sabato 29 marzo 2025

GLI HELEN BURNS SANNO BALLARE SOTTO LA PIOGGIA - RECENSIONE A CURA DI LUCA STRA #DIAMANTINASCOSTI


Se si fosse costretti a scegliere una sola parola per definire i catanesi Helen Burns, quella parola sarebbe pioggia. Pioggia caleiodoscopio delle emozioni più disparate, che la band - formata da Domenico alla voce, Sebastiano alla chitarra, Edoardo al basso e Salvo alla batteria – suscita nell’ascoltatore, dalla gioia per la fine di una lunga siccità al lato cupo dell’io che emerge ogni volta che il cielo si riempie di gonfie nuvole nere. Di questa materia sono fatte le canzoni degli Helen Burns, band catanese con il post punk e certo rock di matrice inglese nel sangue. Il loro esordio discografico, “The Rain Caller”, pubblicato a fine 2024, è un album saturo di colori nascosti dalla pioggia. Le sonorità non si riallacciano di certo alla musica italiana e i brani procedono piuttosto per suggestioni, flash musicali che arrivano, nella conclusiva “Raincaller”, ad abbracciare persino gli Underworld di Born Slippy. Il cantato dell’apertura “Always ends well” riporta alla mente i Joy Division, band seminale che emerge come tratto distintivo di tutto l’album. 


Ma non mancano influenze stoner e alternative anche da Oltreoceano. Ciò che rende speciale una band così aliena rispetto al panorama nazionale è il senso di famiglia che si respira tra i membri del gruppo. L’album è infatti stato composto in un casolare del catanese, in un ambiente ideale nel suo isolamento per partorire The Rain Caller. Tra i pezzi dell’album che più colpiscono al primo impatto si colloca sicuramente “Combat girl”, con il cantato ipnotico e rabbioso di Domenico. Altro pezzo forte è “Mina” con quegli effetti di chitarra che creano come dei loop mentali nell’ascoltatore. Complessivamente quel che più colpisce di questo primo lavoro è la sicurezza nei propri mezzi che la band mostra. Attendiamo un seguito, convinti che, con una partenza così, non si possa che crescere.


Recensione a cura di Luca Stra 



 

lunedì 24 marzo 2025

LEI CANNIBALE, OVVERO GUARIRE IN PUBBLICO CON LA MUSICOTERAPIA - #DIAMANTINASCOSTI A CURA DI LUCA STRA


Per una cantautrice come Giorgia Giampaoli, 31 anni, in arte LeiCannibale, marchigiana di Montecosaro, la musica è liberazione, ovvero quel magico mezzo tramite cui diventa possibile esprimere le proprie emozioni in modo comprensibile, quasi visibile al mondo, permettendo, allo stesso tempo, a chi la crea di scrollarsi di dosso scorie, come ad esempio legami divenuti tossici e, al tempo stesso, sentirsi rinascere dentro il calore buono che illumina una rinnovata fiducia nel futuro. 
Ed è questo percorso di smarrimento e rinascita che emerge dai due singoli finora pubblicati dalla cantautrice nel 2024, ovvero “Ian Curtis” e “Cardigan Taiwan”. In realtà tali pezzi costituiscono solo una minima parte dei brani che Giorgia ha scritto per anni innanzitutto per se stessa, concependoli come estremamente intimi e, quindi, senza alcun desiderio di renderli pubblici. Ad incoraggiarla ad uscire allo scoperto raccontandosi alla gente è stato il conterraneo Gaetano Marinelli, attivo con il proprio progetto Dezebra e molto prolifico anche come autore. Marinelli ha aiutato LeiCannibale a superare un momento di scoramento creativo mettendosi a disposizione come coautore ed aiutandola a muovere i suoi primi passi nell’intricato mondo discografico attuale.



