lunedì 17 maggio 2021

"RITORNO AL FUOCO" - INTERVISTA AL "BANDITO SENZA TEMPO" MARINO SEVERINI PER IL NUOVO DISCO DEI GANG - A CURA DI OLIVIERO GERVASO E MAURIZIO CASTAGNA


La lavorazione di “Ritorno al fuoco” è stata piuttosto avventurosa, avendo coinvolto musicisti e studi di registrazione in vari continenti, per di più in periodo di pandemia. Ti va di raccontarci lo svolgimento del processo creativo e produttivo?

Di fatto abbiamo realizzato RITORNO AL FUOCO durante il tempo della pandemia, dall’inizio delle registrazioni alla consegna ai co-produttori quindi siamo stati costretti ad affrontare un'infinità di problemi legati alle disposizioni anti covid. Sia qui in Italia che in America, in Pakistan... ovunque. E tutto ciò ha portato a un allungamento dei tempi di lavorazione notevole. Abbiamo finito il lavoro quasi 8-9 mesi dopo i tempi programmati all'inizio delle registrazioni. E i tempi si sono allungati poi anche nelle fasi della stampa e delle spedizioni ai co-produttori. In sostanza RITORNO AL FUOCO ha richiesto un anno di lavoro, assiduo e costante. Comunque il tempo a disposizione e le risorse ottenute attraverso il crowdfunding ci hanno permesso di realizzare quanto ci eravamo proposti fin dai provini del disco. Il risultato o meglio il fine ha dato una ragione ai tempi lunghi e alle mille e mille difficoltà che abbiamo incontrato lungo il "tragitto".

Quesito fondamentale: qual è il modo più corretto di riferirsi al gruppo: Gang, “i” Gang, “la” Gang, “the” Gang?

A piacere, ognuno sceglie in base all’articolo che gli è più “familiare”. Non c’è un Pensiero Unico, come dire che Gang è Una e “trina”. Anche se tre per la legge è già un’associazione a delinquere...

Ci siamo da pochi giorni lasciati alle spalle il Primo Maggio. Trent’anni fa, nel 1991, i Gang furono protagonisti di un celeberrimo segmento televisivo quando furono invitati al “concertone” di Piazza San Giovanni. A beneficio di chi ha visto soltanto il filmato, puoi parlarci di cosa accadde quel giorno, magari con qualche retroscena?

È passato tanto tempo, sembra un secolo fa... Noi avevamo dimenticato completamente quell’episodio, poi con l’avvento di YouTube qualcuno l’ha caricato ed ecco che è riemerso dal baule dei ricordi nascosto in soffitta. Quello è un episodio che prima di tutto va contestualizzato (questo vale per tutti i fatti accaduti). Valeva farlo ma allora, in quel periodo e in quel posto per una serie di motivi precisi. È il 1991, Presidente del Consiglio è Giulio Andreotti, il PSI di Bettino Craxi fa parte del governo. Andare al Primo Maggio a Piazza san Giovanni era di fatto come andare a casa dei dei sindacati confederali e la lettura di quel volantino era, perché fatta in quel posto, una bella provocazione, uno schiaffo e uno sputo in faccia ai sindacati confederali. Il testo più o meno era: «sciopero generale per un reddito sociale ai disoccupati, per la riduzione dell'orario di lavoro, per il disarmo e la solidarietà con i popoli del Sud del mondo, per la parità dei diritti dei lavoratori italiani e immigrati, per l'autogestione dell'istruzione, contro ogni colpo di Stato istituzionale, contro la repubblica presidenziale». E attaccammo subito dopo con "Socialdemocrazia" invece che con quello concordato. E sì perché il giorno prima tutti i partecipanti dovevano presentare a una commissione il brano che avrebbero suonato il giorno dopo e il testo con cui l’avrebbero presentato. E noi presentammo alla commissione “Ombre Rosse” e due cazzate di introduzione... Finita la nostra esibizione, che fu un vero “scarto di lato”, intervenne in diretta Ottaviano Del Turco, allora segretario generale aggiunto (di area socialista) della CGIL, rimproverandoci di fatto di esserci occupati di questioni riguardanti il "monopolio" sindacale. Da quel momento, ci verranno praticamente chiuse tutte le porte delle reti televisive pubbliche. Del Turco invece farà carriera diventando ministro, poi presidente dell'Abruzzo, entrerà nella direzione nazionale del PD ma verrà successivamente arrestato e poi definitivamente condannato a 3 anni e 11 mesi di reclusione. Allora lo stesso Pierleoni, responsabile Rai e socialista mi disse apertamente che non avremmo mai più messo piede in Rai fin quando ci sarebbe stato lui... Era scontata una cosa del genere. Del resto io ho sempre cercato di evitare la nostra partecipazione a una porcheria come il 1 Maggio a Piazza San Giovanni, però allora avevamo un contratto con la CGD e quindi una serie di impegni promozionali. Ci toccava quindi andare anche a quel mercato, e mettere le nostre merci in quella vetrina usando le nostre facce. Una cosa ignobile... della quale non vado fiero, però nel 91 almeno con quel gesto salvammo la faccia. Io credo che scrivere canzoni come “Sesto San Giovanni e “Non finisce qui sia molto più importante poiché rispondono in modo chiaro e preciso alla domanda di sempre: “Tu da che parte stai?. Anziché partecipare a queste adunate prive di senso, retoriche e ridicole, vuote come vuoti sono coloro vi partecipano e le organizzano. Però se permetti, non capisco perché quel gesto in quella occasione ha oggi così tanta rilevanza e per quel che ci riguarda, nessuno, ma proprio nessuno, ricorda il processo durato dieci anni (!!!) che subimmo per aver scritto una canzone come “200 giorni a Palermodedicata a Pio La Torre. Allora a denunciarci furono altri due esponenti di rilievo della sinistra italiana; Michelangelo Russo senatore “migliorista” del Pci e Michele Sanfilippo presidente della lega delle cooperative della Sicilia. Quel fatto per noi fu di gran lunga più grave rispetto al blocco delle reti Rai nei nostri confronti, perché di fatto significò un’epurazione vera e propria rispetto a molte feste dell’Unità, soprattutto quelle provinciali e regionali, dove eravamo da anni “di casa con conseguenze in termini lavorativi e quindi economici molto ma molto significative. Se poi vogliamo fare un elenco di tutte le “epurazioni” subite nel corso degli anni da parte di ambienti, logge, baronie, ducati e fortini della sinistra tutta, da quella istituzionale a quella di Movimento, allora non finiamo più, perché la lista è molto lunga...

