Ecco "Gridava al culto dell'oscurità", il quinto capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì a partire dallo scorso 4 Febbraio. Vi ricordo che potete trovare tutti i capitoli pubblicati nel link dedicato sulla nostra homepage. Continuano i concerti di Guy e Vicni che fanno tappa al Down By Law di Pisa...
Capitolo 5
Gridava al culto dell’oscurità
Il
Down By Law di Madonna dell’Acqua, un paesino sperduto nei dintorni di Pisa,
era il classico posto che più lo cerchi, meno riesci a trovarlo. Invisibile
dalla strada, ci si arrivava prendendo una viuzza sterrata che pareva portare a
un terreno agricolo, mentre finiva davanti all’edificio solitario che era la
nostra destinazione. Non male come scenario del nostro secondo concerto. Con
gran sorpresa, dato che non avevamo mai suonato da quelle parti, Pisa era stata
tra le zone più votate dai nostri fan per essere inserita nel tour sulla Luna.
E infatti, al momento di trovare la location, c’eravamo resi conto del perché
non avessimo mai suonato da quelle parti: le situazioni adatte erano
pochissime.
Il
mio amuleto portafortuna, il mio fratellino Guy scese dalla Luna saltellando
tutto contento. Era un contrasto buffo, pareva un bambino appena sbarcato al
parco divertimenti, piuttosto che un ragazzo indiscutibilmente maturo arrivato
a suonare in uno scenario lugubre a dir poco.
“Fo-to! Fo-to!”, cominciò a canticchiare,
dato che ancora non avevo ordinato l’autoscatto da condividere sui social network come primo promemoria del
concerto che avremmo fatto di lì a poche ore.
“Troppo
buio qui. Facciamone una dentro. Sperando ci siano delle luci. Vista da fuori
pare una casa disabitata da secoli.”
Se
da fuori esprimeva tetraggine, l’interno del Down By Law gridava al culto
dell’oscurità. La stanza d’ingresso aveva i muri color rosso sangue. In un
angolo, un unico lume diffondeva una luce fioca, incastonato in una specie di
tabernacolo profano, incorniciato d’oro e delimitato da due statuette che
raffiguravano delle streghe o comunque delle creature fantasy maligne. Iniziavo
a pensare che, nel bene e nel male, ci trovavamo in un locale fuori dagli
schemi triti e asettici dell’indie.
“Ricorda
il nostro logo”, suggerì Guy, avvicinandosi alla luminaria. “Le streghe al
posto dei gatti, la luce dove c’è il nome…”
“Il
top sarebbe sradicarlo e metterlo stasera sul palco!”
“Buonasera”,
c’interruppe una voce maschile proveniente dalle nostre spalle. L’uomo appena
entrato era meno caratteristico del posto di cui ci disse essere il capo. Anzi,
più che un impiegato del catasto non avrebbe potuto apparire. Era tozzo, col
cavallo basso e il torace sformato. Calvo, con pochi capelli grigi intorno alle
orecchie e sopra il collo. Non si faceva la barba da qualche giorno, a
giudicare dall’ispida peluria bianca che gli era cresciuta sul viso. Una
quarantina d’anni portata maluccio. Aveva un odore strano, pungente, e parlava
mangiandosi le parole, piegando la bocca verso destra come in un tic.
Seguimmo
Lamporecchioni oltre la porta sistemata perpendicolare a sinistra rispetto a
quella donde eravamo entrati. Facemmo qualche metro in un cunicolo
completamente buio prima d’entrare in una nuova stanza, illuminata con dei neon
molto potenti, simili a luci d’emergenza. C’erano tavolini, sedie e divani,
tutto in nero. Sui divani erano sedute quattro ragazze, scosciate e vestite
provocanti. Avevano poggiato borsette, pacchetti di sigarette e telefoni sui
tavolini. Non calcolarono nessuno di noi tre. Guy, che camminava dietro il
gestore e davanti a me, si voltò e alzò il sopracciglio. Non capii se fosse un
verso ironico, meravigliato o di preoccupazione.
“Per
quella porta là in fondo si sale di sopra”, ci spiegò Lamporecchioni, indicando
un passaggio fatto con una volta in muratura del tutto stridente col design
moderno del salotto del Down By Law. “Potete usare la vostra camera come
camerino perché un camerino vero non c’è. Il bagno è sul piano, e durante la
serata lo può usare anche il personale.”
“Grazie,
andiamo subito a prendere la nostra roba in furgone, la portiamo su e poi
iniziamo a montare il palco”, disse Guy, ordinando il dietrofront.
