Ecco "Lo straniero conquistatore armato di chitarra", l'ottavo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato ogni giovedì sul blog di Riserva Indie a partire dal 4 Febbraio. Il tour di 2 Dualità sbarca al "Bencivenga" di Spoleto dove Guy e Vicni si intrattengono con alcuni dei finanziatori del crowdfunding. Vi ricordo che tutti i capitoli pubblicati li potete ritrovare anche sulla tab della home page di questo blog.
Capitolo 8
Lo straniero conquistatore
armato di chitarra
C’era
poca gente. Le porte erano state aperte da una quarantina di minuti e, pur
essendo sabato sera, la clientela del Bencivenga di Spoleto, come d’altronde
quella di qualsiasi posto del genere sparso lungo lo stivale, se la pigliava
assai comoda.
Guy
e Vicni, sapendo di non doversi esibire prima di un’ora e mezzo a dir bene,
stazionavano nei pressi del bar, attorniati da alcuni finanziatori del crowdfunding. C’era Armendio, spilungone
dall’aria goffa e impacciata, il cui amorfo maglione a bande orizzontali grigie
e verdi era l’elemento di spicco della sua personalità. Accanto a lui, una tipa
apparentemente giovanissima e apparentemente sordomuta, che se ne stava lì
senza spiccicar parola. Poi due ragazze sui vent’anni, che pendevano dalle
labbra di Guy come da un oracolo del nuovo millennio. Infine, Slisković666,
così si faceva chiamare sul suo profilo, pure lui alto e dinoccolato ma più
reattivo rispetto ad Armendio.
“Questa zona non è male a livello di
movimento”, gli stava spiegando, scambiando al contempo cenni di saluto con chi
transitava in quel momento lì vicino. Pareva conoscesse chiunque. “Ci stanno i
posti per suonare, le feste, anche d’estate ci sta roba. Ci stanno i posti, ci
stanno le cose da fare. Però la gente è chiusa, provinciale, ancora col dna del
contadino. Se sta a lamentare che non ci sta mai nulla e non muove mai il culo
da casa.”
“Questo è un problema un po’ da tutte le
parti, caro mio”, intervenne Guy dandosi arie da uomo vissuto, ondeggiando la
mano destra quasi in faccia a Slisković666. Lo straniero conquistatore armato
di chitarra aveva un margine di vantaggio non indifferente sull’autoctono,
bastava scrutare i volti e gli occhi delle due ragazzine. Slisković666 tentava
di ergersi a guida illuminata della scena spoletina, forse anche nel tentativo
di far colpo sulle suddette. Ma bastava un sorriso finanche abbozzato di Guy
per precipitarlo in fondo alla pista.
Vicni, al solito, lasciava a Guy onori e
oneri in simili situazioni. E lui era ben felice di salire al proscenio. Per
inciso, non aveva alcuna intenzione di ridimensionare Slisković666, che anzi
gli era moderatamente simpatico e soprattutto lo trovava attraente. Gli veniva
semplicemente naturale comportarsi così in mezzo alle persone. A maggior
ragione se già a inizio serata c’aveva dato dentro con la bottiglia.
“Io esco a fumare”, disse Vicni,
apprestandosi a lasciare il capannello sotto la sapiente guida del suo compagno
di giochi musicali.
“Sì, andiamo”, propose invece di slancio
Slisković666, e partì lancia in resta, sicuro che tutti l’avrebbero seguito. Fuori,
si accese tranquillamente un cannone, facendolo girare. Guy fece giusto un
tiro, Vicni aveva la sigaretta in bocca e passò. Spuntò pure, imboscato chissà dove,
un boccione di vino.
“Radicale distruttivo!”, proclamò Guy,
dando una gozzata e alzando subito dopo la bottiglia a mo’ di brindisi.
“Non si direbbe che persone di
corporatura piccola possano reggere così bene l’alcol, vero? Sapete come
funzionano certe cose, quando si è giovani si guarda tutto attraverso
prospettive più immediate, e questo ti permette di subire meno i contraccolpi
negativi”, disse ancora Guy, facendo le domande e rispondendosi da sé. Il
malcapitato Slisković666 era stato oscurato come durante un’eclissi. A parziale
consolazione, Guy si rivolgeva per lo più verso di lui, lisciandogli in
continuazione la spalla a corredo dei propri discorsi. Inoltre, la sua serata
sarebbe proseguita in connessione con la band: dopo il concerto, avrebbe infatti
incassato la sua ricompensa, consistente nell’essere riaccompagnato a casa a
bordo della Luna.
Dopo un bel po’ di salotto, Vicni esortò
Guy a tornar dentro per cambiarsi in vista del concerto. Il rituale della
vestizione era molto importante per loro. Li estraniava dal casino, dai volumi
alti della sala, dalla gente che andava e veniva. Quasi come fare yoga, come
Piero Pelù, o stretching, come Henry Rollins, o spararsi una sega, come Eminem.
