lunedì 9 dicembre 2024

DIAMANTI NASCOSTI - "UN QUARTO D'IRA" DEI CALLIOPE - RECENSIONE A CURA DI LUCA STRA


Avvicinarsi ad un album come “Un quarto d’ira” degli abruzzesi Calliope è questione delicata per chi debba avventurarsi in una recensione. I motivi sono tanti, o forse, molte varianti dello stesso motivo. Ci sono eroi del rock in comune che emergono impetuosi fin dal primo ascolto, quell’ascolto che, in genere, ci fa innamorare di un album o, all’opposto, pensare che non fa per noi.
Tamara Macera, abruzzese, nasce a Cesena nell’anno in cui i Nirvana pubblicarono “In Utero” e, in novembre, registrarono il più celebre e imitato Unplugged di MTV, quello a New York.
Non sappiamo cosa ascoltassero i genitori della ragazza di allora, ma, in ogni caso, la nostra Tamara era, già fin da piccola, una futura donna con una vocazione ben precisa: esprimere le proprie urgenze creative nel migliore dei modi. 
Così è diventata scrittrice, coltivando in parallelo la propria voce da contralto all’Istituto Statale Superiore di Studi Musicali e Coreutici di Teramo.



Ed è di questa Tamara delle tante che convivono in lei che ci occupiamo. Come voce ha dato vita al progetto Calliope per trovare nuovi mezzi espressivi e denunciare, come dice lei stessa, “quel marciume che c’è dentro”.
L’album frutto del progetto è intitolato “Un quarto d’ira” ed ha nei testi uno dei maggiori punti di forza. Dipanando tra le dita un brano dopo l’altro, ascolto dopo ascolto, l’album dischiude una complessità quasi da organismo vivente autonomo, specchio dell’autrice sia dal punto di vista sonoro che compositivo.
Passiamo ad un sintetico track by track. Colpiscono espressioni brucianti come “coglioni con i culi di seta”, dalla title track Un quarto d’ira, musicalmente diretta come un gancio in faccia. “L’orrore va in onda”, da Orrore a parole secondo pezzo in scaletta, è invece dotato di un impatto sonoro da Evanescence dei tempi gloriosi di Bring me to life.
“Quella volta ero io a pregarti sulla via", da L’arcolaio, suona invece scolasticamente molto “litfibiana” del decennio novanta ed è il solo filler.
Con un ottimo colpo di reni però l’album si rimette subito in piedi con Mistress, marziale e quasi imperiosa musicalmente.
Segue la sognante Bimba Oscura, una possibile dedica a se stessa della frontwoman.
Ed ancora il brano “Il re minore”, che offre squarci iniziali che echeggiano nel giro di synth i Depeche Mode, “2000 persone” di cui, avendo visto il toccante video, è quasi impossibile pensarla senza, “Ob_lo” che assale di colpo, come una predatrice, l’ascoltatore distratto dalle tastiere e la finale “Gioia bionda”, degna conclusione anche se, forse, un po’ troppo riecheggiante dei pezzi precedenti.
I modelli di riferimento, come ci ha confermato la stessa Tamara Macera sono palesemente i migliori Evanescence, quelli dell’album da K.O. Fallen e Eva Poles dei Prozac +.
In sintesi “Un quarto d’ira” si piazza senza dubbio nel terzetto da podio dell’indie rock nostrano permettendoci di esplorare i lati oscuri, il desiderio di “esorcizzare il veleno che ho dentro” ci ha spiegato la cantante in un’intervista.

VOTO: 8 -
CONSIGLIATO A CHI ASCOLTA: PROZAC +, EVANESCENCE. 

Recensione a cura di Luca Stra


 

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