Passando ad un’analisi più approfondita dei due pezzi pubblicati, “Ian Curtis”, come ci ha spiegato la cantautrice stessa in un’intervista concessa a Riserva Indie, fotografa l’attimo in cui matura la convinzione che la propria relazione malata con il partner è diventata una prigione da cui si può evadere solo emulando uno dei propri idoli, Ian Curtis dei Joy Division. Quell’attrazione per la follia del gesto estremo che molti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. Tra i versi più taglienti del pezzo restano impressi, fin dai primi ascolti: “C'è lo stesso rumore di quando quel giorno, hai perso le staffe, io volevo morire” e l’emblematico refrain “Non avrò bisogno di amarti se sarò Ian Curtis”. Dal punto di vista musicale emergono riferimenti perlopiù identificabili nel rock britannico dei The Cure, dei citati Joy Division e nell’alt pop. In realtà, tuttavia, etichettare il sound di LeiCannibale è una scelta totalmente soggettiva e parziale perché la cantautrice ha già una personalità ben definita quanto eclettica, che abbatte ogni barriera musicale per trovare una strada tutta sua. 
Il secondo e, al momento, ultimo singolo di LeiCannibale, “Cardigan Taiwan”, all’opposto del primo ha il proprio perno in una melodia più vicina al britpop e regala, musicalmente, un lato più quieto dell’artista marchigiana mettendo anche in risalto le sue doti vocali su una base pop decisamente più tradizionale. Tale lato solare ha però come contrappeso un testo pieno di spunti di vita, una vita che rifiuta ogni compromesso di comodo per essere vissuta davvero.  “Vorrei che il mondo sparisse” esprime bene l’infischiarsene di Giorgia Giampaoli delle convenzioni e costrizioni.
L’artista marchigiana che, dal punto di vista discografico, fa ora parte della Net Label Mitridate Records, ed ha un accordo di distribuzione con Virgin Universal, ci ha confidato di essere al lavoro su nuovi singoli e, a medio termine, su un vero e proprio album. La aspettiamo nell’attesa di scoprire molte altre sfaccettature che compongono una parte della personalità di Giorgia/LeiCannibale.


Recensione a cura di Luca Stra







 

venerdì 14 marzo 2025

#GLORYBOX - "LINEA GIALLA" DEGLI UNADASOLA - RECENSIONE A CURA DI IRIS CONTROLUCE


Cos’è la linea gialla? Per ognuno di noi può rappresentare qualcosa di diverso: per qualcuno si tratta di una delle linee della metropolitana meneghina, per altri è la delimitazione di una zona di sicurezza con accesso riservato, per chi ha un’anima integra e granitica addirittura può quasi non esistere del tutto… ma naturalmente non ci riferiamo a nessuna di queste persone. Cominciamo innanzitutto col dire che per il duo “Unadasola”, “Lineagialla” è il titolo dell’album d’esordio, disponibile su tutte le piattaforme digitali a partire dal 17 gennaio 2025, distribuzione “La Crème Records”. Bisognerà soffermarsi sul motivo che li ha portati a propendere proprio per questo titolo e interrogarsi sul significato simbolico del termine che è stato scelto, ovvero una sorta di linea di demarcazione tra quello che si conosce e l’ignoto, una barriera immaginaria in grado di avere un effetto rilevante sull’esistenza di tutti noi, separando ciò che eravamo prima di attraversarla e ciò che diventeremo successivamente. Quello che traspare sin dal primo ascolto del lavoro degli Unadasola, ovvero Arianna Lorenzi e Francesco Marchetti, è sicuramente la naturalezza con la quale vengono affrontati temi molto dolorosi e toccanti (come la perdita di una persona cara) o delicati e disarmanti (come le motivazioni che spingono a compiere l’ultima scelta possibile), intimi e complessi (come il disturbo del linguaggio, con conseguente isolamento e difficoltà di comunicazione). Se da una parte è ovviamente molto complicato capire fino in fondo cosa si prova nelle situazioni appena descritte, dall’altra quello che riesce a coinvolgere chi ascolta è proprio la spontaneità con la quale il duo toscano si abbandona al racconto di sé: le canzoni finiscono per diventare delle vere e proprie istantanee che invitano ad uno sguardo che parte necessariamente dall’interno. La scrittura viene vissuta come una sorta di catarsi attraverso la quale liberarsi dall’angoscia e dall’inquietudine, trasformando via via la disperazione in comprensione, per riuscire ad accettare situazioni che sono al di fuori del nostro controllo. Insieme alle melodie, orecchiabili e ricercate, i testi sono parte integrante della bellezza e della profondità dell’album: “Lei continua a stare ferma dietro quella linea, la linea di un confine che vorrebbe oltrepassare. Guarda il confine è stato varcato. E’ riuscita a volare lontano e la rincontreremo solo oltre il prossimo confine.” (Confine) “È la mancanza che diventa una stanza vuota nella mia testa, dove vado a cercarti, mi adatterò alle città sommerse, anche quando sono spente e abbandonate. Tutto ciò che mi rimane è dentro conchiglie nascoste”. (Città sommerse).



