Per tutta la seconda metà degli anni settanta il gruppo riesce quindi ad avere piena libertà di scelta a livello gestionale e compositivo, lo dimostrano i dischi realizzati e prodotti da Gary Phillips: il già citato “The Rubinoos” (1977) e “Back To The Drawing Board” (1979), con cui la band ottiene un buon successo di pubblico e critica. Il primo singolo, “I think we’re alone now” (cover del brano di Tommy James), finisce nella top 40 americana, facendo entrare i Rubinoos nell’immaginario pop, a tal punto che Rubin & Co appaiono su riviste da teenager come Tiger Beat e 16 Magazine. E, nella primavera del 1978, fanno pure diverse date live in Europa, con apparizioni sulla tv tedesca ( Rockpalast), olandese (Top Pop) ed inglese (Old Grey Whistle Test). Ma l’evento più importante è l’apertura al tour americano di Elvis Costello nel 1979. Il punto più alto della carriera dei Rubinoos che non verrà però testimoniato da nessuno disco in studio. Infatti, a causa di problemi finanziari della Berserkley Records, i nuovi brani scritti da Tommy Dunbar non saranno mai pubblicati, se non in forma di demo, nella raccolta “Basement Tapes” (1993) contenente materiale risalente al biennio 1980-1981. Nel 1982 i Rubinoos diventano un duo: Spindt e Al Chan (che aveva sostituito Ader nel 1980) lasciano il gruppo, rimangono solo Rubin e Dunbar. E nel 1983 firmano per la Warner Bros ma qualcosa è cambiato: il Mini Album “Party of two”, prodotto da Todd Rundgren, sposta le coordinate sonore verso arrangiamenti più moderni – quelle sintetici anni ottanta – ma che rendono paradossalmente datate le canzoni, prive della classicità senza tempo degli episodi anni settanta. Nel 1985 i componenti, in maniera saggia, prendono altre strade. E i Rubinoos si fermano, per poi ritornare alla fine degli anni novanta, nel 2000 esce un nuovo disco, “Paleophonic”, prodotto da Kevin Gilbert e che riprende il discorso power pop dove era si fermato con il secondo disco della band. Seguono poi altri dischi e riprende pure l’attività concertistica. Il pop non si può fermare.
Prossimi ospiti a Riserva Indie
mercoledì 6 gennaio 2016
POWERSTORIES /// THE RUBINOOS (LIVE IL 29 GENNAIO A LA SPEZIA) // TESTO A CURA DI MONICA MAZZOLI)
Di solito si comincia a suonare per puro divertimento. Ecco, John Rubin e Tommy Durban formano una band per caso. Ancora al liceo - la Bay High School a Berkeley - passano i pomeriggi ad ascoltare i 45 giri di Little Richard, The Everly Brothers, Del Shannon, Roy Orbison e tanti altri. E, alla fine, decidono che vogliono organizzare un “sock hop” ossia una festa da ballo. Ma ci vuole un gruppo che suoni. Non c’è ed allora viene creato per l’occasione. E così il 18 dicembre 1970 nascono i futuri Rubinoos, allora giovanissimi e fuori dal circuito dei locali rock. Il passaggio di livello avviene quindi solo qualche anno dopo, nel 1975: arriva il primo contratto discografico. È la Berserkley Records a pubblicare nel 1977 il primo album omonimo del gruppo. E naturalmente il termine "power pop" non esiste proprio, viene coniato solo successivamente. Eppure i Rubinoos, pur non volendolo, ne sono la quintessenza: armonie vocali splendidamente orchestrate, ritornelli orecchiabili e micidiali. Tutto molto genuino: se cresci ascoltando Beatles, Beach Boys, Hollies, Kinks, inevitabilmente finisci per amare un certo tipo e modo di fare musica. Le canzoni girano intorno a un raro senso della melodia, immediato e travolgente: le armonizzazioni vocali, zuccherose e bubblegum, svolgono un ruolo di importanza primaria, come se fossero uno strumento vero proprio, di sostegno alla base ritmica: due chitarre (Rubin e Durban), basso (Royse Ader) e batteria (Donn Spindt). Quello che viene fuori non risulta in alcun modo artificioso, come accade spesso nel caso di certe produzioni commerciali.