Come ritieni si possa collocare “Ritorno al fuoco” all’interno del Canzoniere dei Gang? È in continuità col vostro percorso o c’è qualche elemento di rottura con il passato?

Se c’è una cosa che non vorrei mai fare è “rompere” col passato, anzi... Anche perché non mi guardo mai indietro, quello che è fatto è fatto e la cosa più importante è quello che devo ancora fare, come fare meglio, questo è l’orizzonte verso cui cammino e non mi sono mai fermato più di tanto per fare i conti col passato... Le canzoni non nascono mai a “tavolino”. Fra le tante storie che incontro, che attraverso e che mi attraversano, alcune diventano canzoni. Sono quelle che lasciano il solco più profondo, che riescono a commuovermi... E fra tutte scelgo più quelle che insieme fanno una Buona Compagnia, una carovana, una prospettiva, un racconto cantato. Da questo nasce un’opera che è come tutte le opere, un modello. O meglio la creazione di un modello. Come dire: costruisco qualcosa che ha fondamentalmente il carattere di una proposta sul come guardare il mondo. Sarò molto contento di suscitare il vostro interesse e al tempo stesso sono pronto a capire che chi mi ama davvero farà di tutto per non seguirmi, perché la più profonda lezione contenuta nel mio sforzo è quella di seguire la propria strada. Si cambia, viaggio dopo viaggio, storie dopo storie, ma per restare gli stessi. Da “Libre El Salvador” in "Tribes Union" a ROJAVA in Ritorno al Fuoco (tanto per dire), di strada ne abbiamo fatta ma per poi ritrovarci sempre dalla stessa parte. Parti-giani una volta, Partigiani per sempre. In sostanza il mio lavoro attraverso le canzoni è quello di “pontefice”, di costruttore di ponti fra tre grandi nostre tradizioni che convivono da sempre nel nostro canzoniere e che cerco di far incontrare, convivere e condividere poiché dal loro incontro e alleanza può nascere il Futuro! La Nuova Umanità, l’avvento di un Nuovo Umanesimo. Il Futuro si è sempre fatto con le tradizioni. Un Nuovo Umanesimo può nascere soltanto dall’incontro di tre Nostre Grandi Tradizioni, che sono la tradizione cristiana, la tradizione dei Balducci, dei Don Gallo e Don Milani, dei Don Puglisi, dei Zanottelli e Turoldo e così via fino ai testimoni della Teologia della Liberazione. La tradizione socialista e comunista. Mai come oggi Gramsci è l’intellettuale più letto, studiato e ammirato in tutto il mondo, dal Libano alla Palestina, dall’India all’Inghilterra e gli Usa... ci sarà un motivo e forse anche più di uno... ma per questo bisognerebbe aprire un capitolo a parte. E la terza tradizione: quella delle Minoranze! Senza di essa non ci sarebbe progetto democratico. Le minoranze: quella delle sinistre eretiche, dei migranti, il movimento delle donne, le subculture giovanili provenienti dalla “Strada”. Dall’incontro di queste tre tradizioni può nascere quella Forza capace di guidare il Paese verso una direzione ostinata e contraria al nuovo feudalesimo che impera e rapina e preda ogni risorsa e riduce in schiavitù milioni di esseri umani. Nei nostri lavori queste Tre tradizioni convivono da sempre e quindi noi abbiamo da sempre contribuito a creare uno spazio, un territorio culturale prima che politico, dove farle incontrare. E questo è il filo rosso che attraversa tutti i nostri lavori, un filo che non si è mai spezzato, anzi disco dopo disco si è fatto sempre più forte.


Le campagne di crowdfunding dei Gang hanno raggiunto cifre impressionanti e inavvicinabili per la gran parte degli artisti italiani. A chi va attribuito il merito della decisione di far ricorso alla “cassa comune” per la produzione degli ultimi tre dischi e c’era il sentore di un tale successo o l’entusiasmo dei vostri sostenitori ha colto perlomeno in prima battuta un po’ di sorpresa persino voi?

