domenica 13 aprile 2025

ALEX ALESSANDRONI JR - VIVERE AL CENTRO DELLA MUSICA - INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI

 


Raramente accade che i figli dei musicisti di talento rivelino doti simili a quelle dei genitori, ma talvolta si verifica l’eccezione che conferma la regola. E’ il caso di Alessandro Alessandroni Jr, figlio di quell’Alessandro Alessandroni compositore, direttore d’orchestra, arrangiatore e polistrumentista che ha collaborato con artisti del calibro di Ennio Morricone e Nino Rota, contribuendo a dar vita a colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema. Il suo famoso fischio, altra capacità notevole scoperta quasi per caso, caratterizza le colonne sonore della Trilogia del Dollaro di Sergio Leone e di molti altri spaghetti western. 
Abbiamo avuto la rara occasione di intervistare Alex Alessandroni Jr, che ci ha raccontato la sua storia e il suo ruolo nel panorama musicale odierno. 
- Alessandro, sei nato in una famiglia di musicisti, tuo padre era un compositore, direttore d’orchestra, arrangiatore e polistrumentista, mentre tua mamma era una cantante. Che differenza pensi abbia fatto nascere in un contesto simile?
- E’ stata una grande fortuna per me, ma l’influenza è rilevante solo se c’è un talento. Io ho avuto questa fortuna e sono cresciuto negli Studi di Roma della RAI in piazza Mazzini, della RCA sulla Tiburtina, quando Roma era il centro della musica in Italia. E mi trovavo lì mentre mio padre lavorava con Morricone, Nino Rota, Trovajoli e molti altri grandi della musica. Io naturalmente all’epoca non lo sapevo e giocavo con i soldatini sulle poltrone dei vari studi, ma nel frattempo assorbivo. Per me è stata un’esposizione fondamentale perché sono stato a contatto con queste melodie in età molto giovane. Poi a 8 anni mio padre ha deciso che era ora che iniziassi a prendere lezioni di pianoforte. E da lì è iniziato il mio percorso di musicista.


- Tra i vari artisti che hai ascoltato da ragazzo c’è qualcuno che ricordi che abbia fatto scoccare in te la scintilla della passione per la musica?
- Penso che sia stata la musica di mio padre. Aveva sempre una chitarra in mano, non c’era giorno in cui non suonasse, non componesse. E poi ho iniziato a studiare la musica classica quando ero molto giovane. Mi sono innamorato di Bach, di Scarlatti, di Bartòk, dei compositori russi. Arrivato a 14 anni ho scoperto gli artisti rock che sono ancora oggi i miei preferiti, cioè Jimi Hendrix e i Led Zeppelin. Un amico di mio padre gli portava quei dischi e quando io ero solo me li ascoltavo. Poi un giorno, sempre attorno ai 14 anni, ero a Soriano nel Cimino, dove mio padre è nato e ho visto un jukebox, uno di quelli di una volta che avevano la possibilità di selezionare un brano a scelta tra due e quindi ti potevi sbagliare. Io volevo mettere un pezzo di Lucio Battisti o Luigi Tenco, non ricordo e invece misi un pezzo di James Brown che si intitolava Cold Sweat e mi portò via, mi prese in un modo che mi dissi “ma che è questo?”. Da lì è scoppiato il mio amore per l’r&b, per il funk e poi ho scoperto gli Earth, Wind & Fire, Herbie Hanckock che adesso è un amico. E a 23 anni ho ottenuto una borsa di studio al Berklee College of Music.
- E così con quella sei partito e sei andato negli Stati Uniti. 
- Sono arrivato a New York il 12 gennaio del 1982. Atterrato all’aeroporto JFK ho trovato una persona che parlava italiano che mi ha spiegato come arrivare all’aeroporto La Guardia, che è più piccolo. Lì ho preso un volo per Boston e sono arrivato alle 2 di mattina. Faceva un freddo incredibile, 16 gradi sotto zero. C’era un metro e mezzo di neve dappertutto. Io parlavo inglese malissimo. E mi sono trovato in una grande avventura. Sono stato a Boston per 6 anni, ho finito la scuola, purtroppo ho perso mia mamma e sono tornato in Italia ogni anno circa. Poi è successa una cosa particolare, non so se si possa attribuire alla fortuna. Mio padre mi chiamò e mi disse “Alex non ti vedo da un anno, ma io non riesco a venire a Boston. Vado a Los Angeles con il mio editore per incontrare degli editori locali, californiani e portare la mia musica. Se vuoi puoi venire anche tu. Io all’epoca, parliamo del 1988, ero ben sistemato, avevo dei locali in cui suonavo regolarmente, davo lezioni ed ero direttore musicale su una nave che faceva le crociere attorno a Boston. Mi sono preso tre o quattro giorni di libertà e sono partito per raggiungere mio padre. E intanto ho chiamato un mio amico di origine ucraina che poi avrebbe suonato con gli Earth, Wind & Fire e con Chaka Khan. Lui aveva frequentato la Berklee con me e mi dice “ti vengo a prendere” e poi mi spiega “c’è un mio amico batterista che si chiama Zoro, bravissimo, che avrebbe poi suonato con Lenny Kravitz e molti altri. Il mio amico mi spiega che c’era questo ragazzo che si chiamava Bobby Brown – io non sapevo assolutamente chi fosse – che cercava un tastierista. Io avevo il giorno libero e ho fatto l’audizione a casa dell’editore musicale di Lionel Rithcie, un grandissimo all’epoca. Bobby Brown si presenta, aveva 18 anni all’epoca e ha fatto un pattern di batteria dicendomi di suonarci sopra. Dopo 7-8 battute si ferma, se ne va e dopo 3 minuti arriva il suo direttore musicale e mi ha detto in inglese “sei stato assunto”. E ho suonato con Bobby Brown per anni. Tornai da mio padre e gli dissi: “Papà ho la possibilità di insegnare al Berklee e potrei stare a Boston. Potrei accettare questo lavoro oppure venire in California e cominciare a fare tournee”. E lì mio padre mi diede il suo più grande consiglio: “Alex hai 29 anni e quello che potresti insegnare ora è quello che hai appreso da me, dai grandi classici e dal Berklee. Ed è tutto quello che potresti insegnare. Ma se tu insegnerai tra 30 anni, ai tuoi studenti insegnerai la vita. Che grande messaggio. Avere un padre così mi ha evitato molti errori che avrei commesso. Così sono tornato a Boston, ho preso un Van, caricato le mie cose e mi sono spostato in California. E sono arrivato il 6 giugno. Non me lo scorderò mai. Da allora ho lavorato un po’ con tutti, da Babyface a Whitney Houston, Christina Aguilera, Pink, Nelly Furtado, Leann Rimes, Faith Evans, Toni Braxton, Natalie Cole, Warren Cuccurullo, Don Felder degli Eagles, Paul Stanley. Intanto non ho più seguito molto la musica italiana fino a quando, nel 2007, mi arriva una telefonata da un mio amico che mi dice che un artista italiano aveva bisogno di un pianista per vari pezzi. Io vado lì mi presento e l’artista era Jovanotti. Addirittura in un brano che si intitola “A te” e aveva un arrangiamento di chitarra è stato cambiato l’arrangiamento perché potessi accompagnare al piano. L’album si intitola “Safari”. Dopo quello ho lavorato in altri 4 o 5 dischi di Lorenzo attraverso il produttore Michele Canova, che poi è venuto negli Stati Uniti e si è fermato un po’ fino a quando è tornato in Italia nel 2022. E, mentre facevo i tour con Natalie Cole, Paul Stanley e altri ho cominciato a lavorare anche con tanti artisti italiani, da Giorgia a Luca Carboni, Fedez.
- Per te scrivere per altri cosa significa? E’ immedesimarsi in chi la interpreterà?
- Certamente. La cosa più importante è sempre capire chi è l’artista e quale messaggio vuole condividere. Altrimenti si suonano note che non hanno un senso. 
- Tra gli artisti con cui hai lavorato ce n’è qualcuno che ti ha dato qualcosa in più umanamente?
- A modo loro tutti gli artisti.  Ma ricordo con grande piacere il primo concerto con Bobby Brown a Boston. Quando si spensero le luci mentre salivamo sul palco ci fu un urlo come se Totti avesse fatto un gol all’Olimpico. Comunque forse l’artista che mi ha donato di più è stata Natalie Cole, per cui non ero solo il tastierista ma aiutavo con gli arrangiamenti, facevo i background vocals, il direttore d’orchestra. Insomma lei mi ha esposto molto di più, ha creduto in me.
- Parlando della tua musica ho notato come nel 2023 tu abbia avuto un’esplosione di creatività facendo più di un album.
- Sì è vero. Comunque tra gli album che ho pubblicato il mio orgoglio è “Melodies of life” che raccoglie pezzi scritti negli ultimi 20 anni ed è il mio cuore, quello cui tengo di più. Invece l’album “Family man” è dedicato alla mia famiglia, al mio amore per loro. Infine “Dark Universe” è nato quasi di getto dalla mia collaborazione con il chitarrista Marco Iacobini.
- Parlaci un po’ di più della tua collaborazione con Marco Iacobini. 
- Marco è un amico oltre che ottimo musicista e fa molto bene progressive rock. Insieme abbiamo scritto “Dark Universe” che è ispirato alla serie “Alien”, perché Ridley Scott è il nostro regista preferito. Purtroppo poi sono seguiti altri film perché Hollywood cerca sempre di speculare su un’idea che ha avuto successo. Le solite formule che stanno rovinando il mondo. 
- A proposito di musica originale in questi tempi così aridi siamo arrivati ad un punto in cui l’AI è in grado di scrivere canzoni. Quale è, secondo te, la qualità umana creativa che l’intelligenza artificiale non potrà mai sostituire?
- Ho letto molti libri sull’AI e ritengo che componga solo sulla base della mole di informazioni che ha ricevuto. Per scrivere vera musica l’AI dovrebbe sviluppare una propria coscienza, ma per fortuna non esiste ancora una coscienza artificiale. Quello di cui dovremmo preoccuparci di più è il fatto che stiamo aderendo troppo alle formule, facciamo solo più quello che fa vendere. Sono solo soldi, non è più arte. Dobbiamo avere il coraggio di rimanere originali. Dipende da noi divulgare la verità, ormai con i social media siamo bombardati e in stato di confusione assoluto. Dobbiamo onorare la nostra originalità. E’ per questo che ho pubblicato un album come “Melodies of life”. Devi trovare te stesso, il tuo messaggio. 





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