Ecco "L'imminente chiamata alle armi",il terzo capitolo di "Ultimo Tour sulla Luna",il libro di Ljubo Ungherelli pubblicato a capitoli ogni Giovedì in esclusiva sul blog di Riserva Indie.Guy e Vicni continuano il loro tour finanziato dal crowdfunding dei loro fans.
Capitolo 3
L’imminente chiamata alle armi
Vicni
era alle prese col caffè. Per fortuna il bar del Sandy’s era in funzione. Non
di rado, si erano presentati in orario in locali dove non c’era neppure il
fonico al loro arrivo.
“Ciao!”,
si sentì gridare all’orecchio sinistro. Non c’erano musica di sottofondo né
altri rumori, perciò quel tono era del tutto ingiustificato. Voltandosi in
direzione del seccatore, inquadrò un ragazzetto all’apparenza poco più che
ventenne, sorridente, rosso, lentigginoso, lo sguardo stralunato e una plateale
faccia da schiaffi. Vicni sapeva che fino a un certo limite doveva essere
condiscendente con gli addetti ai lavori. E uno che alle sette di sera
imperversava in quel posto lugubre e semivuoto, o lo era, o non aveva un cazzo
da fare nella vita. O entrambe le cose: una non escludeva l’altra.
“Piacere,
Vicni”, gli disse, accompagnandosi con una debole stretta di mano.
“Vicky?”,
domandò Vuligno, con gli occhi ancor più sgranati.
“No. Vicni”, ripeté lei.
“Certo,
Vicni. Io sono il direttore artistico del Sandy’s, faccio la programmazione
delle serate, quest’anno sicuramente…”
“Hai
partecipato anche alla campagna di crowdfunding”,
lo interruppe con voce neutra. Sospettava che quello lì non avesse la benché
minima idea di chi fossero 2 Dualità. La data, in effetti, era stata chiusa con
la semplicità con cui un gruppo abbastanza noto si propone senza richiedere un
compenso, pagato in anticipo dai fan tramite l’azionariato popolare. A lui,
invece, si doveva la brillante pensata di un coheadlining con un gruppo della città. Infatti non mancò di
ascriversene i meriti.
“Sì,
sì…”, cincischiò, salvo poi risollevarsi grazie alla parlantina da
teleimbonitore sotto anfetamine. “Stasera mi piaceva l’idea di abbinare colori
diversi, sfumature diverse. Per questo ho chiamato gli Agnelli Tonnati,
sicuramente li conoscerai, almeno di nome, sono tra i migliori nel pop
d’autore, quello che si rifà alla famosa scuola genovese. Ancora non sono
riusciti a farsi conoscere a livello nazionale, ma qui sono sicuramente dei
campioni!”
“Tu
invece non sei di qui”, lo interruppe ancora Vicni. Le sue
chiose glaciali non avevano però il potere di smontare Vuligno, che proseguì
con l’impeto di un fiume in piena.
“Si
sente dall’accento, vero? Vengo dalle Marche, dall’entroterra marchigiano. Non
ti sto nemmeno a dire il nome del paesino dove sono nato, non l’avrai mai
sentito prima d’ora. Ma non sono il classico studente fuorisede come puoi
pensare.”
E
prese a descriverle le vicissitudini che l’avevano portato a trasferirsi a
Genova. Avrebbe potuto riassumere all’osso dichiarando che aveva seguito una
ragazza conosciuta in vacanza sul litorale marchigiano e, non volendosi lei
giustamente andare a rinchiudere in un borgo sperduto tra Macerata e il deserto
dei tartari, era stato lui a doversi spostare. Ma preferì prenderla
larghissima, partendo dai suoi nonni, contadini illuminati che quand’era
piccolo lo portavano tutta l’estate al mare, in una zona che a suo dire non
aveva nulla da invidiare alla più celebrata riviera romagnola.
Nel
frattempo, Guy aveva trasbordato la strumentazione sottopalco e stava
parlottando col fonico. Vicni invocò dentro di sé l’imminente chiamata alle
armi, cioè al soundcheck, ma nulla si muoveva e rimase in balia del logorroico
promoter. Oltre alla stucchevole abitudine di fare le domande e darsi le
risposte da solo, Vuligno assalì Vicni con una miriade di profferte. La
benedizione sopraggiunse con l’entrata in scena degli Agnelli Tonnati, che alla
spicciolata fecero la loro apparizione nella sala concerti. Vuligno si fiondò
al loro capezzale, non prima d’aver ripetuto per la ventinovesima volta che se
Vicni abbisognava di qualcosa, bastava chiedesse a lui.