I brani più struggenti dell’intero disco si intitolano “A” in cui si affronta il tema della difficoltà del linguaggio (“Scrivevo sui quaderni quello che non riuscivo a dire, lungo corridoi coi pavimenti lucidi ad aspettare di guarire da problemi troppo stupidi come parlare, le frasi nella testa erano un po’rotte ancora prima di essere dette. E con sicurezza pronuncia il mio nome, senza paura di sentirsi dire: scusa potresti ripetere”) e “Mamma” dove la perdita viene affrontata con il coraggio di chi ha scelto di non sfuggire al dolore, bensì di viverlo, comprenderlo e attraversarlo, nel tentativo di riuscire ad accoglierlo. Nel testo, scorgiamo rimandi alla malinconia di “Lontano lontano “ di Luigi Tenco : “Vivo questa bugia per non trovare i tuoi occhi nelle persone che amerò. Ti cercherò fra tutte quelle vite che non hai vissuto e quando ti ritroverò, mi potrai salvare”. A ricamare sulla poesia delle liriche, lo splendido lavoro della produzione artistica curata da Andrea Pachetti ed Emma Nolde. Le scelte di arrangiamento fanno da perfetta cornice alle atmosfere eteree e rarefatte, anche per mezzo di virate di pop elettronico contemporaneo che si alternano a straordinari inserti di violoncello e chitarre acustiche. Le radici musicali del duo, impreziosite dai piacevoli intrecci delle linee di voce dei due cantanti, trovano una dimora ideale nel buon cantautorato moderno (come per esempio Amor Fou, Tiromancino, Scisma, Gazzè). Consigliamo di soffermarsi ad ascoltare il disco degli Unadasola con la dedizione e l’attenzione che merita una promettente proposta musicale come la loro, lasciandosi trasportare dalla profondità di racconti fortemente personali, sentiti e poetici.


Recensione a cura di Iris Controluce




 

martedì 11 marzo 2025

I CORVIDA VOGLIONO TROVARE LA LORO PERSONALE "SCALA PER IL PARADISO" - RECENSIONE DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI

 


Essere giovani ha sicuramente un vantaggio, ossia che “il futuro non è ancora scritto”, come cantava Joe Strummer. E i tre membri dei Corvida, Claudio cantante e chitarrista, Frank, batterista e Francesco Checco, bassista sono trentenni, assolutamente non newcomers del panorama rock nostrano, ma, comunque giovanissimi uomini secondo i parametri attuali. Il loro ultimo lavoro, “Up” è uscito a dicembre 2024 ed è cantato interamente in inglese. Assaggiando i pezzi che lo compongono emergono inequivocabili sapori grunge e stoner, come hanno confermato loro stessi in un’intervista che ci hanno concesso. Lo scrivere i brani in inglese ha il vantaggio di permettere di rispettare meglio la metrica e quindi di avere buoni risultati in meno tempo, oltre che di poter esprimere più concetti. Il feeling tra i membri del gruppo è notevole ed emerge dall’impasto sonoro di “Up”. Tra i pezzi che più spiccano si pongono sicuramente “Dancing Root” e “Cloudy song”. In questi, come negli altri brani dell’album, emerge come elemento trainante del gruppo Claudio che dà un’impronta al sound molto precisa. “Cloudy song”, tra l’altro, oltre ad essere una canzone nuvolosa è una di quelle in cui Claudio si rispecchia maggiormente, come atmosfere e per l’assonanza con il proprio nome. Gli eroi sono i Soundgarden – gruppo ritratto sulla maglietta del frontman il giorno dell’intervista – oltre ai Blink 182 e un po’ tutta quell’ondata che è arrivata in tutto il mondo da Seattle e dintorni nei ruggenti anni 90, forse l’ultima vita mainstream del genere. 