È la Riva trovata dopo tanto viaggiare per terre e per mari. L’Appartenenza! Una comunità che si ritrova attorno a un progetto, un’opera, una prospettiva e si fa carico della sua realizzazione. Una piccola grande rivoluzione. Significa anche poter costruire con i materiali eterni della stima, della fiducia e del Rispetto! E farlo in completa libertà, fuori dalle logiche del mercato e del profitto, della merce. Significa far parte, aver trovato la mia parte in un contesto più ampio, quello di una Comunità. Questo è estremamente importante sotto tanti punti di vista. Il primo è il riconoscimento e il conferimento del mio lavoro. Ossia aver ritrovato un mio “spazio politico”. Mi spiego... socializzare all’interno di un gruppo significa trovare la dimensione permanente dell’individuo. “Ogni individuo è mentalmente un gruppo” scrive Pietro Barcellona. All’interno di ogni uomo c’è sempre un gruppo mentale. E solo all’interno di questo gruppo esistono quelle dinamiche in base alle quali gli uomini si definiscono come leader, poeta, artista, profeta, gregario... quindi è nel gruppo che trovo e ritrovo oggi più di ieri la mia piena dimensione individuale. Tutto ciò ha molto a che fare con la politica, col rapporto fra individuo e il suo essere sociale. Ecco perché il nostro crowdfunding, la raccolta nella “cassa comune”, arriva a livelli mai raggiunti in Italia per la produzione di un disco. Perchè ad esso ho cercato sempre più di dare una valenza politica. Del resto qual è l’essenza della politica? Creare comunità, dare ad essa slancio e ispirazione affinché si possano realizzare Insieme gli obiettivi prefissi, Vincere in sostanza e da ultimo creare economie. Con l’uso di questo strumento siamo riusciti a realizzare insieme tutti e tre questi obiettivi che costituiscono l’essenza della Politica. Questa vittoria, ripeto, non è dei Gang ma di una comunità reale che da tanto tempo si ritrova, si riconosce, si abbraccia e canta attorno al fuoco le canzoni nostre, quelle dei Gang. È una comunità che noi conosciamo bene e da anni, ed è la stessa che si è fatta e si fa carico dell’esistenza dei Gang ed ora anche della produzione dei nostri lavori ma soprattutto della nostra autonomia, indipendenza e libertà nel realizzarli. È un mondo che ci ha sempre dimostrato una smisurata gratitudine anche regalandoci il vino, l’olio, i libri, le cioccolate... e nei confronti di questa comunità io mi sono sentito sempre in debito e ad essa dico Grazie! Questo mi restituisce oggi, più di ieri la cosa che conta moltissimo per me, cioè l’Appartenenza! Ed è soprattutto questa esperienza che più di tutte le altre qualifica degnamente il nostro lavoro o meglio il frutto del nostro lavoro come Bene e non come merce. Io credo che sia arrivato il tempo di fare chiarezza e ristabilire per bene i confini fra ciò che è un Bene, in questo caso un Bene Culturale e Comune e ciò che è invece la Merce.

Molte canzoni di “Ritorno al fuoco” narrano di vicende specifiche, dal presidente dell’Uruguay Pepe Mujica al cosiddetto “modello Riace”, dall’intolleranza verso i migranti italiani negli Stati Uniti fino al sogno democratico del Rojava. C’è un nesso che unisce le storie cantate nel disco e ve ne sono magari altre che avresti avuto il desiderio di includere ma per qualche motivo sono rimaste fuori?

Come dicevo prima il mio lavoro attraverso le canzoni è quello di costruire dei ponti fra le storie, in questo caso farle ritrovare attorno al “fuoco” che è quello della Verità! Poiché la verità non è altro che la Passione! Fare in modo, sfuggendo al dominio e al controllo della ragione e della ragionevolezza, che queste storie riaccendano in Noi la Passione. Questo fatto, questa Passione, questo “fuoco”, non lo si può scambiare con niente al mondo: né col denaro, né col successo... Significa semplicemente vivere in modo non mediocre o stupido o nichilista... significa non rispettare le convenzioni. Quindi la “missione” è portare queste storie in uno spazio, un territorio, in una scena, attorno al Fuoco. dove si ricostruisce un Noi, un senso comunitario, di condivisione e appartenenza. Un Fuoco che si riaccende storia dopo storia. Quel Fuoco non è altro che il riaccendersi delle Passioni. E il luogo dove rinasce tutto questo è quello della “critica”, della conoscenza e del confronto. E questa è un’esperienza che si può fare solo nel gruppo, nella comunità, nel Noi. Le storie cantate hanno le funzioni o la presunzione di liberare le passioni dai momenti più repressivi, soprattutto dal dominio della ragione e della ragionevolezza. Perché dal dominio della ragione sulle passioni nasce sempre l’indifferenza rispetto ai valori della vita. E la liberalizzazione delle passioni consente quei rapporti di cooperazione che ricostruiscono continuamente un Noi. La modernità ha paura più di ogni altra cosa, della Vita e quindi cerca di controllarla continuamente quasi ossessivamente. Questa è la vera malattia dell’occidente, la sua onnipotenza. Queste storie cantate sono un po’ delle crepe su questo muro del controllo della ragione sulle passioni. Del resto lo stesso Pasolini affermava che “la Rivoluzione non è che un Sentimento” e sui sentimenti occorre far leva per abbattere ogni muro. Quello che io, in quanto autore, ho cercato di “comunicareè soprattutto un sentimento di speranza, di fede più che di fiducia, e soprattutto di coraggio. Queste sono canzoni che servono innanzitutto a fare la DIFFERENZA e quindi a combattere il male di tutti i mali cioè l’Indifferenza. L’indifferenza è l’anticamera del Fascismo, per dirla con Gramsci: “L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare! E se oggi c’è così tanta indifferenza è solo perchè c’è poca DIFFERENZA. Come in un sistema di vasi comunicanti l’indifferenza si abbassa fino a scomparire man mano che si alza la differenza. E per riaffermare la Differenza occorre stabilire subito, al più presto una relazione col Futuro, sapendo benissimo che per andare avanti occorre tornare indietro. Tutto ciò significa liberarci dalle catene di un eterno presente e liberarlo rimettendolo in relazione col passato e col futuro. Scrive Mario Tronti in “Disperate Speranze”: Non è tempo di utopie. Per questo è necessario tornare a parlare di Utopia. Siamo in catene tra le sbarre di un eterno presente, una condizione che ci toglie la libertà sia di guardare indietro sia di mirare avanti: perché, secondo l’opinione corrente e dominante, il passato ha il dovere di morire e l’avvenire non ha il diritto di vivere. Per reazione, a cercare luce dalla caverna, sovversive diventano allora due facoltà grandemente umane, la memoria e l’immaginazione. Esse vanno coltivate insieme e non l’una contro l’altra: è questo quanto voglio tentare di dire. Aggiungendo: il riferimento non deve essere a ieri, ma all’altro ieri; non al domani, ma al dopodomani. L’immediato passato è ciò che ha prodotto questo presente: va messo sotto critica. L’immediato futuro è tutto nelle mani di chi comanda oggi: occorre strapparglielo. Mai dimenticare che quando si pensano concetti politici, bisogna legarli a filo doppio con le lotte. Nel viaggio per raggiungere le coste dell’isola di Utopia, si arriva attraversando un mare in tempesta, non certo cullandosi nella grande bonaccia delle Antille.” E se non c’è futuro sappiamo benissimo che c’è soltanto fascismo. Il fascismo nasce soprattutto dalla mancanza di futuro. Il fascismo è la logica dell’immediato che distrugge. È la logica dello sfogo delle pulsioni, “la cosiddetta pancia”. È la fine delle Passioni. La pulsione immediata è tipica di tutti i movimenti fascisti. Al contrario la capacità di durare, di progettare, di guardare al futuro, di avere passione per il “Differire” è una classica posizione di sinistra. Le Storie Cantate in “Ritorno al fuoco” indicano un Futuro e mettono in relazione quelle degli Ultimi e degli sfruttati della Terra di ieri e di oggi con le Grandi Utopie (quelle di Riace, del Rojava, dell’Uruguay di Pepe Mujica), sono storie che Fanno un futuro in quanto chiedono e rivendicano il diritto di Essere Vive, partecipi e Protagoniste, egemoni, nella costruzione del futuro e della Città Futura, quella della Futura Umanità.


