mercoledì 6 novembre 2019

BONJE IN YURT E DAVIDE GIROMINI A RISERVA INDIE - SCOPRI GLI OSPITI DELLA SETTIMANA SULLE FREQUENZE DI CONTATTO RADIO POPOLARE NETWORK


Questa settimana a Riserva Indie arriva Marco Bongini per presentare il suo progetto Bonje in yurt e torna Davide Giromini con il folk new wave politico esistenziale del nuovo disco "Vento nero". Come sempre grande spazio ai "dischi caldi" della settimana, ai live e, in apertura, la "finestra" sull'hardcore punk italiano a cura di Fabrizio Pisani. Appuntamento, in diretta dalle 20,40 alle 22,30 Lunedì 11 e in replica Sabato 16 Novembre dalle 15,40 alle 17,30 sulle frequenze e lo streaming di Contatto Radio - Popolare Network.



Bonje in Yurt è il progetto creativo di Marco Bongini, volutamente definito creativo e non musicale per non vincolarmi solamente a un canale espressivo ma riprendere in mano tutte quelle cose che ho sempre amato e che per troppo tempo ho tralasciato. Un mash-up di musica e immagine, illustrazioni e artwork si intrecceranno a frammenti di frasi, testi di canzoni. Canzoni inedite si scontreranno con rivisitazioni di brani popolari. Sapori di terre lontane, racconti e storie fluiranno nella forma artistica espressiva che meglio renderà il suo concetto. Il nome Bonje deriva dal suo storico soprannome mentre “yurt” sta per yurta, un'abitazione mobile adottata da molti popoli nomadi dell’Asia tra cui mongoli, kazaki e uzbeki. Un nomadismo figurato e pratico per una continua ricerca e uno spostarsi tra più canali espressivi, un attaccamento morboso al viaggio anticonvenzionale e aimè... Il non sentirsi mai totalmente appartenente a qualcosa.


Davide “Darmo” Giromini, neo-chitarrista carrarino (lui dice sul palco di suonarla “da cani”, ma dev'essere sernz'altro un cane di razza, mi viene a mente un cirneco dell'Etna) è, a modo suo, anche e soprattutto un fotografo. Sebbene non lo abbia mai visto con in mano una Leica o una Hasselblad, e non somigli pi' nenti a Fulvio Roiter, per le sue fotografie si serve di voce, note, chitarre, una fisarmonica (almeno fino a poco fa), tastiere, altri musicisti (da quando lo conosciamo, penso che i musicisti, musiciste, controcantanti e altri variegatissimi personaggi che lo hanno accompagnato nelle sue scorribande e progetti potrebbero agevolmente riempire uno stadio in occasione di una partita della Carrarese), compagni e compagne di strada e quant'altro. Davide Giromini fotografa i tempi che corrono, nelle cose che scrive, sòna e canta. Li fotografa, ma sempre con dei punti di partenza storici e sociali; a partire dai suoi eterni anni '80, gli anni dei riflussi e dei rifiuti, gli anni degli sgretolamenti, gli anni degli edonismi e, per un puro capriccio anagrafico, anche gli anni dell'adolescenza del fotografo musicale in questione. Gli anni del salto tra la generazione “che aveva dovuto rispondere a tutto” (Erri De Luca) e quella che si ritrovò a domandare tutto ricevendo risposte evanescenti, cartoni animati giapponesi, paninari e stanchezze dentro. I tempi che corrono sono senz'altro figli diretti di quegli anni, anche se oramai gli anni sono passati e siamo già nei tempi nipoti. Davide Giromini, nel fotografarli via via (un percorso che questo sito ha seguito fin dai suoi inizi), si è spinto ancora più all'indietro; nulla è slegato. E' il fotografo di una putrida ciclicità che non cessa di ammorbare questo paese, da qualsiasi punto di osservazione la si scruti (in questo, una periferia come Carrara vale esattamente quanto Milano o Roma. Così fa in questa canzone appena scritta in tempi salviniani di pieni poteri e di miti popolari della razza dal tabacchino (un'immagine precisa e agghiacciante: le chiacchiere della “gente” nei negozi, sugli autobus, ai giardinetti, e -naturalmente- sui “social” che hanno universalizzato capillarmente le idiozie da bar. “Un pacchetto di Marlboro, 'sti negri che ci invadono, ci rubano il lavoro, Salvini ha ragione, prima gli italiani ecc.). 1919-2019. Tutto si ripete con innovazioni tecnologiche. Svaniscono, fanno fading, i filmoni impegnati che parvero segnare un'epoca nuova, sfuma Sidney Poitier mentre l' “integrazione” e la “solidarietà” fanno figura di parolacce o di bestemmie, e l' “intercultura” è sostituita dal caro, vecchio, immarcescibile razzismo. Il vento nero che soffia. Una fotografia in pochi versi, una breve canzone, una constatazione in forma di "folk rock politico esistenziale" [RV]

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