Trent’anni dopo la musica è cambiata e, con lei, gli investimenti importanti dei trust della discografia rimasti in campo. Con tenacia e determinazione i Corvida hanno affilato le loro armi e si sono fatti notare live scegliendo di fare un numero limitato di date, ma ognuna particolarmente significativa. A tale riguardo il 16 marzo suonano come gruppo spalla dei francesi TH DA FREAK allo storico Blah Blah di via Po. Ascoltando sia “Up” che il precedente EP “Turn” – che formano un tutt’uno per l’evidente continuità musicale del progetto – si coglie da un lato l’assimilazione dei modelli stranieri, che la versione Corvida degli stessi, ovvero non una semplice rimasticatura ma il tentativo di creare una propria personale Stairway to heaven, la porta d’accesso a tutto quello che la band sta sognando.


Testo di Luca Stra







sabato 1 marzo 2025

PERTURBAZIONE - LA RIVOLUZIONE GENTILE DEL ROCK ITALIANO - TESTO A CURA DI LUCA STRA #DIAMANTINASCOSTI


E sono già 55 gli anni de “La Buona Novella” di Fabrizio De André, un traguardo senz’altro importante, ma, a dire il vero, non meramente celebrativo, trattandosi di un disco che, ancora oggi, suona all’avanguardia e sovversivo, osando raccontare Gesù attraverso i Vangeli Apocrifi. Questa è una storia ben nota ai Perturbazione, che, colta al volo l’occasione, ne hanno registrato una loro versione dal vivo a Varallo Sesia nel 2010. La band, che attualmente trova il proprio baricentro artistico e creativo in Tommaso Cerasuolo alla voce, nei fratelli Rossano, batteria, Cristiano Lo Mele, chitarre e tastiere e nel basso di Alex Baracco, ha dato una veste nuova al capolavoro del cantautore genovese conservandone intatto lo spirito ma, allo stesso tempo, arricchendone la brillantezza con alcune collaborazioni di peso, come Alessandro Raina – prima nei Giardini di Mirò, poi negli Amour Fou e ora autore per alcuni interpreti di primo piano come Malika Ayane- il fisarmonicista Dario Mimmo e l'attrice Paola Roman. Abbiamo avuto l’occasione di conversare con Tommaso Cerasuolo e, quindi, di approfondire, oltre alla versione perturbata de “La Buona Novella”, anche l’intera carriera della band rivolese. Tommaso ci ha infatti spiegato che la scintilla che ha dato vita a “La Buona Novella (Live)”, pubblicato a marzo 2024, è stata la collaborazione con la Scuola di scrittura Holden di Alessandro Baricco. Dal lavoro preparatorio in vista del concerto di Varallo nacque poi l’idea di inserire interventi di altri artisti quali appunto Alessandro Raina, Dario Mimmo e Paola Roman. A livello sonoro colpisce come la versatilità della voce di Tommaso gli consenta di cantare in un registro più basso rispetto alla sua “confort zone”. Inoltre i molti strati ed intarsi musicali dell’opera originale di De André sono stati esaltati nel pieno rispetto dell’originale. Ma la lunga carriera dei Perturbazione merita un discorso molto più vasto che cerchi, almeno in piccola parte, di dipanare quel lungo filo, prima sottile come un capello, poi via via più solido che ha portato il gruppo da una cittadina della cintura di Torino al palco di Sanremo e allo status di stelle di prima grandezza nel panorama della musica italiana. E allora partiamo dall’inizio, come in ogni libro. Dopo dieci anni di prove, sudore, frustrazione e piccoli spunti su cui costruire, felici di aver trovato una piccola vena d’oro nel 1998 i Perturbazione autoproducono la loro opera prima, cantata interamente in inglese. Il pezzo da cui partì quell’avventura chiamata “Waiting to happen” fu “Violet”, composta nel 1992. Ascoltandola oggi colpisce come già fosse presente e a fuoco la complessa semplicità nella costruzione delle canzoni. L’iniziale “See the sky above” risente, come ci ha confermato lo stesso Tommaso, dei ripetuti ascolti dei R.E.M. In effetti la voce di Tommaso Cerasuolo suona molto simile a quella del frontman della band di Athens, sia nella scrittura che nel timbro. Quattro anni più tardi, con la consapevolezza di avere gambe più solide su cui camminare ecco che esce “In circolo”, con Santeria /Audioglobe. E’ l’epoca storica in cui il cantato indie rock in italiano aveva già trovato sponda, per citare due band di grande successo, nei Marlene Kuntz e negli Afterhours e quindi, grazie anche ai Perturbazione, l’esigenza del pubblico di capire i testi accompagnati al rock in voga stava finalmente trovando una risposta. Il brano d’apertura “La rosa dei 20” è una tenera canzone d’amore, non banale, non troppo strafottente, bensì gentile. Quella gentilezza rock che diventerà la cifra stilistica della formazione torinese. A trainare l’album è però “Il senso della vite”, veloce, giovane e sbarazzina. Trovare il verso giusto non sarà tutto nella vita, ma aiuta di sicuro.


