TRE RACCONTI A 33 GIRI
Come un Flaubert trascinato di peso nell’iconografia
rock’n’roll. Tre racconti ispirati ai testi di altrettanti LP, ciascuno
filologicamente suddiviso in lato A e lato B.
2. THE ALMIGHTY – CRANK (1994)
LATO B: “UNITED STATE OF APATHY” “WELCOME TO DEFIANCE”
“WAY BEYOND BELIEF” “CRACKDOWN” “SORRY FOR NOTHING” “CHEAT” “SCHITZOPHRENIC”
Inesorabilmente.
Sempre la stessa storia da millenni. Nasciamo, cresciamo, i giorni che passano,
taglienti come rasoi.
E
poi? Tutti assuefatti nel nostro vittimismo, armati di quella pazienza che in
fondo non vale neppure la pena d’essere attesa così a lungo.
Noi
due vivevamo da troppo tempo in questa specie di Stati uniti dell’apatia, senza
alcuna motivazione per tirare avanti, immobili in coda ad attendere di farci
somministrare una dieta di frustrazioni assortite.
Spesso
mi sentivo pressoché guasto, bramoso di un qualsiasi tipo di scossa. Teso come
una corda di violino ma senza un posto dove andare. In sintesi: l’ennesima
giornata andata miseramente a morire.
Queste
scorie negative erano ciò che condividevamo. Lei il più delle volte preferiva
soffrire in silenzio pur sapendo bene che si trattava di una sprezzante sfida che
andava accettata ad ogni costo.
Era
tutto chiaro come il sole. Un milione di fallimenti su un milione di tentativi.
Un milione di motivi per giustificarsi.
“Apri
gli occhi e fatti un esame di coscienza. A volte fa bene consumare ciò che si
ha dentro.”
Questo
suo genere di discorsi consolatori da psicologia spicciola non mi andava più
giù. Non mi sentivo neppure minimamente colpevole di una relazione ormai al
capolinea.
Non
avevo bisogno di una ragione. Non m’importava ciò che sarebbe occorso per
uscirne. Un cambiamento fatto solo per il gusto di farlo non avrebbe cambiato
un bel nulla.
Era
solo l’ennesima fase in cui ogni problema veniva ingigantito e amplificato fino
a diventare insostenibile.
Forse
sarebbe stato più semplice al secondo tentativo. Ma ogni volta che mi ritiravo
su, lei cercava di abbattermi.
“Tròvati
qualcun altro da crocifiggere”, le dissi una volta, al colmo
dell’esasperazione. Non era per nulla divertente. Inutile illudersi che un
piccolo dolore non aveva mai fatto male a nessuno.
“Perché
non lasci perdere? Mi stai troppo addosso”, rincarai alla maniera dei Dinosaur
Jr. “Prova a vederla da un’altra ottica. Farà bene a me e ancora meglio a te.”
Dovevo
dare un giro di vite al più presto. Non c’era altra soluzione che potesse
funzionare. Amore e guai. Un binomio inscindibile.
Lei
aveva amato, poi odiato e infine distrutto le mie giornate. Era giunto il
momento che mi dessi una svegliata.
Non
dovevo sentirmi dispiaciuto di niente. Era così che doveva andare a finire.
“Puntami
la pistola addosso, prendi la mira come se stessi facendo il mio bene. Tanto lo
sai quanto me che ho ragione io.”
In
fondo, c’ero ancora talmente invischiato che un po’ ci speravo che stesse
soffrendo. Intanto, cercavo di convincermi che quel distacco mi rendesse felice
da morire, e che le volte che mi aveva detto che potevo contare su di lei era
perché non ero in grado di contare tanto a lungo.
Qualunque
fiducia tra noi si era incrinata. A dire il vero, non mi fidavo più di nessuno.
Consideravo ipocriti i miei amici, non ve n’era uno che fosse a posto. Tutto
era condizionato da quella rottura, il mio umore, le attività di ogni giorno,
il lavoro, eccetera.
“Non
voglio essere la tua dannata ansia!” Quante volte gliel’avevo ripetuto, negli
ultimi tempi. Quel legame quasi simbiotico, che in passato ci aveva uniti, si era
trasformato in una morsa soffocante. Non potevo vivere esclusivamente per lei.
Dovevamo
capirlo molto prima, che bisognava smettere di cercare la via d’uscita più scontata
da quel tormento. Ormai era tardi. Vetri rotti e oggetti sfasciati lastricavano
i nostri percorsi che avevano preso direzioni totalmente opposte.
Un
ronzio sconnesso, schizofrenico, reiterato, era la colonna sonora che mi
sferzava in continuazione il cervello dopo che ebbi deciso di lasciarmi alle
spalle una volta per tutte quella pagina della mia vita.
Testo di Ljubo Ungherelli
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