mercoledì 23 luglio 2025

LE FESTE ANTONACCI - "UOMINI, CANI E GABBIANI" - UNA MAIONESE ELETTROPOP - RECENSIONE E INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI


Ai Le Feste Antonacci sicuramente non mancano le idee originali e a tratti bizzarre per costruire le proprie canzoni. Il primo album “Uomini, cani, gabbiani” è un mix ben riuscito di elettropop, dance e funk su cui si innestano testi che catturano l’attenzione con versi ricchi di giochi lessicali. Uno per tutti il primo pezzo dell’album dal titolo “Uomini nudi”, in cui sonorità in parte vicine ai primi Depeche Mode si mescolano a testi con immagini ad un primo ascolto curiose e nonsense ma, in realtà, saturi di suggestioni quasi lisergiche, tra tutte “l’esistenza è un carosello e radici di bonsai”, “uomo cane gli piacciono i fiori, trova il tempo di pensare ai suoi cari”. Senz’altro il fatto che il duo, formato da Leonardo Rizzi (originario di Siena) e Giacomo Lecchi D'Alessandro (originario di Genova), viva a Parigi rende più facile ai “Le Feste Antonacci” essere esposti alla musica del mondo in una capitale europea ricca di culture e cosmopolita. Il secondo brano dell’album “P.U.L.P.” crea nell’ascoltatore un loop quasi vertiginoso con la ripetizione del verso “scatole che inglobano scatole che inglobano scatole…”. A circa metà album lo strumentale “Aquekete” allenta la tensione emotiva con un ritmo più disteso. A seguire “Ora è meglio di prima”, brano dall’atmosfera inquietante in cui il protagonista è un soldato reso un automa insensibile all’umana pietà: “ho imparato tre regole facili, chiudi gli occhi e cammina, non fermarti a contare i cadaveri”. In chiusura la title track “Uomini cani gabbiani” che ripete le tre parole del titolo in tutto il testo crea un effetto allo stesso tempo buffo e straniante, reso ancor più divertente dalla registrazione quasi in presa diretta che comprese le risate del duo e l’attacco iniziale “Quando vuoi, vai”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il duo per approfondire i significati più nascosti dei brani che compongono l’album. 