“In circolo” permette anche ai Perturbazione di collaborare con altri artisti di pari livello, come gli Zen Circus per il pezzo “Sweet me”, contenuto in “Doctor Seduction” della band pisana. La carriera in ascesa dei Perturbazione trova ulteriore slancio con il passaggio nella scuderia Mescal, etichetta di band come Afterhours, Subsonica e Bluvertigo. E nel 2005 ecco l’album della definitiva consacrazione “Canzoni allo specchio”, prodotto dal compianto Paolo Benvegnù e contenente collaborazioni con Jukka dei Giardini di Mirò e la coppia artistica Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dei Baustelle. Tra i pezzi più notevoli spicca “Animalia”, con il suo messaggio sferzante quanto vero. Gli animali sono migliori degli esseri umani perché privi del desiderio di autodistruzione. “Se mi scrivi” è invece un brano sui primi amori dell’adolescenza, quei primi amori che restano conficcati nel cuore per la vita. Due anni dopo esce “Pianissimo fortissimo” con la EMI. L’incipit “Un anno in più” oscilla tra la batteria di Rossano Lo Mele in primo piano e la chitarra a disegnare trame sognanti che richiamano alla mente i Belle and Sebastian epoca “The boy with the arab strap”, ma a tratti – le chitarre dei primi 30 secondi di “Nel mio scrigno” – anche il grunge di certi Pearl Jam. A livello compositivo, i testi mantengono la loro autenticità fatta di piccole cose di buon gusto, ossia nessuna metafora ardita studiata a tavolino per stupire, ma piccoli squarci di personali realtà. Con “Del nostro tempo rubato” del 2010 il gruppo cambia pelle indossando un suono pesantemente più rock, come esprime emblematicamente “L’Italia ritagliata”. 


Un album coraggioso, sin dal proporsi come doppio in un mondo in cui l’ultimo lavoro così monumentale a rimanere impresso come capolavoro è, forse, “Mellon Collie and the infinite sadness” degli Smashing Pumpkins, uscito 15 anni prima. I testi restano ottimi, ma la mossa alla lunga un po’ stanca. Se in una produzione complessivamente di alto livello si dovesse trovare un punto debole, questo sarebbe proprio “Del nostro tempo rubato”. Preceduto da collaborazioni particolari come quella con il rapper cantautore Dargen D’Amico, nel 2013 esce Musica X, il gran balzo in avanti. Il disco, prodotto da Max Casacci, vede collaborazioni eclettiche chespaziano da I Cani a Luca Carboni. E diventa il biglietto d’ingresso all’Hotel Ariston di Sanremo per il Festival 2014. Sul palco la band porta in gara “L’unica”, forse la canzone più ruffiana del loro intero repertorio. Molto meglio “L’Italia vista dal bar” accompagnata dal bel video che, nella tradizione del gruppo, racconta una storia di gente comune nella speranza che non sia vero il verso pessimistico “non c’è Governo che tenga, una possibilità che qualche cosa potrà cambiare”. Nella classifica finale i Perturbazione si piazzano sesti, davanti a colleghi come Giusi Ferreri, Cristiano De Andrè, Antonella Ruggero e Ron. Il premio della Sala Stampa va a loro. Il 2014 è un anno di rivoluzioni nella band, infatti, a fine anno, il chitarrista Gigi Giancursi e la violoncellista Elena Diana abbandonano. Due anni più tardi esce l’ottavo album di studio “Le storie che ci raccontiamo”. Un altro album in tono minore, che non aggiunge o toglie nulla di particolarmente significativo nella loro discografia. “Da qualche parte nel mondo” vede il congedo in musica di Elena Diana che torna ad impreziosire il sound con il suo violoncello per un’ultima volta, perché insieme si sta meglio che da soli. Ad oggi l’ultimo atto è rappresentato da “(Dis)amore”, un ritorno a sonorità più familiari e a quella gentilezza pop rock che li ha contraddistinti fin dalla fondazione. Non si sa ancora nulla di eventuali nuove uscite discografiche, anche se, nella nostra chiacchierata torinese, Tommaso Cerasuolo ha fatto cenno in modo molto convinto alla necessità di nuovi stimoli per ridare smalto alla creatività. E lo stimolo principale per lui è viaggiare, vedere altre parti di mondo, usare le proprie risorse economiche investendole in esplorazioni e potenziali canzoni. Noi non possiamo che sperare in un loro ritorno, nel mentre diamo orecchio ai mille suoni che arrivano da questo tempo dissonante, cacofonico, in attesa di quella pulizia, armonia e leggerezza densa di significato che la band rivolese ha rappresentato.



