martedì 23 ottobre 2018

"IL WRESTLING È ROCK - IL ROCK È LENTO" - SMASHING PUMPKINS LIVE A BOLOGNA IL 18-10-2018 // TESTO E FOTO DI LJUBO UNGHERELLI



Eh già. È difficile immaginare che un evento come quello dello scorso 18 ottobre, e più in generale l’intero tour “Shiny and oh so bright”, avrebbe potuto avere luogo prima della discesa di William Patrick Corgan nel campo del pro wrestling. Il suo insediamento a capo della National Wrestling Alliance, storica confederazione che riunisce molti cosiddetti “territori” soprattutto negli Stati Uniti del sud, non è certo il primo caso di noto musicista rock che si butta in questo business: basti pensare a Bob Mould o ai Misfits, rispettivamente membro del team creativo e addirittura lottatori nella World Championship Wrestling di fine anni Novanta. Il nuovo incarico di Corgan è tuttavia emblematico per comprendere l’attualità musicale, in quanto le recenti vicissitudini occorse ai suoi Smashing Pumpkins ricalcano abbastanza fedelmente le tipiche storyline in voga nello sport spettacolo americano: i lottatori si sfidano con una posta in palio, poi la faida degenera nel personale, spesso in combutta con altri personaggi che da alleati diventano all’improvviso nemici e viceversa. Similmente, l’acrimonia generatasi negli anni tra i componenti del gruppo di Chicago ha sconfinato dal piano artistico a quello umano, con la separazione e la successiva rifondazione col solo Corgan a tirare le fila, eccezion fatta per alcune sporadiche comparsate del batterista Jimmy Chamberlin, andato e venuto dalla line up una quindicina di volte. 


Tutto ciò fintanto che, alla stregua di un wrestler veterano desideroso di rilanciarsi ai piani alti della federazione, Corgan decide di rimettere su la fazione che gli aveva garantito i maggiori successi in carriera. Va dunque nuovamente ad allearsi con due degli avversari di un tempo, il suddetto Chamberlin e il chitarrista James Iha, che non si fanno pregare a rientrare nei ranghi, abbandonando la stable di reietti che costituivano assieme alla bassista D’arcy Wretzky, rimasta appiedata e logicamente inviperita e bramante vendetta. Il feud susseguente, che si consuma a colpi di venefiche dichiarazioni a mezzo stampa, è il classico momento di transizione, creato per mandare over i tre ritrovati sodali, i quali con poco sforzo sconfiggono la ex collega e si apprestano alle sfide al vertice. Nella fattispecie, l’acclamata tournée mondiale della formazione originale (sic) degli Smashing Pumpkins. 


In sostanza, i quattordicimila che hanno gremito la Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO) devono solo che ringraziare la passione di Corgan per il pro wrestling. Assuefatti ad anni di concerti in cui il caparbio leader incontrastato proponeva scalette infarcite di canzoni nuove e pochi cavalli di battaglia in locali di media capienza e ben lungi dal registrare il tutto esaurito, gli attempati spettatori convenuti sull’onda della nostalgia ritrovano i “loro” Smashing Pumpkins, quelli che non c’erano più dopo il 2000, decretandone il trionfo e mettendo idealmente la cintura alla vita del neocampione del mondo, festante al centro del ring attorniato dai suoi sgherri. Gli è bastato seguire il cliché del wrestler duro e puro ma incapace di risalire la china, che con un bieco heel turn riagguanta il successo con buona pace degli ideali di lealtà sportiva. Ecco dunque lo scenario, nel quale trova posto pure l’esibizione in apertura di Myrkur, progetto dell’artista danese Amalie Bruun, la cui bandiera nazionale, singolarmente capovolta, spicca sullo sfondo. Se nel 1988, gli Ac/Dc in tour negli Stati Uniti rimpiazzarono l’indisposto Malcolm Young col nipote Stevie e in pochi si accorsero della cosa, stante la somiglianza tra i due, è legittimo immaginare che, qualora Bruun fosse stata assoldata nel ruolo di bassista anziché di support act, l’assenza di Wretzky avrebbe potuto passare inosservata o giù di lì. L’esile, diafana figura bionda della polistrumentista nordeuropea parrebbe infatti predisposta per incastrarsi con disinvoltura nell’iconografia degli Smashing Pumpkins che furono. 


Del resto, quante volte si è assistito a simili episodi di impostura nel mondo del wrestling? Viceversa, in sostituzione della sventurata bassista, sono ben tre i carneadi scritturati, con le quote rosa comunque garantite dalla presenza di una tastierista, chitarrista e corista. Il sestetto così composto tiene il proscenio per quasi duecento minuti, durata che non smentisce la grandeur corganiana che nel bene e nel male è uno dei suoi tratti distintivi. E a proposito di questi ultimi, il suono degli Smashing Pumpkins si caratterizza sin dagli esordi per un originale impasto di chitarre pesanti, sfuriate acido–psichedeliche di matrice Settanta, azzeccati intrecci melodici musicali e vocali, reminiscenze shoegaze e intense canzoni che attraversano lo spettro che dal midtempo passando per la power ballad arriva al lento vero e proprio. 


Di fatto, la versione 2018 della band privilegia a maggioranza bulgara il comparto slowtempo. Le ballate arrivano a grappoli di sette, otto di seguito, concedendo raro spazio ai brani più rock oriented, peraltro eseguiti invero un po’ col freno a mano tirato. Poco male per gli astanti, ai quali presumibilmente basta illudersi di stare rivivendo la propria gioventù, e ci fossero state in scaletta finanche cover della sigla di “Bim bum bam” et similia, nessuno avrebbe battuto ciglio. Tant’è che viene accolta con favore persino un’improbabile rilettura di “Stairway to heaven” (far cantare i Led Zeppelin al Corgan è sensato quanto far cantare il “Nessun dorma” a Tom Waits). 


Felice il pubblico, felice Corgan, che si aggira sornione per il palco alla maniera di un Gattone Mecir espiantato dai campi da tennis dei tardi Ottanta e portato di peso nei dintorni di Bologna con una chitarra a tracolla al posto della racchetta; ben assistito dal resto della band, offre una prestazione musicalmente ineccepibile, a testimonianza di quanto di buono sia stato lasciato ai posteri nella prima incarnazione a nome Smashing Pumpkins. Per la loro versione terzo millennio, c’è un disco di inediti in uscita a breve e sarà interessante capire come ciò inciderà anche sui futuri concerti. Questo è quindi il prossimo feud che si profila all’orizzonte per la stable capitanata da Corgan, il quale, dopo aver conquistato il titolo, dovrà ora difenderlo dagli assalti di nuovi, agguerriti contendenti.


Testo e foto di Ljubo Ungherelli 


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