mercoledì 23 ottobre 2019

CAMMINANDO DI NOTTE SULLE IMPRONTE DEI KINA - REPORT E VIDEO DEL LIVE AL CPA DI FIRENZE A CURA DI LJUBO UNGHERELLI



In un filmato di presentazione (detto anche teaser per chi non ha eccessiva confidenza con la lingua di Dante) del documentario “Se ho vinto se ho perso”, si vede una bella bambina bionda che, a passeggio per i boschi col padre e il cane, domanda al genitore perché abbia iniziato a suonare. “Perché eravamo dei giovinastri e non c’era niente che ci piaceva qua ad Aosta”, le spiega l’uomo, un signore alto e asciutto, brizzolato e baffuto, “non è come adesso che ci sono tante cose; non c’era niente e noi non sapevamo come divertirci e così abbiamo deciso che avremmo potuto comprare degli strumenti e iniziare a suonare. Poi c’eran tante cose che non ci piacevano e abbiamo iniziato a raccontare nelle nostre canzoni tutte le cose che non ci piacevano. Poi c’eran delle cose che invece ci piacevano o che ci sarebbero piaciute e abbiamo pensato che nelle nostre canzoni sarebbe stato bello raccontare anche delle cose che ci piacevano, o che ci sarebbe piaciuto che ci fossero.”


Il padre della piccola si chiama Sergio ed è (stato) il batterista e cantante dei Kina, il gruppo al quale è dedicato il documentario di cui sopra. Tre “giovinastri” che all’inizio degli anni Ottanta, per sfuggire alla noia della soffocante vita di provincia (“Non c’è scampo ad Aosta”, canteranno in seguito), hanno veicolato la loro rabbia e i loro sentimenti in un’avventura musicale che li ha portati a scrivere pagine dense di contenuti nell’underground di tutta Europa. La realizzazione di un film sulla loro storia ha fornito il pretesto per un ennesimo, estemporaneo ritorno sul palco: una manciata di concerti tra giugno e novembre 2019 (di uno di essi avete già letto su questo blog grazie all’ottimo Samuel Fava), spesso preceduti dalla proiezione di “Se ho vinto se ho perso”. L’ultima tappa su suolo italico, salvo sorprese e prima di una fugace sortita germanica, ha avuto luogo sabato 19 ottobre al Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, nell’ambito della quindicesima edizione di Sparacchia Fest, rassegna dedicata alla memoria di Felix, storico dj dell’occupazione fiorentina, perito in un incidente stradale nel 2003. Ben sette i gruppi che si sono alternati sul palco del CPA, in una colorata cornice di pubblico, costante e in buon numero durante tutte le esibizioni, o perlomeno le quattro che chi scrive ha avuto modo di testificare. Si passa così dai veterani ascolani Affluente, il cui punk hardcore ad alto impatto risulta solido e coinvolgente, ai più giovani A Fora De Arrastu. Il combo sardo cerca di scavalcare gli steccati linguistici facendo distribuire le traduzioni in italiano dei testi delle proprie canzoni. Oltre all’arguto marketing, il gruppo si caratterizza per una prestazione energetica, che fonde tradizionali sonorità hardcore con qualche accenno di crossover quasi thrash sulla scia dei primi Suicidal Tendencies, fino a lambire territori emo/post hardcore in alcuni episodi. Bella la presenza del cantante che si muove disinvoltamente sopra e anche sotto il palco.


Più peculiare la proposta dei lombardi Spleen Flipper, artefici di un hardcore imbastardito da istanze black metal, con sprazzi di death, e propulsione groove che, volendo banalizzare, può rimandare a numi tutelari quali Sepultura e Pantera. La messe di gruppi in cartellone produce un sistematico accorciamento dei tempi di esibizione, cosicché il set dei Kina, che abitualmente si protrae per circa settanta–ottanta minuti, ne durerà poco più di cinquanta. Breve ma intenso, verrebbe da commentare giusto per continuare a banalizzare. Gli ex “giovinastri” si presentano nella loro incarnazione classica: oltre al summenzionato Sergio, il chitarrista e cantante Alberto e il bassista Gianpiero. Le note introduttive di “Musica kaos” lanciano il primo proiettile, intitolato “Sfoglio i miei giorni”, dritto nei cuori dei presenti, la cui calca fa ribollire il pit già nelle prime battute e diventerà man mano sempre più furiosa. Il 2019 è anno di trentesimi anniversari, tanto per il CPA quanto per il disco più celebre dei Kina. “Se ho vinto se ho perso” è da sempre il protagonista assoluto dei concerti del gruppo, specie nel corso delle varie reunion susseguitesi dopo lo scioglimento di fine anni Novanta.


Nemmeno fosse stato effettuato un sapiente ed estremamente equilibrato dosaggio degli ingredienti, queste canzoni bilanciano alla perfezione l’irruenza del punk, la melodia del power pop e l’intensità di testi che sono piccoli gioielli, inni gridati dalle due voci che si inseguono alla maniera degli Hüsker Dü e che vengono poderosamente doppiate dai cori del pubblico, quando non intento a scatenarsi in spericolate manovre di moshpit, crowd surfing e stage diving. Oltre ai classici di “Se ho vinto se ho perso” (impossibile non citare “Camminando di notte”, “Cosa farete”, e ovviamente “Questi anni”), la scaletta copre buona parte della produzione discografica dei Kina, mostrandone peraltro l’evoluzione sonora dagli esordi al vetriolo di “Nessuno schema” al crepuscolo di “Città invisibili”. A riprova di ciò, la doppietta conclusiva, che accorpa la ferocia hardcore di “Vivere odio” alla più melodica “Troppo lontano”. Non c’è tempo per nient’altro, se non per ringraziare i tre “giovinastri” valdostani di tutto ciò che hanno saputo dare, durante il concerto fiorentino che li ha catturati in una forma smagliante, e più in generale nella loro intera, memorabile carriera.

Testo e video di Ljubo Ungherelli


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