La sinistra italiana non attraversa uno dei suoi periodi migliori, volendo essere eufemistici. Praticamente fuori dal parlamento, frammentata in una miriade di sigle che a un osservatore non troppo attento appaiono indistinguibili e incomprensibili nelle loro divergenze che infatti risultano in risibili prestazioni elettorali. Anche solo i buoni riscontri di Rifondazione Comunista con Bertinotti sembrano lontani anni luce. Su quali basi credi che dovrebbe erigersi una nuova sinistra per tornare a essere credibile presso i cittadini che le hanno voltato le spalle, rinunciando al voto o, peggio ancora, spostandosi verso forze politiche che hanno saputo intercettare certe istanze del “popolo”?

Questa è la consueta domanda da “un milione di dollari”… che richiede uno spazio ben più ampio di quello di un’intervista... Io credo che per uscire fuori da questo pantano del presente occorra avere un’idea di Futuro e per andare avanti verso il futuro occorre tornare indietro. Per andare avanti è necessario tornare indietro. Compiere questo che è un rito praticato da grandi civiltà come quelle dei rom, degli zingari, dei sinti... quando ricomincia il giro della luce essi tornano sulle strade dalle quali sono venuti. Tornare sempre al punto di partenza, all’origine e alle fondamenta. Perché questo “ritorno” ci rivela e ci ricorda la nostra identità che è Cammino, Movimento... verso la Libertà! Le storie che racconto e canto non appartengono al dualismo consueto fra vinti e vincitori ma sono tutte storie di Invincibili, di coloro che, comunque sia, non si sono arresi. Anche Concetta che si dà fuoco nella sede dell’Inps di Settimo Torinese non si arrende con quel gesto... Gli stessi “residenti” di Via Modesta Valenti, una via che non c’è, una via “invisibile”, sono i principali “portatori del fuoco”, gli ultimi, i poveri, i più sfruttati della terra, perché è a loro che si rivolge la più grande delle Profezie e delle Promesse, le ultime parole del figlio di Dio, sulla Croce!!! Ma per essere chiaro su quella che è un’impostazione e un fondamento di tutto il mio lavoro, sono costretto a tornare su uno dei miei soliti e consueti “sermoni” a proposito della MEMORIA. Io non sono mai stato d’accordo con quella sorta di “manifesto” che per anni e anni ha campeggiato su di NOI: “La Memoria siamo Noi”; mi dispiace per Giovanni Minoli e Francesco De Gregori ma io sono sempre più convinto che la Storia appartiene ai vincitori. Chi Vince ha la Storia e ne impone la propria versione con i mezzi che ha a disposizione, quelli del Potere. Allora noi che abbiamo avuto nei secoli dei secoli? Noi abbiamo avuto anzi, noi siamo, Le Storie, al plurale. Come scrive Leslie Silko, scrittrice indiana d’America “Se hai le storie hai tutto, se non hai le storie non hai niente”. E queste storie nostre fanno una Storia diversa da quella dei vincitori, fanno la Storia nostra quella dei Vinti. Tenerle vive, ricordare, anche cantando queste nostre storie significa che non abbiamo dimenticato il nostro cammino, le strade fatte che ci hanno portato fino a qui, significa quindi che non abbiamo dimenticato l’esclusione, l’emarginazione, lo sfruttamento, le violenze subite. E così teniamo viva la Memoria che è l’unico mezzo, l’unico strumento che da Vinti ci rende INVINCIBILI! Non solo ma se la domanda che fai è come un sasso tirato nello stagno non possiamo rispondere soltanto col primo cerchio che il sasso provoca nell’acqua ma dobbiamo avere il coraggio di vedere (non guardare) anche gli altri cerchi fino a quello più grande, l’ultimo, quello che tutti gli altri racchiude. E per cogliere quel cerchio è necessario che risorga lo sguardo della Politica! La Politica, la più grande delle Arti, quella della mediazione. E la mediazione più grande della Politica sta soprattutto nel saper mantenere la giusta distanza fra due binari sui quali camminano le Civiltà, che sono la Religione e la Legge. I binari non devono mai essere troppo vicini o lontani l’uno dall’altro e non si incontrano mai, ma solo se li guardiamo da vicino. Se lo sgurdo invece va all’infinito (entra nell'eternità) sia davanti (il futuro) che dietro di noi (il passato) allora ci accorgeremmo che i binari si incontrano in un punto solo. E su quel punto che solo uno sguardo "eterno" sa cogliere, Religione e Legge si incontrano. Lo stesso unico punto su cui reggono tutte le religioni e tutte le leggi, quel punto è un principio, che tradotto a parole non è altro che “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. La politica deve o dovrebbe avere sempre presente questo perché sia motore del treno della Civiltà. Deve e dovrebbe avere quello sguardo lontano e quello vicino. Per prendere delle decisioni, per organizzare la vita pratica, gli uomini prendono delle decisioni per mezzo di una logica razionale, ma per creare e comprendere il senso della loro esistenza utilizzano continuamente il Mito. Siamo sempre funamboli fra questi due momenti, quello mitico e quello razionale. La politica deve sempre trovare un equilibrio fra di essi, camminando sul filo della Storia. Ma la Politica (in quanto Arte) per rigenerarsi continuamente ha bisogno di uno “spazio creativo”, quello della Passione, uno spazio per essa stessa di vitale importanza. Una volta che la Politica quindi è tornata nel suo “spazio vitale, quello del cammino della Civiltà, allora possiamo cominciare a discutere su come, dove e quando... per quel che mi riguarda non ho nessun interesse a convocare una seduta spiritica per far tornare in vita (apparentemente) i fantasmi del passato della sinistra. A me, come ci siamo detti in precedenza, interessa che le “migliori menti e i migliori cuori di quel che resta e di quel che nasce e rinasce nei territori della sinistra, possano, sappiano e scelgano di partecipare alla formazione di un Fronte Ampio che sappia far incontrare le tre Grandi tradizioni di questo Paese e lavori anche in termini organizzativi per far sì che queste tradizioni camminino insieme per un lungo tratto di strada nuova e durante il cammino ci si possa reciprocamente svelare, conoscere e riconoscere