TRE RACCONTI A 33 GIRI
Come un Flaubert trascinato di peso nell’iconografia
rock’n’roll. Tre racconti ispirati ai testi di altrettanti LP, ciascuno
filologicamente suddiviso in lato A e lato B...
2). THE ALMIGHTY – CRANK (1994)
LATO A: “ULTRAVIOLENT” “WRENCH” “THE UNREAL THING” “JONESTOWN
MIND” “MOVE RIGHT IN” “CRANK AND DECEIT”
Sarà
stata la crisi del settimo anno, arrivata peraltro in largo anticipo, o chissà
che altro. Fatto sta che la nostra relazione giunse al capolinea, e nemmeno in
modo troppo sfumato. No, fu proprio un finale ultraviolento.
Riavvolgendo
il nastro, lentamente, in modo esasperante, ricordo che cercai di mettermi in
salvo, ma lei mi aveva già depennato dalle sue priorità.
Quando
riuscirò a sentirmi bene come vorrei, mi chiedevo. Non avevo una risposta. Non
nell’immediato comunque, su quello non vi era dubbio. Nient’altro da dichiarare.
Nient’altro da dimostrare.
Era
come se accumulassi vagonate di frustrazione nella mia mente a causa di quella
situazione. Avevo quasi lasciato scoperto il mio punto debole,e lei,
perfidamente, mi aveva quasi strappato un sorriso.
Quel
tiramolla stava iniziando ad assomigliare a una condanna a vita in un infimo
paesucolo di provincia, e dovevo cercare di darci un taglio.
“La
stai prendendo nel modo sbagliato, e credi che vada tutto bene”, le
rinfacciavo.
Lasciai
quel posto tale e quale a come l’avevo trovato. Ero in confusione ma dovevo pur
fare qualcosa. Quand’ero ragazzo, non sapevo cosa volevo fare da grande. Mi
rincuorava non essere cambiato granché.
Una
volta che me ne fui andato, continuai tuttavia a percorrere a ritroso i pertugi
più oscuri di quella storia.
Stentavo
a credere che, in un modo o nell’altro, mi avesse strappato di mano tutto ciò
che avevo.
Mi
sentivo costantemente sott’attacco, come se ogni cosa che dicevo venisse
strumentalizzata e ritortami contro.
“Sarà
bene tu decida da che parte vuoi stare.” Ma non ricevevo segnali d’assenso.
Anzi, in quello stato di perpetua tensione, mentire era naturale quanto respirare.
Lei non raccolse mai il mio invito a mostrarsi all’altezza della situazione.
“Dici
che ti dispiace andartene, eh? Allora lascia che ti aiuti a levare le tende.”
Le nostre ultime conversazioni erano di questo tenore.
Mi
sentivo pugnalato alle spalle, ingannato su tutta la linea. Tante chiacchiere,
ma in fondo non ci credeva nemmeno lei. Cos’è che le dava il diritto di
raccogliere i pezzi uno dopo l’altro fino a prendersi tutto il resto della mia
vita?
Non
ero spaventato al pensiero d’aver torto, come cantavano gli Hüsker Dü. Ero
semplicemente atterrito al pensiero d’aver ragione.
Ogni
aspetto della nostra routine aveva smesso di funzionare. Alla fine, avevo tutto
ciò di cui avevo bisogno per essere libero. Avevo la masturbazione e la tv via
cavo. Avrei potuto accontentarmi e continuare a trascinarmi. Invece cercavo
d’insistere, perché in fondo ci tenevo, e m’illudevo che ci tenesse anche lei.
Contemporaneamente,
cercavo una via d’uscita, magari solo una valvola di sfogo. Ogni volta però ci ritrovavamo
al punto di partenza, sempre più deteriorati e distanti anche sotto lo stesso
tetto.
“E
non cercare di farmi dei favori!”, sbottai una sera. “È solo che la vita a
volte mi rende nervoso”, risposi sarcastico al suo sguardo incredulo.
La
situazione non poteva che degenerare. Ormai non faceva più una cazzo di
differenza, non credevo più in un cazzo di niente.
Non
andavo più a dormire la sera. Le tre di notte conoscevano ogni mio segreto,
tant’è che avrei potuto essere chiunque, anche se in realtà ero pur sempre
qualcuno che ero già in precedenza.
Ero
in piedi da settimane, insonne, tenuto su da robe strane e inganni, e
pretendevo che lei fosse in piena sintonia con quel modo di vivere. Stavo
cedendo.
“Mi
conosci meglio di quanto io stesso mi conosca”, confessai. Ma era un’ammissione
di resa.
La
spazzatura iniziava a emanare un odore quasi gradevole, ed io cominciavo a
sentirmi obsoleto. Dovevo mettere un punto.
Testo di Ljubo Ungherelli
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