Gli occhi bassi, le cuffiette, la pioggia e quella costante incertezza che non ti lascia intuire dove ti trovi.
Sei
completamente aperto ad ogni possibilità, vulnerabile, con un disco che
gira nelle orecchie; uno di quelli da ascoltare senza difese.
E' così che è andata per me. E' così che ho conosciuto "Fate".
Ora mentre scrivo, tornano alla mente quelle linee di basso ed il loro incedere ostinato in un'unica direzione.
E'
qualcosa che somiglia ad un solco scavato in pieno petto, la certezza
di quanto alle volte il dolore abbia tanto da offrire.
I Soviet Soviet disegnano ambientazioni e stati d'animo con la rapidità di chi sa
esattamente dove vuole andare. E' roba che descrive, roba che riguarda
gli occhi. E quando la musica scorre ti ritrovi ad aprire porte su
porte, una dopo l'altra in successione, con addosso la smania di sapere
cosa diavolo ci troverai dentro.
Sì, Fate è indubbiamente un disco che viaggia veloce.
Alla
guida una sezione ritmica dal fiato lungo abituata a correre sia su
disco che sul palco, "altare" dove si consumano performance fatte per
portarti via tutto. All'elettrica il compito di ricordarti quanto gelido
sia quel vento in pieno viso.
Avrai gli occhi asciutti, lacrimerai senza bagnarti.
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