nuovamente. Tutto verso la Vittoria Finale (il grande Cerchio) di un Governo del Mondo!!! Perché solo un governo del Mondo oggi potrebbe risolvere i problemi più urgenti e importanti, decisivi per il Nostro Futuro. Ma, ripeto, partendo da noi, dalle nostre tradizioni e non viceversa. Anche perché come potremo risolvere i problemi più importanti e vitali per l’Umanità come l’acqua, l’inquinamento, la criminalità organizzata, oggi come oggi la pandemia... se non con un Governo del Mondo. In questa ottica noi, con le nostre canzoni, contribuiamo a un Nuovo Racconto. Perché oggi l’Umanità ha bisogno più di ogni altra cosa di un Nuovo Racconto di se stessa. Sempre citando Barcellona e il suo “Racconto dell’occidente, l’umanità ha bisogno di un racconto differente da quello che si ha adesso, differente da quello degli illuministi per intenderci: si viene dal feudalesimo, si scopre la ragione, la ragione ci da la tecnica, la tecnica è lo strumento per dominare la natura e tutto ciò si adatta perfettamente al modo di produzione capitalista. Questo non è altro che un racconto che si proietta nello sviluppo, nel progresso, nella crescita. Ma questo racconto oggi non motiva più nessuno, non sono molti oggi quelli che ci credono. Una società esiste se quella società è interiorizzata nei membri di quella società. Questo sistema ormai è arrivato alla fine poiché è un sistema senza Storia, sempre più singolarizzato. Gli uomini hanno sempre risposto alla domanda su ciò che sono definendo un sistema antropologico. Una volta l’uomo creduto di essere figlio di dio, un’altra cavaliere errante, un’altra è stato astronauta... Ogni cambiamento sociale e torico è un cambiamento antropologico. Oggi occorre un nuovo racconto, di un uomo nuovo, quello che saprà costruire la Città Futura e il governo del Mondo! Ecco allora che torna la profezia di Ernesto Balducci che riprende la radice dell’Umanesimo nostro e cioè L’Uomo Planetario! Le nostre canzoni contribuiscono coscientemente a questo nuovo Racconto. Vorrei ricordare a proposito le parole di Ernesto Balducci: “...Se noi lasciamo che il futuro venga da sé, come sempre è venuto, e non ci riconosciamo altri doveri che quelli che avevano i nostri padri, nessun futuro ci sarà concesso. Il nostro segreto patto con la morte, a dispetto delle nostre liturgie civili e religiose, avrà il suo svolgimento definitivo. Se invece noi decidiamo, spogliandoci di ogni costume di violenza, anche di quello divenuto struttura della mente, di morire al nostro passato e di andarci incontro l'un l'altro con le mani colme delle diverse eredità, per stringere tra noi un patto che bandisca ogni arma e stabilisca i modi della comunione creaturale, allora capiremo il senso del frammento che ora ci chiude nei suoi confini. È questa la mia professione di fede, sotto le forme della speranza. Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo.” A questo punto però devo dare una risposta rispetto alla frammentazione, alla divisione molecolare della sinistra tutta... tutto ciò, secondo me, non deve essere visto soltanto e sempre come una cosa negativa. Ha delle ragioni di esistere ben precise. Oggi soltanto nei “piccoli gruppi” è possibile soddisfare quei bisogni primari e ineludibili quali sono quelli dell’identità e appartenenza. Solo in essi è possibile stabilire sulla base di relazioni umane i bisogni di condivisione, solidarietà, amicizia e solo nei piccoli gruppi è possibile oggi rigenerare continuamente un rapporto affettivo con la verità, cioè la Passione! Non solo ma nei piccoli gruppi o comunità è possibile ritrovare i simboli. Quando sappiamo bene che un uomo senza simboli è un uomo spento. E i simboli sono importanti in una società delle immagini, perché sono i simboli che fanno ad ognuno di noi continuamente una domanda di “senso” che trascende la contingenza e il presente. Il simbolo consente di pensare Oltre, mentre l’immagine non lascia posto alla domanda di senso e non stimola l’immaginazione. E infine io credo che solo nel piccolo gruppo oggi è possibile una realizzazione permanente e dinamica dell’individuo.
La cosa pericolosa è la chiusura dei piccoli gruppi, perché possono diventare settari, possono burocratizzarsi, ecco perché occorre Ricostruire al più presto uno spazio politico “pubblico”. E per questo basta tornare indietro e accorgersi facilmente che ci sono delle responsabilità in merito alla fine degli spazi pubblici politici. E sono responsabilità di politici, intellettuali, e classe dirigente della sinistra tutta. Poiché sono costoro per primi ad aver avviato un processo dissolutivo di ogni vera possibilità di confronto pubblico e di riflessione. Del successo del centrodestra da Berlusconi a Salvini che sta tutto in un mix di liberismo individualistico e plebeismo populista è responsabile in primis quella cricca di intellettuali e politici di sinistra che pur avendo ruoli importanti nel mondo dei media, delle case editrici, dei giornali, delle comunicazioni di massa, ma anche della scuola, dell’università, di quelli che una volta si chiamavano “apparati ideologici”, non hanno opposto alcun serio tentativo di resistenza al degrado della vita pubblica e al tracollo di ogni spazio pubblico e di ogni spirito critico. Questo ha comportato la fine di ogni passione civile collettiva che faceva di ogni istituzione lo spazio per una ricerca anche conflittuale del bene pubblico e comune. Senza questi grandi contenitori collettivi è inevitabile che la nostra vita sociale sia sempre più determinata dall’invidia, dal rancore, dall’arroganza e dalla prepotenza dei più forti. Il problema quindi non è al momento se avere un paese di destra o di sinistra entrambe di centro e moderate ma quello di avere un paese democratico che sappia trasformare anche gli estremismi in risorse culturali e politiche per l’arricchimento di un confronto. Questo è un paese malato in quanto le sue elite, le sue classi dirigenti sono completamente irresponsabili nei confronti di un popolo usato come mezzo e massa di manovra e mai come forza propulsiva e produttiva di un effettivo cambiamento.