Lasciando
aperta la portiera, si sedette sul bordo del posto del conducente, imitando la
posa di una delle ragazze che c’erano nella stanza. Gambe accavallate, testa
reclinata di tre quarti all’indietro, mani intrecciate, sguardo enigmatico e
lingua che andava avanti e indietro lungo le labbra.
“Escort
d’alto bordo?”, gli domandai.
“Alto
non direi proprio. Avranno una tariffa standard. Il che comunque significa che
stasera guadagneranno più di qualunque gruppo indie in un mese di concerti ogni
venerdì e sabato.”
“Ma…”,
non mi venne nulla da aggiungere. Lui capì e tradusse.
“Cosa
ci fanno qui? Probabilmente l’ominide vuole unire l’utile al dilettevole. Anche
se non sembra, è un appassionato di club
culture e tendenze musicali alternative, che però non gli garantiscono
entrate sufficienti, sicché ha messo su un giro di troie per arrotondare e
tenere alto il vessillo dei concerti e delle discoteche più emancipate!”
“A
me sembra più un pappone che usa il locale e la musica come copertura per la
sua attività principale.”
“Sei
sempre la solita malpensante. Quello è un insospettabile cultore di new wave,
techno pop, dub, e poi EDM, EBM, CGIL, ANAS, AIDS… Le ragazze fanno parte del
suo piano di rilancio culturale. Ed io sono orgoglioso di contribuire a questo
rilancio! Guarda, ora aggiorno il mio status su Facebook: ‘Stasera 2 Dualità in
concerto al Down By Law di Madonna dell’Acqua. Seconda data del nostro tour
sulla Luna. E chi non viene, ha sicuramente più possibilità d’andare in bianco
rispetto a chi viene!’ Quello là si merita un monumento nella piazza del
paese!”
“Quello
là entro fine serata cercherà di strofinarmi le palle sulla batteria, per
vedere se tra un colpo e l’altro avanza qualcosa pure per lui, altro che.”
“Se
ci prova, gli strofino io qualcosa su quel muso di ciuco”, s’incupì
all’improvviso con tutta la serietà che gli riusciva di racimolare.
“Guy,
non sei credibile come maschio possessivo. Torna a sederti nella posa da
escort.”
“A
proposito di escort: pensa che bello, stanotte dormiremo stretti stretti in un
romantico letto a baldacchino dove di solito i più lerci puttanieri si sfogano
con quelle valchirie del sesso a pagamento che il buon Lamporecchioni gli mette
a disposizione!”
“Io
non dormivo stretta stretta nemmeno coi peluche da bambina, Guy.”
“E
non a caso sei diventata quel che sei diventata…”
Sbrigammo
il check abbastanza agili, tanto che eravamo una ventina di minuti in anticipo
sull’orario previsto per la cena. Eravamo quindi liberi fino al momento del
concerto. Liberi al punto che, nemmeno il tempo di bere una cosa al bar, mi
voltai e vidi che Guy era stato abbordato da una delle lavoratrici del Down By
Law.
Mi
appoggiai al bancone per seguire la scena. Guy era troppo preso nella sua parte
di ambasciatore di 2 Dualità per liquidarla. Quando suonavamo in giro, cercava
di prestare attenzione a qualunque persona lo approcciasse. Raccontava storie,
s’interessava dei suoi interlocutori, faceva domande, e sorrideva di continuo.
E del resto, non aveva motivo di star lì in attesa che lei gli proponesse le
sue prestazioni. Decisi dunque d’entrare in azione. Li raggiunsi facendo un
largo giro, fino a mettere una mano sulla spalla di Guy.
“Il
capo dice che vuol parlare d’affari con te. Ho provato a spiegargli che in
quanto più anziana, nel gruppo sono io che porto i pantaloni, ma ha detto che
lui con le donne di queste faccende non ci parla. Dice che gli affari è roba da
uomini, e che le donne servono per altri scopi”, raccontai strategicamente.
“Vado”,
obbedì lui, e sparì in fretta dalla zona delle operazioni. Ci capivamo al volo
su certe cose. Quella invece era rimasta lì interdetta. La bloccai prima che
avesse modo di ritirarsi.
“Piacere,
Vicni”, mi presentai dandole la mano.
“Vicky?”
“No. Vicni. E tu come ti chiami?”