- In “Uomini cani gabbiani” i testi diventano un tutt’uno con la musica come se fossero degli strumenti musicali aggiuntivi.
LEONARDO Sì noi prima ancora di essere degli autori di testi siamo dei musicisti e anche nei nostri altri lavori, lavoriamo come compositori diciamo “a comando” utilizziamo molto la voce come strumento melodico caratterizzante. A volte ci affezioniamo anche parecchio al suono delle parole, parole che si sposano bene con una melodia ed è quello un punto di arrivo per capire che siamo partiti sull’idea giusta a livello di testo piuttosto che il contenuto. La difficoltà è poi dargli una direzione anche come significato. 
La vostra musica è una sorta di maionese, riesce a mescolare elementi che in teoria non dovrebbero potersi fondere, ma lo fanno e creano qualcosa di innovativo.
GIACOMO Grazie bellissima immagine. Noi di solito parliamo di cipolla perché comunque ci sono diversi strati ma la maionese trovo che sia una grande metafora. 
LEONARDO Tra l’altro se posso aggiungere un commento dal punto di vista tecnico Giacomo che è effettivamente la componente più kraft a livello di suono a livello finale lavora il suono come si lavorerebbe una maionese, scavando da una parte, riempiendo dall’altra quindi anch’io mi ci ritrovo in questa metafora.
- Fin dall’attacco del primo brano dell’album “Uomini nudi” mi avete ricordato l’elettropop dei primi album dei Depeche Mode. Ho visto giusto? Sono tra le vostre fonti ispirative?
GIACOMO Ma guarda effettivamente secondo me Battiato che è andato un po’ a prendere quelle cose lì è stato più una nostra influenza, quindi un po’ con un passaparola tra l’Inghilterra di quei tempi e l’Italia di quei tempi il più futurista che era sicuramente Franco Battiato ha preso un po’ da quel sound là e ci siamo ispirati tanto entrambi a lui. “La voce del padrone” è un album che conosciamo e memoria e quindi direi che l’influenza viene più da Franco. 
LEONARDO Sì interessante, un’Inghilterra di riflesso sicuramente la nostra. Io i Depeche Mode non li ho mai ascoltati bene a parte i pezzi belli che arrivavano e che avevano un grande impatto. 
“Vivi e lascia che sia, l’esistenza è un carosello, una radice di bonsai”. Quindi pazza, fragile. E’ questo il vostro atteggiamento mentale? L’esistenza per voi è un carosello?
GIACOMO - Sì l’esistenza è una ruota che gira come dice il testo e comunque quello che ci accomuna come genere umano è la caducità. Quindi come ci si rapporta a questa caducità è la direzione che si imprime al proprio spazio-tempo nella vita. Quindi uno può vivere come un carosello, trovarsi dalla parte sbagliata della giostra.
LEONARDO Se sei sopra la giostra è bellissimo, se sei sotto la giostra è un dramma. E l’essere sopra o sotto la giostra molto spesso non dipende da noi. Il messaggio è che nell’accettazione del fatto che è completamente dipendente dalle circostanze bisogna andare verso l’altro, essere aperti all’altro, aperti all’accettazione dell’altro in difficoltà. Se tu stai bene sei fortunato e non devi dimenticarti della sfortuna dell’altro.
- Mi spiegate la canzone che io chiamo “Pulp” ma già qui vorrei capire perché è scritto con i puntini tra le lettere, cos’è una specie di acronimo?
- Questo abbiamo deciso che non lo riveleremo mai e noi stessi lo chiamiamo “Pulp”. Forse in punto di morte, sul letto di morte lo riveleremo e vi farà tutti molto ridere ma per il momento no. Si potrebbe lanciare un concorsone “trova l’acronimo di P.U.L.P”. Comunque per noi è pulp perché lo è l’ambiente come pezzo.
- Nel pezzo c’è anche questo infinito gioco di scatole cinesi con gli “specchi che specchiano specchi che specchiano specchi…” che dà quasi un senso di vertigine o come l’effetto ingannatore di quelle illusioni ottiche che si vedono ogni tanto alle mostre
- Sì è esattamente quello, impressionante. 
GIACOMO - Comunque ci sono diverse ragioni, come ti dicevo prima la musica ha già spesso all’interno una storia e tocca quindi usare le cose che ci stanno bene e abbiamo sentito quel “non ci vedi siamo sempre più forti” che sono diventati di conseguenza questi cattivi, i poteri forti, occulti. Ma poi comunque nel pezzo non si capisce se si parla dei poteri occulti, di noi, se siamo noi stessi che siamo sempre più forti. E poi c’era la volontà di fare un pezzo rap e poi quando ci siamo messi a scrivere un pezzo hip hop ci siamo resi conto che non è proprio il nostro campo. In compenso il nostro campo sono poche parole scelte bene. Leonardo ha tirato fuori il concetto delle scatole che si può prestare a mille interpretazioni, tutte molto interessanti, che siano una holding, universi che si inglobano in una sorta di matrioska. O anche il guardare troppo in noi stessi, il narcisismo l’ossessione per la felicità. Leonardo ha fatto queste due take indiavolati.
LEONARDO Sì e poi c’è questo “io e te fuori dal mondo” che è un po’ alla conclusione di questo sproloquio, queste “scatole che inglobano scatole” che danno un po’ il senso di questa vita over informata, dalla sensazione di avere questa conoscenza quando al di fuori di sé stanno accadendo delle dinamiche non controllabili da noi e siamo fuori da questo gioco. E tutto questo poi si rispecchia nella tematica ancora più grande che poi, in realtà, anche quelli che pensano di controllare il gioco delle scatole o il gioco degli specchi sono essi stessi esseri viventi destinati allo stesso destino che l’ultimo dei coglioni ha.
GIACOMO Tutti controllati da una biologia più grande dell’uomo. “Pulp” è la festa dei cattivi che festeggiano il fatto di essere sempre più forti, questa macabra danza. Il momento con il sax è il picco di questa festa. 
- In “Ora è meglio di prima” c’è questa filastrocca tragica: “ho imparato tre regole facili, chiudi gli occhi e cammina, non fermarti a contare i cadaveri”. Sembra quasi di vedere uno scenario post bellico.
GIACOMO Anche durante una guerra, noi ci abbiamo visto a tratti un soldato pazzo che spara a tutti con entusiasmo convinto che ora sia meglio di prima. In questa marcia folle verso l’avanti, a caso. 
LEONARDO Sì un entusiasmo a caso che non guarda niente, ma poi magari però serpeggia un dubbio-
