Parliamo del vostro ultimo lavoro. Quanto di quello che avete assimilato musicalmente ha influenzato il vostro album?
Jo Ferliga: Ti dico, di recente in un’intervista ci hanno chiesto quali dischi ci hanno influenzato di più per questo album. Ovviamente hanno nominato artisti come Burial etc. Bene gli abbiamo risposto che i dischi che ci hanno influenzato di più sono stati i nostri. Ogni singola produzione passata. Questo non tanto perché ce li ascoltiamo (non li ascoltiamo mai) quanto perché ripensare a quello che abbiamo fatto, capire cosa ha funzionato o cosa non funzionato, ci è servito - e ci serve - moltissimo nel nostro processo di maturazione.
Quanto è difficile trovare una propria identità?
Jo Ferliga: dal mio punto di vista, se fai una ricerca che dura da tanti anni - perché comunque suoniamo insieme dal 2008 - nel tempo riesci a costruirti un’identità. Ad esempio, per quanto ci riguarda, il nostro primo disco dal mio punto di vista era poco forte. Eravamo molto influenzati, ascoltavamo moltissimo i Battles, Don Caballero ed anche parecchia elettronica. Non avevamo il bassista ed iniziammo a mescolare synth con chitarre noise, batteria. Poi erano gli anni appunto della Hyperdub e c’era stato il boom della “dubstep” (che poi oggi se dici “dubstep” la gente pensa ad un’altra cosa eh) e dei primi pezzi grunge strumentali. Ecco tutto questo ha in qualche modo creato la base di quello che siamo.
Francesco D'Abbraccio: secondo me poi quando si parla di identità bisogna tener conto di questo; è abbastanza facile costruirsi un’identità, più difficile cercare la propria. Nel primo caso è un esercizio. Penso a progetti con un’idea di comunicazione a priori rispetto alla musica, molto “costruiti” (senza l’intenzione dichiarata di fregare la gente ovviamente). Alcuni per altro li trovo pure interessanti persino validi però diciamo che il nostro è un discorso diverso; è un percorso molto lungo, fatto di persone diverse e di equilibri da trovare. Un percorso in cui ognuno ci mette la propria esperienza. Poi chiaramente tante volte fai cose che non ti piacciono che poi sei costretto a rivedere, però solo da quelle puoi capire veramente dove vuoi andare.
Ci sono dei progetti in Italia validissimi che oggi godono di una propria riconoscibilità anche (e soprattutto?) internazionale. Penso ovviamente a POPULOUS, CLAP! CLAP! (e molti altri). Ecco, ho letto parole più che positive da parte vostra a riguardo, soprattutto sul lavoro di Andrea (Populous)…
Jo Ferliga: Sai, quando ti becchi tante volte a suonare si creano dei rapporti di amicizia…
Cosa pensate del suo lavoro in particolare?
Jo Ferliga: di Populous? Eh, lui piglia un sacco di like, (questa scrivetela!).
Francesco D'Abbraccio: per me è il classico esempio di persona che negli anni persevera facendo il suo discorso senza scendere a compromessi. Lui era uscito con “Morr Music” all’inizio, ma si parla di “MySpace Age". C’è stato un periodo in cui magari quello che faceva non era più sotto i riflettori e lui è andato avanti lo stesso. Adesso si è guadagnato attenzioni meritate. Anche perché l’ultimo lavoro è veramente notevole…
Jo Ferliga: abbiamo suonato assieme poco tempo fa a Como. Quindi Populous va bene! A Populous gli vogliamo bene! Promosso!
Ormai siete sulla scena da diversi anni. Avete calcato anche palcoscenici fuori dai nostri confini e rientrate sicuramente nel gruppo delle migliori realtà italiane spendibili anche all’estero. Ecco, quanto è difficile oggi (se lo è) essere italiani “da esportazione”? Vi pesa?
Francesco D'Abbraccio: secondo me è un momento in cui è più facile rispetto a qualche anno fa. C’è internet! Una volta era più complessa la situazione. Quando ripenso al passato mi torna alla mente sempre quello che diceva Jacopo Battaglia (ex Zu) riguardo ai loro primi tour ed al fatto che li organizzassero usando il fax. Pensa, andarono in tour in Russia ed in Svezia senza il navigatore! Loro erano degli eroi. Ora con internet puoi fare tutto.
Jo Ferliga: ad ogni modo per tornare alla tua domanda, io dico sempre che non siamo dei giornalisti. Non ci interessa più di tanto studiare il fenomeno, siamo un po’ nel nostro percorso e spesso non ci rendiamo neanche conto se stiamo facendo le cose giuste o sbagliate, non è una cosa che ti so dire quanto è difficile per un italiano emergere, sono domande a cui veramente non so rispondere.
Com’è il vostro rapporto con le etichette?
Jo Ferliga: abbiamo fatto uscire i primi tre album con l’etichetta francese “African Tape”. Adesso lavoriamo con un’etichetta nuova di Londra che si chiama Kowloon Records che ha uno spirito affine ed essendo inglese quindi ha più risonanza. Ad ogni modo dietro al disco c’è tanto impegno e questa è la cosa più importante. Abbiamo fatto un lavoro di squadra grazie al lavoro di un ottimo team messo assieme anche grazie all’aiuto della stessa etichetta. Il giorno dell’uscita del disco ho fatto un post su facebook per ringraziare tutti e mi sono reso conto che ci sono tantissime persone dietro ad un album. Non siamo solo noi che ci becchiamo per buttare giù idee e svilupparle. C’è un mondo di persone che lavorano affinché il disco venga alla luce. Il lavoro di squadra è fondamentale per noi. Non mi stupisco poi che sull’estero siano andate bene certe cose, poi è chiaro, finire sulla copertina di Noise è stato un colpo di fortuna però il disco gli è piaciuto davvero. Ecco quello ti aiuta, finisci su una copertina e i promoter vogliono tutti farti suonare e allora magari fai un grande tour e il disco va pure bene.
Nel corso degli anni avete collaborato con altri artisti (anche di rilievo internazionale). Quanto è difficile mettere in relazione il proprio lavoro, la propria sensibilità e la propria visione della musica, con quella di altri?
Jo Ferliga: è un momento in cui questa domanda trova una difficile risposta perché abbiamo deciso proprio per questo disco, di non collaborare con nessuno. Questo anche perché comunque il tema dell’identità era un aspetto che ci interessava in questo momento. Occorreva tirare un po’ le somme di tutte il percorso che abbiamo fatto. Collaborare è una cosa che apre e noi in questo periodo avevamo bisogno di chiudere un po’ i ponti per concentrarci su quello che siamo noi adesso. Probabilmente se mi avessi fatto questa domanda qualche mese fa ti avrei dato una risposta diversa. Sai anche a fare un album è un momento in cui ti concentri in un discorso che è un po’ più complesso di quello che potrebbe essere per quanto riguarda la composizione di una canzone, quindi c’era l’esigenza di lavorare su un nucleo di cose che erano collegate fra loro.
Dove sta andando la vostra musica? Avete già idee per il futuro?
Jo Ferliga: sì, fra l’ultimo disco e questo abbiamo fatto tantissimi concerti, è stato figo. L’ultimo anno no, ci siamo un po’ calmati e siamo riusciti infatti a fare un disco. Anni fa sarebbe stato impossibile; facevamo troppe date ed il tempo mancava. Vorremo riuscire a non metterci quattro-cinque anni per fare il prossimo album, anzi ci piacerebbe farlo uscire fra un anno.
Francesco D'Abbraccio: punteremo a fare qualcosa di ancora più istintivo.
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