Capii
che si chiamava Andrea. Andrea De Accm, o qualcosa del genere. Era una stangona
di un metro e ottanta più tacchi. Fisico da fotomodella insomma. Il look invece
era più consono al marciapiede che alla passerella. Un top laminato in argento,
minigonna con cintura ornata di perline taroccate e stivaloni che le arrivavano
al polpaccio. In testa, una parrucca esageratamente posticcia, una lunghissima
cascata di capelli biondi appartenuti a chissà chi. Aveva un brillantino
all’ombelico, al centro di una pancia più che piatta, seppure a giudicare
dall’alito non disdegnasse l’alcol.
“Sei
dell’est?”, le domandai ancora.
“Ucraina”,
dopo di che aggiunse una parola incomprensibile che doveva essere il nome della
città da cui proveniva.
Le
feci qualche altra domanda. Scoprii che aveva ventidue anni ed era in Italia da
tre. Che abitava in paese insieme alle altre ragazze del Down By Law, dividendosi
un appartamento di proprietà di Lamporecchioni, che tra l’affitto e la
percentuale che s’intascava sui loro servigi al locale, le sfruttava per
benino. Ad Andrea De Accm quella vita andava a genio perché la considerava un
grosso miglioramento rispetto a come se la passava in Ucraina. Durante la
giornata aveva un po’ di tempo libero e poteva andare a fare shopping a Pisa o
a volte a Firenze, oppure al mare.
“È
bello il mare. E quando vai in spiaggia ti togli tutto?”
“No!”,
sbottò lei, come l’avessi svegliata di soprassalto. “Con costume. Con costume
bagno.”
“Certo.
Sarai sicuramente uno schianto anche in costume. Gli uomini ti faranno mille
complimenti.”
“Sì”,
concesse lei, restando sulla difensiva. “Uomini passano e guardano. E vengono
qua, tanti. E fanno complimenti.”
“E
le donne? Non vengono a dirti quanto sei bella?”
“No.
Donne non lo dicono.”
“Le
donne sono invidiose di te, questa è la verità. Ti vedono come una minaccia,
una loro nemica. Hanno paura che i loro uomini non le guardino più dopo che
hanno visto te. Per questo sei segregata qui dentro. Gli uomini si godono la
tua bellezza e tornano dalle loro donne facendo finta di nulla. È nobile da
parte tua dare un po’ di gioia a questa gente triste, e farlo in segreto così
che nessuno passi dei guai, no?”
Non
rispose.
“Sei
mai stata con una donna?”
Di
sicuro non si aspettava avance così
dirette. La sua aggressività di adescatrice si era del tutto sgonfiata. Peccato
che da me non avrebbe ricevuto un centesimo per fare sesso, e anche se avesse
accettato di appartarsi, c’era il rischio che Lamporecchioni non prendesse con
sportività quella distrazione dal lavoro. L’arrivo della cena in tavola mi
aiutò a spegnere l’interruttore e mettere da parte quei pensieri. Mi allontanai
a malincuore da Andrea De Accm per andarmi a sedere accanto a Guy.
Le
ore trascorsero lentamente, d’altronde non avremmo iniziato a suonare prima di
mezzanotte. L’ultima mezzora ci ritirammo di sopra per prepararci.
“Nulla
di fatto con la zozzona finta bionda?”, mi domandò Guy mentre s’infilava la sua
divisa da concerto: a parte il cappello, quella sera era in total black. Il suo profilo su Facebook
era pieno di foto in cui era taggato da ragazzine che l’avevano immortalato
mentre cantava, o si facevano il selfie
con lui dopo il concerto. Il suo segreto era la consapevolezza del suo fascino,
la sicurezza di riuscire a piacere agli altri. Io quella consapevolezza non ce
l’avevo mai avuta. Mi sembrava sempre ci fosse qualcosa che non andava in me.
“Le
ho proposto di mulinarle la lingua in mezzo alle gambe meglio di una mazza di
venti centimetri. E soprattutto meglio dei cazzettini flaccidi dei suoi
clienti. Ma giustamente voleva esser pagata e ci siamo lasciate da amiche.”
“Gran
professionista, massimo rispetto”, declamò lui col tono aulico che gli piaceva
usare quando diceva frasi fatte.
Anch’io,
come d’altronde quasi sempre, ero per lo più in nero. A parte la camicia
bianca, sopra avevo un gilet aperto e, sotto, gonnellino e collant. Tacco alto
e makeup pure quelli di prassi.
Scendemmo
le scale mano nella mano; nella semioscurità della sala concerti del Down By
Law avanzammo rapidamente, e senza dare a nessuno il tempo di identificarci
apparimmo sul palco. La musica di sottofondo si ammutolì e dopo qualche istante
di assestamento attaccammo a suonare.
Testo di Ljubo Ungherelli
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