GIACOMO Sì, a un certo punto si ferma e guarda il cielo e vede che in mano non gli rimane niente e c’è questo dubbio “se fossimo rami invece di essere pietre”.
- “Uomini cani gabbiani” che è il pezzo che dà il titolo all’album è diciamo il brano più particolare perché ripete per tutta la durata le stesse tre parole del titolo e scappa tra voi anche qualche risata come se fosse uno scherzo. Com’è nata l’idea di associare uomini, cani e gabbiani?
LEONARDO E’ nato completamente a vanvera e quello che si sente è la prima, unica e sola versione di quel pezzo che sia mai stata performata. E uscì questo testo come una specie di vomitata subconscia e abbiamo deciso di mettere questa versione nell’album e di non lavorarla più di così come se fosse un po’ uno spioncino sul nostro modo di fare la musica e di scrivere i pezzi che è abbastanza questo in realtà.
GIACOMO E’ il manifesto del processo creativo delle Feste Antonacci che siamo noi due e ci viene un’intuizione che si può cavalcare anche solo il tempo di una take come in questo caso. Crediamo che ci rappresenti abbastanza bene, quasi a scopo documentario.
LEONARDO E poi alla fine più lo si ascolta più si nota la coerenza con il resto dei contenuti del resto del disco e quindi in maniera inconscia, in qualche modo intuitiva ci sta.
- Sono andato anche ad ascoltare i pezzi pre album e sono rimasto colpito da “Fetiche fonetico” che è un pezzo fatto da voi con i Ganso che sono una band portoghese. Com’è nata questa collaborazione?
GIACOMO Questa collaborazione è nata dal fatto che mi sono trovato per circostanze X con degli amici a Lisbona, in una serata e a un certo punto in una discoteca mettono “Sigarette” (ndr altro loro pezzo) e quindi vado a palesarmi al Dj che era amico di amici ed era entusiasta de Le Feste Antonacci e da lì siamo rimasti in contatto e con i Ganso abbiamo detto ma ragazzi volete cantare su un pezzo nostro che abbiamo un buco e troviamo che possa essere una buona idea, il pezzo loro parlava del fatto che gli piace l’accento ruvido del nord del Portogallo, quindi noi un pomeriggio abbiamo detto “dai prendiamo l’accento più ruvido che c’è in Italia, l’accento calabrese e scriviamo una cosa in linea che parli del perché non si sa come questo accento ma scalda ma mi scalda.
- Quindi in Portogallo siete praticamente delle superstar.
GIACOMO Ma no però diciamo che si vocifera delle Feste Antonacci. Poi in realtà siamo stati contattati da un altro gruppo portoghese anche un po’ più famoso però avevamo già fatto questo pezzo. 
- Parliamo ancora del vostro nome. Ho letto che avete deciso di chiamarvi così per via dei video di Biagio Antonacci che sono pieni di queste tipe superfighe vestite di bianco che bevono champagne. Io in realtà avevo di Antonacci un’immagine meno “rap anni 90”, forse perché non l’ho mai ascoltato tanto.
GIACOMO E’ colpa dei video musicali. E poi guarda che ci sono dei pezzacci. Dal punto di vista melodico noi che siamo entrambi appassionati di belle melodie, la melodia napoletana a entrambi ci parla e Biagio Antonacci comunque resta in quella linea di melodisti italiani. Quando le ascolti nel presente dici “quanto le odio queste canzoni” e poi invece se ti distacchi un po’ dal personaggio certe canzoni sono scritte bene e se sei disperato, innamorato ti parlano. 
LEONARDO Sì c’è questo legame ma diciamo che quando ci siamo conosciuti volevamo fare dei pezzi per altri artisti e allora in quest’ottica certe scelte più ambiziose armonicamente o più taglienti risultavano non buone nell’ottica di una produzione pop mainstream che era l’idea nostra. Per cui dicevamo questa cosa qui passa in un video come quello di “Convivendo”? Se la risposta era no veniva fatta un’altra scelta.
GIACOMO Comunque con un po’ di supponenza abbiamo detto facciamo una cosa meno figa. 
LEONARDO Sì diciamo delle scelte che levano universalità a un pezzo.
GIACOMO Che poi è stato un grande progresso per entrambi. C’era all’inizio più voglia di impressionare gli altri musicisti o noi stessi e invece con Le Feste Antonacci ci siamo un po’ liberati di questa cosa e abbiamo imparato ad avere meno paura di fare delle scelte semplici se la scelta semplice è quella giusta. 
LEONARDO E se la scelta è difficile lo è con senso rispetto al pezzo. Comunque tra parentesi questa cosa della canzone per altri è durata il tempo di un pezzo bruttissimo, tanto che eravamo quasi per dirci “ma senti molliamo il colpo”. Poi è venuta fuori “Diverso” che è il nostro primo pezzo e da lì è nata l’idea delle Feste Antonacci con questa vibe un po’ circense, un po’ da balera, da gruppo “Moira Orfei orchestra”. 
- In questo momento in cui prevale la musica in streaming con milioni di brani riversati quotidianamente quanto è importante il nome?
GIACOMO Festa è evocativo di un sacco di immagini e Antonacci che è un nome cathcy, ci siamo detti un po’ come Cristicchi fece “Vorrei cantare come Biagio Antonacci”. Usare un nome così potente in Italia come quello di Biagio è evocativo. All’estero in realtà nessuno riesce a ricordarsi il nostro nome, in Francia particolarmente e poi comunque è vero che in un mondo di mille progetti che escono il nome, soprattutto per farti scoprire per farti scoprire è già la metà del progetto. Se sbagli il nome hai già sbagliato.
- Il disco lo avete registrato a Parigi, giusto? 
GIACOMO Lo abbiamo registrato per metà in una vecchia cantina, mezzo nel salotto della mia ex e poi in un appartamento sfigatissimo. Poi si lavora a casa mia da sempre perché sono quello più accumulatore di materiale e con meno responsabilità. E poi abbiamo registrato i piatti di “Ora è meglio di prima”, un organo in studio. Lo studio è una cosa fantastica, è uno studio degli anni 70 che si chiama CBE qui a Parigi dove sono nate un sacco di hit tra cui i pezzi di Claude Francois che è uno po’ la Raffaella Carrà uomo francese. 


La maionese sonora che offrono i Le Feste Antonacci agli ascoltatori è senz’altro di buona qualità. La musica del duo composto da Giacomo e Leonardo, con questo primo album ha le carte in regola per arrivare “in tavola” non solo nei ristoranti esclusivi ma anche su tavole più popolari. 


Recensione e intervista a cura di Luca Stra







 

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