diversi ma in cui trovo molta qualità. In particolare "Flores" di Iacampo e "Amantide Atlantide" di Celona toccano picchi difficili da trovare in Italia, e non solo negli ultimi 20 anni. Lo stesso Parente meriterebbe di più, come pure Benvegnù, nome di culto in certi ambienti ma abbastanza ghettizzato. La proposta non è facile, quindi riesco anche a comprendere alcuni perché di un mancato successo su larga scala. D'altronde se il pubblico fosse avvezzo a certe proposte credo che il mondo là fuori ne risentirebbe positivamente, o sbaglio?
Fino a pochi anni fa per conoscere una scena era fondamentale frequentare i luoghi in cui questa si sviluppava. Parlo soprattutto dei club, circuito fondamentale di ogni scena musicale che si rispetti. Oggi una persona stando comodamente seduto nel tinello di casa ha la sensazione di "fare scena" con la sua presenza virtuale e i club per sradicarli da casa hanno dovuto scendere al livello del "dj set trash anni 80" di fine serata. Si può fare scena dal tinello di casa condividendo video sui social?
No. E' la grande truffa che da 10 anni almeno caratterizza le nostre esistenze. Ed è una grande merda, che si porta dietro dipendenze digitali riconoscibilissime, ma che molti non vogliono vedere. Ragiono molto sull'andazzo e, credimi, non sono un vecchio bacchettone. Ma quello che vedo è che alla grande libertà d'informazione che doveva proporre internet corrisponde ancor più disinformazione e stupidità. Tanti connazionali, e non solo, non sono in grado di comprendere un testo. Analfabetismo funzionale (e quindi facilità di manipolazione) e onestà intellettuale sono le due nuove frontiere della rovina del nostro Paese.
Prima di chiudere due inevitabili domande. Cosa ascolta oggi Francesco Bommartini? Stai lavorando a qualche nuovo libro?
Sì, sto lavorando con molta calma a un nuovo libro, per ora top secret. Ascolto sempre di tutto. La passione per il metal non mi ha mai abbandonato, e quest'estate ho seguito la tre giorni del "Rock The Castle" con grande piacere, in particolare la domenica, con Slayer, Anselmo e Gojira sugli scudi. Mi piace la musica estrema, che non lascia indifferenti. Non so che farmene di tanti fenomeni indie odierni, davvero. Mi piace più che altro il rock, ma se devo dirti nomi italiani che ascolto volentieri oggi dico Brunori Sas (un cantautore VERO), Punkreas (schietti, dritti, a-cervellotici, anche nel periodo post "Pelle" e "facevano vero punk una volta"), Fabrizio De André (non passerà mai. Mai), Fast Animals and Slow Kids (ma molto poco. Live bravissimi, ma sul rock continuo a preferire I Ministri dei primi due album), The Zen Circus (sempre bravi e attuali), Otto Ohm (mai troppo apprezzati dal grande pubblico)... Andando sugli esteri non posso fare a meno di citare The Smiths (li adoro), Johnny Marr (visto anche al Fabrique lo scorso anno) e altri immortali, tra cui The Police, Madness, Oasis e molta musica brit. Senza scordare gli Artic Monkeys e milioni di altri progetti.
Grazie Francesco e ti aspettiamo nella "Riserva Indie" di Contatto Radio Popolare Network quando transiti dalle parti di Carrara.
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