“Così
di primo acchito, il fonico non promette nulla di buono”, le sussurrò Guy,
avvicinandola mentre il resto del Sandy’s era dedito a stendere ponti d’oro al
passaggio degli Agnelli Tonnati.
“Tossico?
Alcolizzato? Sessuofobico?”, domandò Vicni.
“La
due e la tre, molto probabili. Il problema più grosso, però, è che non pare
granché collaborativo.”
“Non
ha voglia di fare un cazzo”, tradusse lei.
“Ho
paura di sì. È il classico ligure sfavato, con addosso tanta di quella
rassegnazione al destino che nulla può smuoverlo. Il ricciolino, che dice?”
“Troppe
cose, e nessuna interessante. Appena i fenomeni avranno portato dentro la loro
roba, noi potremmo iniziare il check, così poi ce ne andiamo a cena. Abbiamo
due dei nostri fan che hanno scelto come ricompensa il pacchetto ‘cd
autografato+ingresso omaggio a un concerto+cena preconcerto insieme alla
band’.”
“Solo
due? Sbaglio o ce n’erano di più?”, si stupì Guy, che demandava in massima
parte le pubbliche relazioni telematiche alla collega.
“Sarebbero
stati cinque. Ho provato a contattare gli altri tre. Una non ha risposto, un
altro ha detto che non ce la fa per cena ma arriva direttamente per il
concerto, il terzo non può venire perché è malato e ci fa gli auguri.”
“Ci
fa gli auguri di ammalarci anche noi? Grazie tante! Io mi tocco… A che ora gli
hai detto di venire a quei due della cena?”
“Le
otto e mezzo… ma gli ho consigliato di prendersela comoda.”
“Mi
sa che hai fatto bene, tesoruccio. Sì?”
Furono
convocati a rapporto da Vuligno. Si radunarono più o meno in cerchio. Oltre al
giovane direttore artistico, c’erano il fonico, che sprigionava l’entusiasmo di
una larva dentro un sarcofago, e i quattro componenti degli Agnelli Tonnati.
Sbrigate in fretta le presentazioni, Vuligno venne al dunque.
“Bene
ragazzi, ci sarebbe da decidere chi suona per primo.”
“Mi
sembrava che fosse stato deciso da un pezzo”, disse con la massima calma Vicni.
Seguirono alcuni istanti di imbarazzato silenzio.
“Sì,
cioè…”, riprese Vuligno, per una volta non sostenuto dalla sua irruenza
retorica. “Gli Agnelli Tonnati pensavano che sarebbe meglio se loro suonano
dopo di voi.”
Con
abilità da medaglia olimpica nello sport nazionalpopolare dello scaricabarile,
Vuligno aveva mollato la patata bollente in mano ad altri. Fu diabolicamente
abile a sfilarsi dal resto del conciliabolo.
“E
perché?”, si limitò a chiedere Guy.
“Belìn, noi qui a Genova siamo gli
animatori della festa, ogni concerto è un’esperienza mistica. E mitica. E il
nostro pubblico è una parte importante della festa, non se la perde mai. Belandi, se suonate prima di noi, ci
sarà tutto il nostro pubblico a vedervi. Invece, se apriamo noi, c’è il rischio
che il nostro pubblico poi va via e non rimane quando tocca a voi suonare. Per
questo abbiamo pensato questa cosa.”
Ezio
Dell’Ultimo, in arte Ulvezio, era il cantante, frontman e leader degli Agnelli
Tonnati. Per essere un animatore di feste, era sfavato quasi al livello del
fonico. Portava gli occhiali, era tarchiato e aveva una fisionomia anonima,
dozzinale, benché cercasse di atteggiarsi a bel tenebroso. Si era sfilato la
giacca e la teneva sottobraccio, scoprendo così una spiegazzata camicia da viveur che, c’era da giurarci, sarebbe
stata la sua divisa da concerto.
“Sai
che non hai tutti i torti? Però se suoniamo prima di voi, c’è il rischio che
tutta la gente inorridita scappi via e non rimanga nessuno quando tocca a voi
suonare”, se la rise Guy, fingendo di voler sdrammatizzare. In realtà,
preferiva parlare lui, sapendo che un’uscita fumantina di Vicni era dietro
l’angolo e avrebbe solo aggravato la situazione.