martedì 18 febbraio 2025

#DIAMANTINASCOSTI - DEZEBRA - LA RESURREZIONE DEL ROCK E' UNO PSYCHODRAMA COLLETTIVO - RECENSIONE A CURA DI LUCA STRA

 


Il giorno esatto di San Valentino Gaetano Marinelli – ex Zuth e attualmente mastermind di Dezebra, si è e ci ha fatto un gran regalo. Infatti è uscito il nuovissimo singolo dei Dezebra intitolato “Psychodrama”, che mantiene ciò che promette, sia a livello sonoro che di testo. “Psychodrama”, infatti, segna il ritorno di Marinelli a sonorità più vicine a quelle degli Zuth, pur conservando il gusto melodico maturo dei precedenti “Ventilatori”, “Tropical Twist” e, soprattutto “Playmate”, singolo in cui compare Lilinanna, altra talentuosa artista aliena di cui abbiamo già raccontato nella “puntata” precedente. Ma questa volta, le novità dal punto di vista della label e del contratto di distribuzione dell’opera è duplice: Dezebra è entrato a far parte della famiglia Mitridate Records e la distribuzione è ora Virgin Universal. Questo stato dell’arte consente a Gaetano Marinelli, da un lato, di poter tenere ben saldo nelle mani il “timone” della libertà espressiva e, dall’altro, di poter puntare su un colosso della discografia mondiale. Una situazione che prefigura una narrazione ancora tutta da scrivere, ma con un possibile happy end per ciò che concerne la popolarità. Tornando a mettere a fuoco “Psychodrama” colpisce nel segno, fin dal primo ascolto, l’amalgama sonoro e del testo e della musica. A livello di testo, infatti, il pezzo è una feroce ma onesta critica al mondo di oggi, quello in cui, nostro malgrado, siamo costretti tutti a vivere. Quel che rappresenta il maggior pericolo è che la Generazione X, ossia i più giovani che sono già oltre i nativi digitali, nascono con il cellulare in mano e non se ne staccano mai, nemmeno per soccorrere chi sta loro attorno. Al massimo documentano i fatti fotografandoli. Tra i versi che colpiscono per primi per forza l’ascoltatore c’è “Uccideranno i nostri figli in Palestina” e poi, ancora “L’attore porno ride e fa la star in televisione”, un chiaro riferimento allo sdoganamento culturale dei vari Rocco Siffredi o Malena la Pugliese. Il mondo di oggi, purtroppo dà ragione a quel “No future” cantato nel 1977 dai Sex Pistols, circostanza al tempo stesso sia spaventosa che consolatoria, poiché il mondo sembra non cambiare mai, vizi e pregi degli umani restano quelli di sempre, il peggioramento è dovuto principalmente alla lunga ed estenuante pandemia dei primi anni 2020. Marinelli/Dezebra, comunque, è sempre stato un artista talentuoso ed apprezzato, come dimostrano le molte produzioni di successo per altri artisti. A livello di influenze musicali si sentono i molti ascolti dei Baustelle e anche di artisti francesi come Jane Birkin - Serge Gainsbourg e dei Delta V, soprattutto per l’uso del Synth. E in questo possiamo dire che Dezebra porta le nuove generazioni a scoprire e amare modelli alti. Insomma, date credito a Gaetano Marinelli forse ci aiuterà ad aprire gli occhi sul nostro “Psychodrama” collettivo tramite l’ultimo sottile filo che ci tiene legati alle emozioni. La Musica.



VOTO: 8 E MEZZO.
CONSIGLIATO A CHI ASCOLTA: METAL, HARD ROCK, LITFIBA, BAUSTELLE, MUSICA FRANCESE.