sabato 17 ottobre 2015

Tre Racconti a 33 Giri : "Dirt"degli Alice in Chains (Lato B) // Testo di Ljubo Ungherelli



TRE RACCONTI A 33 GIRI

Come un Flaubert trascinato di peso nell’iconografia rock’n’roll. Tre racconti ispirati ai testi di altrettanti LP, ciascuno filologicamente suddiviso in lato A e lato B.

3. ALICE IN CHAINS “DIRT” (1992)

LATO B: “DIRT” “GOD SMACK” “IRON GLAND” “HATE TO FEEL” “ANGRY CHAIR” “DOWN IN A HOLE” “WOULD?”
Non mi ero mai sentito così frustrato e privo d’autocontrollo. La droga mi stava uccidendo e scavava sempre più a fondo, fino a togliermi la voglia di continuare a vivere.
Era come sentire in bocca e sulla lingua il sapore schifoso di una lurida pistola appuntita. Mi stava sfuggendo di mano. Ciò che un tempo era la mia linfa vitale, adesso mi raschiava via dai muri, facendomi uscire di senno.
Era un’esperienza così speciale da ridurmi a un cumulo d’immondizia. Inutilmente avevo cercato di nascondermi da ciò che era sbagliato per me.
Spesso bastava una pagliuzza per spezzarmi la schiena. Nessuno era cieco. Tutti vedevano come mi stavo annientando. Tutti conoscevano le mie bugie. Eppure non smettevo. Un buco nel braccio corrispondeva immediatamente a un gran divertimento.
Dopo di che, riprendevo a struggermi, girando e rigirando il coltello nella piaga. Conoscevo bene la ragione per cui in molti non erano in grado di spingersi tanto in là: era la paura di morire, nient’altro. La mia dipendenza pesava una tonnellata, e me la trascinavo appresso in ogni istante.
Ahahah! Quand’ero su di giri, l’angoscia svaniva. Avrei potuto avere un glande di ferro! Ahahah! Fiumi di sangue, scritte rovesciate sui muri…
Che cosa esattamente era andato storto? Non ci vedevo più bene, l’avevo tirata troppo per le lunghe e mi ritrovavo pieno d’odio. Di che cazzo avevo bisogno? Affogarmi appena sveglio? O riguardarmi per l’ennesima volta “Quello strano cane… di papà”? Ovviamente in preda alle mie alterazioni, cosicché il cane arrivava a strattonarmi per la gamba. Un uomo di plastica con la faccia di carta e il cuore a caramella. Che spreco. Aiuto!
Quell’essere allucinatorio mi fissava con occhi vacui e mi puntava addosso le sue parole di biasimo: “Lo specchio appeso al muro ti mostrerà ciò che hai paura di vedere!”
Ma io vedevo e sentivo tutto, anche se avrei desiderato non vedere né sentire nulla. Odiavo vedere. Odiavo sentire.
Mi arrampicavo sui muri, col sangue in circolo sempre più rarefatto, fino a strisciare nuovamente nel letto. Avevo bisogno assoluto di riposare per lenire almeno in minima parte il dolore lancinante al petto.
La mia medicina era un puntaspilli, e faceva più danni che altro. Il mio unico sostentamento era la merda che mi sparavo in corpo.
In tutto questo tempo, avevo spergiurato che non sarei mai diventato tale e quale a mio padre. E dannazione era giunto il momento di affrontare esattamente ciò che ero. Un reietto che non aveva più alcun modo di indirizzare diversamente la propria esistenza. Proprio come lui.
Seduto su una sedia in fiamme, mentre i muri prosciugavano l’ossigeno nella mia stanza, lo stomaco mi doleva e non m’importava più nulla di ciò che accadeva giù in strada. Vedevo la mia immagine modellata nell’argilla, col mio volto che cambiava continuamente forma, assumendo fattezze ogni volta più spaventevoli. Inoltre, scorgevo ombre danzare dappertutto, evocate dalle due candele rosse che avevo acceso.
Non mi preoccupavo più di nulla. Avevo perso la testa, e non mi preoccupavo nemmeno di ciò. Non riuscivo più a ritrovarla da nessuna parte, e non me ne preoccupavo. La solitudine non era più una fase momentanea. Andavo al pascolo in un campo di dolore da cui la tranquillità si teneva alla larga.
Avrei voluto essere sepolto dolcemente nel tuo grembo. Avevo sacrificato una parte di me per starti accanto, ma ero finito da solo, seduto in una tomba, con fiori esotici in pugno, senza sapere se avrei potuto salvarmi, mentre dal cielo pioveva sabbia.
Quando era finita, avevo decorato il mio cuore come una lapide mortuaria. Ero un uomo che non si sarebbe mai più lasciato andare.
La mia colpa più grande era stata darmi troppo spesso la zappa sui piedi, e questo aveva finito per convincere anche te che non valeva la pena continuare. In ogni caso, non avrei mai più parlato apertamente dei miei sentimenti più reconditi.
Giù nella fossa mi sentivo così solo, mentre avrei tanto voluto essere dentro di te. Anche la mia anima se ne stava andando, e tutto era fuori controllo. Mi sarebbe piaciuto spiccare il volo e librarmi infine in aria, ma le ali mi erano state brutalmente tarpate.
Mi ritrovavo per l’ennesima volta nell’occhio del ciclone. Lo stesso vecchio viaggio intrapreso un tempo. Avevo commesso un grave sbaglio, cercando di conoscere almeno una volta il mio tragitto.
Ero un corpo alla deriva abbandonato a sé stesso. Avevo torto a essermi allontanato troppo, così da non poter più tornare a casa? Forse ero stato io ad andarmene e lasciarti? Non so. Ma se un giorno di nuovo io volessi, tu potresti?

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