“No,
macché, siete bravissimi voi, lo sappiamo…”, balbettò Ulvezio, colto alla
sprovvista dal basso profilo tenuto dal cantante del gruppo cui voleva far le
scarpe. Quest’ultimo ne approfittò per colpire di rimessa e stroncare le
flebili argomentazioni del rivale.
“Noi
andiamo a fare il check”, concluse asciutto Guy, allontanandosi assieme a Vicni.
Nessuno tentò di controbattere. Primo round vinto.
Come
paventato, il soundcheck fu un martirio. Ogni richiesta al fonico pareva
un’offesa personale, atta a ledere il suo indefesso fancazzismo. Impiegarono
un’ora prima di lasciare il campo agli Agnelli Tonnati, che in quanto gruppo
d’apertura erano di prassi gli ultimi a fare il soundcheck.
Il
pop rock degli Agnelli Tonnati era contraddistinto, oltre che da sonorità
leggere da canzonetta dell’estate, da una vena ironica nei testi, che erano
sostanzialmente storie d’amore descritte in chiave adolescenziale e nostalgica,
sempre appunto con quel pizzico di leggerezza che ricercava con insistenza il
tormentone. Ricerca che proseguiva, dato che per il momento la band genovese
non pareva avere in repertorio una sola canzone che potesse assurgere a
singolo. Tutto era piatto, dai giri armonici ai ritornelli, fino alla voce di
Ulvezio. Se ne sentivano a decine, di cantanti impostati in quel modo, col tono
basso da crooner che si apriva, ma
non più di tanto, durante i refrain.
“Guy,
sono arrivati i ragazzi della cena”, annunciò Vicni, ricomparendo al suo fianco
dopo un buon quarto d’ora.
“Arrivo!”,
esclamò sollevato lui, ponendo fine all’ascolto delle prove degli Agnelli
Tonnati. Già le canzoni erano tutt’altro che memorabili. Seguirli che facevano
i suoni rasentava il masochismo.
Guy
sorrise andando incontro ai due ragazzi, che si conoscevano tra loro. I loro nickname sulla piattaforma di crowdfunding erano “Il custode del faro”
e “Il custode del faraone”. Si presentarono altresì come Ormezio e Urmezio.
Erano entrambi gracili e macilenti, sebbene millantassero di lavorare come
portuali. Amici e colleghi, nonché fan di 2 Dualità. Vicni, che era la regina
della comunicazione social, lasciò
che fosse Guy a tener banco.
“Belli!
Fatevi dare un bacio!”, esordì sfoderando il suo fascino di aspirante rockstar
con un’innata fiducia nei propri mezzi.
“Allora,
si mangia?”, incalzò ancora, rivolto però a Vicni.
“Se
ero la tua cuoca personale, mi ero licenziata prima ancora di mettere i coperti
in tavola”, ribatté lei.
“Se
eri la mia cuoca personale, ero ricoverato in ospedale con seri principi
d’avvelenamento”, sparò lui per offrire una battuta a effetto ai nuovi
arrivati.
Richiamati
dall’odore del sugo di pomodoro, lo seguirono fino a una sottospecie di privè. La qualità del cibo era giusto di
poco superiore a quella delle mense militari o degli ospedali. Guy tergiversò a
lungo, muovendo la forchetta a vuoto sopra il piatto, e perché non molto
stimolato da ciò che vi era dentro, e per chiacchierare con i fan.
Guy
e Vicni se la svignarono non appena gli Agnelli Tonnati fecero capolino.
Ormezio e Urmezio rimasero imbambolati, indecisi sul da farsi. Infine seguirono
i musicisti nell’area fumatori. Mancava ancora tantissimo tempo prima
dell’inizio della serata. Guy era di buonumore, merito anche dell’alcol
ingollato durante il pasto.
“Sarà
un concerto radicale distruttivo, ve lo promettiamo! Grazie di esserci,
ragazzi, il vostro sostegno è la nostra linfa vitale!”
E
li strinse a sé, ciascuno con un braccio. Il tutt’altro che corpulento Guy
pareva un colosso in confronto a quegli scriccioli sedicenti scaricatori di
porto.
Ljubo Ungherelli
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