I concerti dei Gang ormai da parecchio tempo sono un’istituzione piuttosto variegata: si va dal duo acustico fino al full band in elettrico con molti altri assetti nel mezzo. Come cambia (se cambia) il tuo approccio alle canzoni e al pubblico a seconda della diversa tipologia di live? E c’è una situazione che ti è più congeniale rispetto alle altre?

Da molti anni ho smesso di portare le canzoni nei luoghi consueti della “transumanza”... oggi mi faccio portare da loro. Perché sono loro che conoscono meglio di me la strada di CASA! Da molti anni noi non facciamo parte di nessun circuito, recinto o che dir si voglia... neanche quello cosiddetto “indipendente”. Viaggiamo sulla Frontiera fra ciò che è stato e ciò che sarà… Non significa semplicemente capacità di adattamento alle circostanze, una dote che secondo Darwin hanno coloro che sono destinati a durare, ma tutto ciò almeno per me significa restituire la libertà alle canzoni che faccio, non solo al mio lavoro. Significa essere liberi e slegati da qualunque logica del “compro-vendo, del mercato e del profitto. Significa fare BENE e Bene Comune!

C’è qualche aspetto della musica e dell’immaginario dei Gang che per te è particolarmente significativo e al quale invece si tende a dare minore risalto rispetto agli elementi peculiari più caratterizzanti (la militanza politica, l’impegno sociale, la risposta italiana ai Clash ecc.)?

Se c’è una cosa da cui cerco sempre di scartare di lato è proprio la “definizione”, che è un modo come un altro per incasellare, improgionare, chiudere nell’alveare... quindi non mi sono mai riconosciuto in queste definizioni, né in altre perché sono soltanto delle palle al piede, delle pesanti e ingombranti armature, che non mi posso permettere in quanto “Viaggiatore leggero” e di passaggio. Invecchiando si torna sempre più bambini, è una sorta di saggezza che è difficile da distinguere dal rincoglionimento. E nel tornare in patria, cioè alla mia infanzia, ricordo che da bambino ero sempre indeciso su quello che avrei voluto essere e diventare da grande, perché non avevo una ma ben tre “figure” di riferimento rispetto a quello che mi immaginavo sarei stato da grande. La prima era quella di un clown, si chiamava Takimiri. Il suo era un circo che veniva in paese due o tre volte all’anno. La seconda era quella di un missionario, padre Fausto. Quando tornava dal Congo veniva a trovarci a scuola e ci raccontava quello che faceva in quel posto lontanissimo. E il terzo era Lucio Mazzoni, un vicino di casa, che ci ha insegnato a suonare la chitarra e ad amare la musica soprattutto americana. Lui era stato per anni ad Istambul con un suo gruppo “Le Ombre” e aveva conosciuto e suonato con molti gruppi americani per via delle basi Nato che c’erano allora in quel paese. Credo che tutti e tre chi in un modo e chi in un altro abbiano influito su come sono diventato da grande, ma soprattutto tutti e tre avevano in comune Il Viaggio, e tutti e tre erano mossi sia dentro che fuori da Grandi Passioni!