Per tutta la seconda metà degli anni settanta il gruppo riesce quindi ad avere piena libertà di scelta a livello gestionale e compositivo, lo dimostrano i dischi realizzati e prodotti da Gary Phillips: il già citato “The Rubinoos” (1977) e “Back To The Drawing Board” (1979), con cui la band ottiene un buon successo di pubblico e critica. Il primo singolo, “I think we’re alone now” (cover del brano di Tommy James), finisce nella top 40 americana, facendo entrare i Rubinoos nell’immaginario pop, a tal punto che Rubin & Co appaiono su riviste da teenager come Tiger Beat e 16 Magazine. E, nella primavera del 1978, fanno pure diverse date live in Europa, con apparizioni sulla tv tedesca ( Rockpalast), olandese (Top Pop) ed inglese (Old Grey Whistle Test). Ma l’evento più importante è l’apertura al tour americano di Elvis Costello nel 1979. Il punto più alto della carriera dei Rubinoos che non verrà però testimoniato da nessuno disco in studio. Infatti, a causa di problemi finanziari della Berserkley Records, i nuovi brani scritti da Tommy Dunbar non saranno mai pubblicati, se non in forma di demo, nella raccolta “Basement Tapes” (1993) contenente materiale risalente al biennio 1980-1981. Nel 1982 i Rubinoos diventano un duo: Spindt e Al Chan (che aveva sostituito Ader nel 1980) lasciano il gruppo, rimangono solo Rubin e Dunbar. E nel 1983 firmano per la Warner Bros ma qualcosa è cambiato: il Mini Album “Party of two”, prodotto da Todd Rundgren, sposta le coordinate sonore verso arrangiamenti più moderni – quelle sintetici anni ottanta – ma che rendono paradossalmente datate le canzoni, prive della classicità senza tempo degli episodi anni settanta. Nel 1985 i componenti, in maniera saggia, prendono altre strade. E i Rubinoos si fermano, per poi ritornare alla fine degli anni novanta, nel 2000 esce un nuovo disco, “Paleophonic”, prodotto da Kevin Gilbert e che riprende il discorso power pop dove era si fermato con il secondo disco della band. Seguono poi altri dischi e riprende pure l’attività concertistica. Il pop non si può fermare.
Per tutta la seconda metà degli anni settanta il gruppo riesce quindi ad avere piena libertà di scelta a livello gestionale e compositivo, lo dimostrano i dischi realizzati e prodotti da Gary Phillips: il già citato “The Rubinoos” (1977) e “Back To The Drawing Board” (1979), con cui la band ottiene un buon successo di pubblico e critica. Il primo singolo, “I think we’re alone now” (cover del brano di Tommy James), finisce nella top 40 americana, facendo entrare i Rubinoos nell’immaginario pop, a tal punto che Rubin & Co appaiono su riviste da teenager come Tiger Beat e 16 Magazine. E, nella primavera del 1978, fanno pure diverse date live in Europa, con apparizioni sulla tv tedesca ( Rockpalast), olandese (Top Pop) ed inglese (Old Grey Whistle Test). Ma l’evento più importante è l’apertura al tour americano di Elvis Costello nel 1979. Il punto più alto della carriera dei Rubinoos che non verrà però testimoniato da nessuno disco in studio. Infatti, a causa di problemi finanziari della Berserkley Records, i nuovi brani scritti da Tommy Dunbar non saranno mai pubblicati, se non in forma di demo, nella raccolta “Basement Tapes” (1993) contenente materiale risalente al biennio 1980-1981. Nel 1982 i Rubinoos diventano un duo: Spindt e Al Chan (che aveva sostituito Ader nel 1980) lasciano il gruppo, rimangono solo Rubin e Dunbar. E nel 1983 firmano per la Warner Bros ma qualcosa è cambiato: il Mini Album “Party of two”, prodotto da Todd Rundgren, sposta le coordinate sonore verso arrangiamenti più moderni – quelle sintetici anni ottanta – ma che rendono paradossalmente datate le canzoni, prive della classicità senza tempo degli episodi anni settanta. Nel 1985 i componenti, in maniera saggia, prendono altre strade. E i Rubinoos si fermano, per poi ritornare alla fine degli anni novanta, nel 2000 esce un nuovo disco, “Paleophonic”, prodotto da Kevin Gilbert e che riprende il discorso power pop dove era si fermato con il secondo disco della band. Seguono poi altri dischi e riprende pure l’attività concertistica. Il pop non si può fermare.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento