giovedì 19 maggio 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 16: COME LA PERSONA PIÙ NORMALE DEL MONDO - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco "Come la persona più normale del mondo", capitolo 16 di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato a capitoli con licenza Creative Commons in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni giovedì dal 4 Febbraio con cadenza settimanale. Guy e Vicni arrivano al Pino Wine Bar di Desenzano del Garda per un nuovo live del tour finanziato dai fans con una campagna di crowdfunding. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.



Capitolo 16
Come la persona più normale del mondo

Il Pino Wine Bar di Desenzano del Garda, tolta la ridondante patina anglofona del nome, era niente più di un’osteria, rivestita in legno stile baita pur trovandosi in riva a un lago. Per motivi imperscrutabili, aveva una programmazione musicale, di cui il mercoledì rappresentava il momento clou, tant’è che ci suonavano anche nomi abbastanza affermati del panorama italiano, intercettati nei day off e pertanto ingaggiati a cifre più convenienti. 2 Dualità avevano dunque la speranza, ad onta del giorno infrasettimanale per antonomasia, di trovarsi in una situazione più reattiva della sera innanzi a Carpi.
L’incertezza sul futuro oscillava sopra le loro teste come un trapezista durante un numero circense. Guy si sforzava di non mutare il suo contegno, dovendo passare la serata tra la gente ed essere l’animale sociale di sempre.
Entrando nel locale, si videro venire incontro un uomo rubicondo, dall’età indefinibile tra i trenta e i quaranta e oltre. Era sul metro e settanta, altezza che ne faceva risaltare ancor più l’opulenza. Portava un pesante e sciupato maglione di lana color crema, con la zip e il cappuccio in testa, e ruvidi pantaloni blu scuro da cercatore di funghi.


Romaldio si rivolse ai nuovi arrivati biascicando un’incomprensibile forma di saluto e guardando da un’altra parte a causa dello strabismo. Batté i piedi in terra come per mettersi sull’attenti. Gli scarponi col tacco rinforzato fecero un rumore sordo sul pavimento in cotto.
“Bel posticino davvero”, commentò Guy con convinzione, dando uno sguardo d’insieme al Pino Wine Bar. Ai lati del corridoio centrale, erano disposti tavoli e tavolate, sedie e panche. Sulle pareti, stampe incorniciate, soprattutto di pop art, oltre a foto scattate nella sala, raffiguranti presunte celebrità passate di lì. In fondo, lo spazio andava ad allargarsi: sulla sinistra, il bancone del bar, alle cui spalle una porticina conduceva alle cucine; sul lato opposto, delimitato da un arco a volta, anch’esso in muratura, era piazzato il palco, nettamente il più striminzito tra quelli del tour sulla Luna. Se lo sarebbero fatto bastare.
“Iniziamo a montare?”, domandò Guy, rivolto tanto a Vicni quanto a Romaldio. Fu quest’ultimo a rispondere, offrendosi di dar mano e rendendosi disponibile all’istante per aiutarli nel soundcheck. Guy declinò la prima offerta e si mise a scaricare la Luna con l’ausilio della compagna. Rifletterono se non fosse il caso, date le ristrettezze del palco, di rinunciare a qualche pezzo della strumentazione, ma decisero infine di portarsi tutto quanto. Avrebbero onorato il tour fino alla fine.
Ben presto, realizzarono che Romaldio, oltre a essere il fonico, era il direttore artistico, colui che serviva i clienti dietro il bancone, nonché il proprietario del locale. Fino all’ora di cena, ci furono solo loro là dentro. Erano attesi tre finanziatori del crowdfunding, ma non se ne presentò nessuno. In compenso, la sala iniziò a riempirsi di avventori che venivano per mangiare.
“A meno che non se la prendano estremamente comoda, questi saranno già spariti da un’ora quando inizieremo a suonare”, fece notare Guy. “Il gommone dice che il pubblico dei concerti arriva sul tardi, e riempie il doppio della gente che c’è adesso. Speriamo…”
“Se già non si fanno vivi i fan del crowdfunding…”, ribatté sconsolata Vicni. Si rianimò quando, in testa al drappello di cameriere (in realtà appena due) da poco entrate in servizio, comparve la caposala.
Fidanzata storica di Romaldio, Sissy Kolivanowski era rimasta alle sue dipendenze anche dopo la rottura della loro relazione sentimentale. Pareva il contraltare dell’ex: biondissima, alta ed esile, androgina ma dai lineamenti somatici delicati. La accomunavano a lui una certa rudezza nei modi e il look non proprio da gourmet a cinque stelle: svettando su un paio di stivaloni neri, Kolivanowski sfoggiava un fisico quasi da top model, con degli hot pants in denim e una canotta sfrangiata che si fermava molto sopra l’ombelico.


Impartendo ordini con voce roca e mascolina, Kolivanowski sistemò i primi avventori, andando poi a unirsi a Romaldio, il quale si era accomodato al tavolo riservato a 2 Dualità in attesa che gli fosse servita la cena.
Vicni ebbe un fremito mentre quella pertica snodabile li raggiungeva, curvandosi leggermente in avanti di modo da mostrare la fascia elasticizzata nera che le copriva il seno. Si scambiarono un’occhiata, quindi Romaldio, col rantolo da etilista che era il suo modo di parlare, fece le presentazioni.
“Vi piace il Pino Wine Bar? È tutto di vostro gradimento finora?”, domandò ai musicisti.
“Guarda, già ci sentiamo come a casa nostra qui. Domani abbiamo un altro concerto, però se volete venerdì torniamo volentieri a suonare da voi!”, replicò allegramente Guy. Vicni confermò con un sorriso.
Romaldio intanto si era sfilato il maglione, rimanendo con una maglia col logo neroarancio Harley Davidson, sformata dall’adipe. Sotto la manica destra spuntava la parte finale di un tatuaggio mentre, senza il cappuccio, spiccava la testa pelata. Vicni, inorridita, si domandava come la diafana Sissy Kolivanowski avesse potuto concedersi a un simile bruto. Tuttavia, studiando i modi spicci e poco fini della ragazza, si arrese all’evidenza che in fondo quei due erano animali del medesimo branco ed era nella logica che si fossero trovati, e che proseguissero a frequentarsi anche al di fuori di un rapporto ormai estinto. Proprio com’era accaduto a Guy e lei: creature accomunate da un’urgenza artistica che le aveva inevitabilmente attirate l’una verso l’altra. Non c’era stato amore né sesso tra loro: ma forse un legame addirittura più forte. E lo avvertiva anche in quelli che rischiavano di essere gli istanti finali della loro Luna di miele.
Lo stesso Guy stava facendo onore alla tavola, in particolar modo al vino della casa, sicché i racconti che il factotum del Pino Wine Bar sciorinò gli apparvero mirabolanti. Le paturnie, per un po’, svanirono dalla sua mente.
Una cameriera passò di lì con una brocca d’acqua. Guy la stava per ringraziare del servizio, che gli sarebbe stato utile per sciacquarsi un po’ la bocca impastata dalle cibarie e soprattutto dal vino. Fu però dissuaso dall’uscita perentoria di Romaldio.
L’acqua la smarze i pali par fora, figurate par drento”, ammonì la ragazza, che fece un impacciato dietrofront.
“È un modo per dire tipico di chi apprezza la bottiglia”, spiegò Kolivanowski, traducendo sommariamente quel motto da alcolizzati.
“Il Veneto è terra di serial killer”, sentenziò poi il corpulento anfitrione, che teneva testa con irrisoria semplicità alle doti di bevitore di Guy. “Che poi passano la frontiera e si nascondono qua da noi. S’inventano un lavoro e una vita normale, eh, per dire. Poi una mattina apri il giornale e vedi che lo hanno arrestato e dici: quello era uno dei butei che veniva qua a pranzo la domenica!”
“Quanti ne abbiamo avuti, qui?”, arringò Kolivanowski.
“Ma tanti!”, confermò Romaldio raccogliendo l’assist. “Due, tre… Quello che ammazzava le prostitute vicino Belluno, e dopo le violentava. Stava qua in centro di Desenzano.”
“Ah! Pure necrofilo!”, sbottò Guy.
“No, no pedofilo”, lo corresse puntualmente Romaldio. “Le prostitute, le puttane, per dire. Negre, dell’est, dell’Unione Sovietica. Ma maggiorenni. Lui le caricava in macchina, andavano in un posto isolato e lì gli metteva un sacchetto di plastica in testa e le soffocava. Poi se la spassava col cadavere. Ne ha fatte fuori quattro prima che l’han beccato. E tutte le domeniche per dio era a quel tavolo là accanto all’ingresso a mangiare e a bere come la persona più normale del mondo.”
“Ha fatto bene a sistemarle quelle quattro lucciole là. Così non rompevano le balle per volergli infilare il preservativo anche per ciucciargli il cazzo! Battono dalla mattina alla sera e vogliono fare le dive. E allora glielo metteva lui in testa il preservativo!”, fu la pragmatica deduzione della bionda responsabile di sala, che se la rise alla grande.
“Interessante lettura psicologica”, osservò Vicni. Il corpo libidinoso di Kolivanowski le appariva ancor più remoto della sua testolina di cavernicola non rieducata.


Terminata la disamina sui serial killer habitué del Pino Wine Bar, Romaldio continuò a imperversare, narrando di risse scatenatesi all’interno del suo locale, per lo più nelle serate dove c’era musica dal vivo. Guy lo ascoltava con crescente rapimento.
“L’anno scorso, di questo periodo, avevamo qui la Desenzano Fusion Street Band. È una street band che suona fusion”, spiegò pleonasticamente Romaldio. “Sono tranquilli, musica da ascolto, per dire, mica da ballo o da scatenarsi. Li facciamo venire due o tre volte l’anno. Iniziano a suonare già all’ora di cena e vanno avanti fino alla chiusura. Si fermano, mangiano e bevono anche loro, poi ricominciano a suonare. E poi ogni tanto suonano in mezzo ai tavoli, come una street band.”
“Come una street band che suona fusion”, ripeté sghignazzando un Guy sempre più ubriaco.
“E in questo concerto dello scorso anno, il chitarrista stava suonando in mezzo ai tavoli, e io lo aiutavo a srotolare il cavo per non farlo impigliare da nessuna parte. Però si è impigliato lo stesso, e lui per liberarsi ha dato una spinta che ha fatto cascare in terra la forchetta a un cliente che stava mangiando il porco arrosto. No un piatto o un bicchiere, solo la forchetta è cascata.”
“Ma quello là era già ciucco”, s’inserì Kolivanowski. “E ha dato di matto, voleva picchiare il chitarrista. Allora gli altri butei al tavolo con lui han provato a calmarlo, ma lui ha iniziato a picchiarsi con loro! Da lì, tutti i tavoli vicini si son riempiti di gente che voleva partecipare. E hanno iniziato a volare cazzotti per tutto il locale!”
“E il chitarrista, che aveva lui fatto partire le botte, aveva ricominciato a suonare sul palco, facendosi finta che lui non c’entrava nulla. Non andava mica bene, eh. Allora la Sissy gli è andata sotto a muso duro per farlo partecipare alla scazzottata!”
“Gli ho detto: ‘Vai se no te ciapo e te verzo come un capuzzo!’”, si vantò Sissy, mimando la messa in pratica di quella minaccia. Non c’era da scherzare con l’indole battagliera di quella donna dall’apparenza tanto fragile.
“Wow! Radicale distruttivo!”, si complimentò Guy, totalmente asservito al clima di sfrenata ebbrezza che pareva essere di prassi al Pino Wine Bar.
Sopraggiunsero altri clienti, e Kolivanowski ebbe il suo daffare in sala, sicché andava e veniva dal loro tavolo. Anche Romaldio dovette tornare alle sue molteplici mansioni. Guy e Vicni conclusero la cena da soli al tavolo.
“Stasera non so se resisterò all’impulso di togliermi la camicia durante il concerto!”, proclamò Guy. Fiumi d’alcol gli circolavano in corpo in sostituzione del sangue. Era già positivo che non intendesse scatenare a propria volta una megarissa. Mostrarsi a torso nudo sarebbe stato un atto di ubriachezza in fondo poco molesta. Vicni gettò un ultimo sguardo al fondoschiena tonico di Sissy Kolivanowski, in bella vista a pochi metri da lei, quindi uscì per fumare.




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