Già in tempi non sospetti, eri molto critico sul Movimento Cinque Stelle, e invitavi a non farsi ammaliare dalle sue sirene che risuonavano anche nelle orecchie delle persone di sinistra. Adesso che appare tutt’altro che inverosimile la costituzione di un nuovo “centrosinistra” con il Movimento nel ruolo di primattore, come valuti questa situazione?

Direi che “Dio li fa e poi li accoppia”, perché sono fatti l’uno per l’altro. Non capisco quale sia il problema… Rispondere a questa domanda sarebbe come ripassare ancora sulle rovine che questi hanno provocato da anni e anni in questo paese. Rovine che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Per dirla in due parole, sia Pd che cinquestelle hanno ragione di esistere e di allearsi in quanto sono i migliori nel saper creare le condizioni oggettive affinché questo Paese resti ingovernato e ingovernabile, quindi garantiscono ancora meglio delle destre straccione quelle condizioni affinché chiunque fra i più forti, come banche, confindustria, multinazionali... possano perseverare nella rapina e nello sfruttamento di ogni bene e risorsa. Loro più delle destre assicurano oggi il mantenimento di un sistema feudale, che ho il pudore di non chiamare capitalismo o liberismo, ma semplicemente feudo baronia ducato con tanto di vassalli valvassori e valvassini. Ma non vorrei dimenticare che a dare forza al movimento cinque stelle non è stato solo il Pd con cui governa tuttora, ma anche gran parte della “cremeria” dei movimenti in quanto loro stessi hanno delegato la gestione politica delle lotte più importanti di questo paese, dalla No Tav all’Ilva di Taranto, a questa manica di buffoni capitanati dal peggiore dei comici di corte. E rispetto a questa stagione non noto ancora alcuna elaborazione del lutto da parte di questi fiancheggiatori. E la cosa mi preoccupa in vista dei nuovi assetti e allenze a sinistra. Per quel che mi riguarda e per ragioni di sintesi do due risposte alla tua domanda. La prima è personale, è un fatto di pelle, di istinto, di natura, più che di politica. Col passare degli anni provo sempre più un certo senso di disgusto ogni volta che mi avvicino ad alterità come queste che riguardano Pd e cinquestelle, Una sorta di repulsione alla mediocrità, al sevilismo cortigiano. Ogni volta che mi avvicino a ciò che è svilente e sterile, sento subito che sto buttando via il mio tempo. Questo mi salva e preserva anche da ogni confronto e analisi rispetto a queste realtà “politiche” deprimenti. Con Berlusconi lo scenario politico è stato ridotto a operetta o meglio ad avanspettacolo dove il numero che ha avuto più successo è stato quello dell’illusionista. I cinquestelle non sono altro che il solito e noioso numero da illusionisti. Peggio di loro ci sono soltanto le “sardine” che dall’avanspettacolo sono passati al carro di carnevale col pupazzo del nemico di turno (sempre fascista) a cui tirare arance e caramelle… Questo è un problema serio che va risolto una volta per tutte, se c’è una volontà politica, semplicemente con gli strumenti che il nostro vivere democratico ci permette: la Costituzione! Per precisione l’articolo 49 della nostra Costituzione. Per capire il livello del fondo dove questa ciurma da tribunale ha trascinato il Paese basta tener conto della situazionale attuale: il contenzioso tra la Casaleggio Associati e il Movimento 5 Stelle ci evidenzia che il Paese è guidato da tre anni da un partito che è la prima forza politica presente in parlamento e non è in grado di eleggere i propri vertici perché non sa chi sono i propri iscritti. Non ha Statuto formale, non ha iscritti, non ha rappresentante legale. E quello che dovrebbe diventarne leader non ha alcuna legittimità giuridica se si fa riferimento alle norme previste. E per le norme previste dall’articolo 49 della nostra Costituzione quindi in base all’ordinamento interno dei partiti politici che deve garantire il pluralismo e il corretto funzionamento democratico, sono costituzionalmente illegittimi sia il Partito democratico sia la Lega. Quindi le forze politiche che giocano a ping pong con questo Paese e le nostre vite vanno al più presto escluse dalla partecipazione e confronto elettorale. Come vedi questa è materia non tanto della sinistra ma soprattutto di una cultura liberale, anch’essa di fatto latitante da anni. Siamo arrivati a toccare il fondo? Non lo so, io spero solo che quessta sia l’ora della Resa dei Conti, quella in cui finisce la ricreazione e si rientra finalmente in CLASSE!

“I partiti politici non esistono per se stessi ma per il popolo (Konrad Adenauer)

La pagina Facebook dei Gang è un luogo di discussione, talvolta anche accesa, dove non ti sottrai nell’esporti prendendo posizioni che spesso colgono in contropiede persino i tuoi sostenitori. Come ti trovi all’interno di questo mondo virtuale che giocoforza è divenuto una parte rilevante della nostra esistenza?

Non c’è bisogno adesso di ripassare le analisi e le tesi di Bauman, internet è semplicemente uno strumento della tecnologia derivante dalla rivoluzione satellitare, un suo scarto... Come tutti gli strumenti non è né buono e né cattivo, come non lo sono la televisione, il frigorifero, le droghe (quelle vere, non le sostanze psicotiche) ecc ecc, dipende dall’uso che uno ne fa in base ai suoi bisogni e soprattutto da chi gestisce questi mezzi e ne scrive e detta il “manuale delle istruzioni”, ne ha l’egemonia culturale ed economica. Personalmente, può sembrare un paradosso, ma io “gestisco” la pf dei Gang come gestivo la bacheca del circolo del proletariato giovanile “Largo Matteotti” negli anni 70. Era un circolo che avevamo costituito in paese nel 1974 dopo il colpo di stato in Cile. Per farla breve io ero uno dei responsabili della comunicazione di quel circolo e fra gli strumenti che usavo c’era oltre al mitico volantino ciclostilato, anche la bacheca esposta al pubblico su una delle piazze del paese. Per me la pf e la bacheca non cambiano di molto. Nella migliore delle ipotesi Internet ci permette l’accesso all’informazione, ci fa Sapere. Ma una cosa è sapere e un’altra è conoscere. E la conoscenza oggi può riaffermarsi soltanto tornando all’incontro e alla dialettica fra le culture, popolari e quelle degli intellettuali. E il mio lavoro è quello di partecipare alla costruzione di questo Ponte fra queste due culture. Mi spiego meglio... La nostra conoscenza, almeno in occidente, è impostata su un “falso” ideologico, su una base teorica che impedisce il vero conoscere, che ostacola la Rivelazione e la Verità! Noi tutti veniamo “spezzati”, divisi e  indirizzati su due saperi, quello scientifico e quello umanistico. Ma la realtà è altra cosa, poiché nella realtà i saperi che operano sono due principalmente, quelli contenuti nelle culture popolari e quelli contenuti nelle culture degli intellettuali. Una volta tali conoscenze e tali saperi erano collegati fra di loro, poi con la rivoluzione satellitare e l’avvento delle comunicazioni di massa tali collegamenti sono stati  recisi, e i due “mondi” sono stati nuovamente divisi e  separati. Non solo, ma le comunicazioni di massa o mass-media ancora oggi, tendono a svuotare e rendere ridicole, ad umiliare e svilire,  entrambe le culture. Da un lato riducono a folklore le culture di massa. E attraverso la spettacolarizzazione di esse riducono a “buon selvaggi” i suoi protagonisti e dall’altro riducono ad opinionisti gli intellettuali, a dei semplici giullari da salotto. Da questo punto di vista, direi da questa prospettiva, la Cultura Rock, il Rock’n’roll, inteso come una delle massime espressioni della Cultura Popolare, può fare il suo “lavoro”, la sua parte, può trovare nuovi territori di espansione, nuovi ruoli e funzioni, nuove appartenenze e usare anche strumenti che sono “scarti” della rivoluzione satellitare, come internet... Pepe Mujica una volta ha detto una cosa del genere: “se hai sbandato e sei finito con la tua auto in fondo a un burrone e a un certo momento un’auto con a bordo un conducente che non conosci, si ferma sulla strada principale per darti un passaggio fino al più vicino pronto soccorso, tu non ti puoi permettere di non salire su quell’auto perché magari è un suv o il conducente è un miliardario, non gli puoi fare il discorso sulla dittatura del proletariato... la cosa più saggia sarebbe quella di salire su quell’auto e farsi portare al pronto soccorso... poi si vedrà... Ecco, io concordo pienamente con questa perla di saggezza di El Pepe. Quello che è veramente pericoloso per quel che rigurda l’uso che a livello di massa si fa di questo strumento è l’affermazione del “singolare assoluto” tipico dell’occidente odierno. Cioè la clonazione. È pericoloso il pensiero di non aver bisogno di una relazione con nessuno, di poter vivere in una realtà virtuale. Ma questa singolarità assoluta rivela anche un mondo estremamente fragile, dove tutto rischia di sfasciarsi da un momento all’altro. Le giovani generazioni (non tutte) che aspettano di vivere solo nel week-end restando per tutta la settimana prigionieri su questi schermi sentiranno ben presto il bisogno impellente di ricostruire il legame sociale.


Da sempre, i Fratelli Severini sono l’anima dei Gang e con passione e costanza hanno resistito all’avvicendarsi dei compagni di viaggio e a mille altre intemperie. Cosa succederebbe se uno di voi due decidesse di mollare? È un argomento che avete mai affrontato, magari in seguito a qualche momento di particolare difficoltà o sconforto che in quarant’anni ci sarà senz’altro stato?

Ti confesso che momenti di sconforto non ci sono stati, ci sono state mille difficoltà, milioni di ostacoli da superare, ma come due ciclisti in salita ci siamo dati il cambio, a volte ha “tirato uno a volte l’altro... Il nostro è uno spazio di “lavoromolto ampio, non facciamo soltanto i dischi o i concerti ma siamo presenti in molti altri progetti collaterali... non ci diamo fastidio e non abbiamo fra di noi dei problemi di ego insuperabili, c’è affetto ma anche rispetto. Siamo fratelli ma anche molto diversi l’uno dall’altro quindi la diversità è sempre fonte di confronto e crescita. Siamo comunisti per “educazione sentimentale più che per ideologia, quindi non credo, almeno per ora, che qualcuno di noi due voglia percorrere altre strade con una carovana diversa da quella dei Gang, poi come dice il profeta “il futuro non è scritto” quindi lascio al futuro questa pagina bianca ancora da scrivere...





 

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