Guy
aveva tolto di valigia una camicia argentata con i risvolti ricamati, oltre ai
capi d’abbigliamento di sempre. Per Vicni, nella girandola di vestiti che
avrebbe avvicendato durante il tour, toccava al terzo e ultimo travestimento:
un completo tailleur più pantalone, rigorosamente nero, da perfetta lesbica in
carriera. Erano pronti a darsi al pubblico accorso quel sabato a vederli.
Diversamente
dalla maggior parte dei locali italiani, dove bisognava sgomitare per
appoggiare la schiena alla transenna del mixer di sala ma sotto il palco
c’erano praterie, al Bencivenga poterono contare su un certo calore dei
presenti. In particolare, i ragazzi del crowdfunding
si erano schierati in una prima fila credibile a poca distanza dai musicisti.
Sul loro esempio, altri erano avanzati, garantendo in tal modo di evitare la
surreale sensazione di sentire applausi preregistrati stile sitcom americana tra un pezzo e l’altro.
Spesso succedeva davvero: dal palco non vedevano nessuno, però a ogni pausa
udivano battimani più o meno intensi.
Slisković666 troneggiava nel mezzo,
scuotendo il capo e battendo il piede in terra. E anche gli altri erano
coinvolti, persino Armendio e consorte azzardavano qualche passo di danza sul
posto al ritmo dei brani più sostenuti macinati da Guy e Vicni.
I
reiterati sorrisi di Guy ricordavano quelli di Billy Zoom, chitarrista degli
storici rocker californiani X. Difficile che qualche loro fan cogliesse il
riferimento, pertanto se n’era appropriato dopo che un suo cugino più grande
l’aveva introdotto alle meraviglie del punk americano anni Ottanta.
Vicni,
austera nel suo abito di scena, fu però più scalmanata del solito, specie nei
cori in cui quasi sovrastava la voce principale. Guy, sentendosi sparare nel
monitor le urla stridule della batterista, credette fosse un problema di
bilanciamento suoni sul palco e fece chiari cenni al fonico affinché gli
abbassasse il microfono di lei in spia. Di fatto, con quella mossa per una sera
perse inconsapevolmente il ruolo di cantante: almeno nei ritornelli, in sala
arrivava soltanto la voce di Vicni.
“Quasi
uguali quasi diversi” venne davvero bene. La band aveva ingranato le marce
alte, il pubblico era dalla loro parte ed era il momento di calare gli assi.
Vedere tutti là sotto cantare la canzone, dalle due smaliziate ragazzine alla
torpida coppia, fino ad altre persone che si stavano facendo avanti,
riconoscendo le note di quella piccola hit, fu emozionante. Come il primo
giorno di prove, come la prima canzone che avevano scritto assieme, come il
primo concerto di 2 Dualità. Come la prima volta che s’erano incontrati. Quel
tipo di emozione, non semplicemente l’entusiasmo della novità, ma qualcosa di
più profondo, il sentore di un respiro più ampio, di un tragitto che può
condurre lontano. Oppure verso il nulla.
“Spoleto
ci ama!”, si beò Guy a fine serata. Slisković666
annuiva compiaciuto. Oltre ai fan del crowdfunding,
se n’erano presentati parecchi altri. Guy e Vicni avevano venduto dischi e
gadget, firmato autografi e posato per foto, dispensando strette di mano e
abbracci. Quel surrogato di rock’n’roll
lifestyle non era così frequente: gli capitava non di rado di essere
bellamente ignorati prima, durante e dopo il concerto.
“Tra
un po’ si va a nanna, mio caro”, disse ancora Guy all’allampanato fan. “Ti
senti capace di andare sulla Luna?”
“Grande”,
confermò Slisković666. Vicni, col progressivo
diradarsi di chi le stava attorno, era ridiventata laconica ed estranea ai
lazzi che il suo collega perdurava a regalare a un uditorio ormai ridotto
all’osso.
Arrivò infine il momento di ricaricare
la strumentazione e dirigersi all’albergo, con tappa intermedia a casa di Slisković666.
“Taxi Luna in partenza. Via! Via! Via!
Via! Via!”, disse Guy. Slisković666 sedeva davanti, su uno dei posti
passeggero, appiccicando Vicni al finestrino. “Io non accendo il navigatore,
guidami tu. Dove devo andare?”
“Io sto in una frazione appena fuori
Spoleto. Prendi subito la strada come per tornare indietro da dove siete
arrivati.”
“Ecco,
appunto, mi son già perso! E non siamo ancora usciti dal parcheggio del
Bencivenga… Destra o sinistra?”
“Di
là”, spiegò Slisković666. Guy, che guardava il buio
della strada, non fu in grado d’interpretare l’indicazione.
“Destra”, tradusse Vicni.
In poco più di cinque minuti, nonostante
le pessime doti di navigatore di Slisković666, svoltarono in direzione di uno
sbiadito cartello blu e giunsero in un vialetto campagnolo poco illuminato ma
sufficientemente per mostrare una serie di case e ville tipiche di una certa
aristocrazia contadina.
“Wow!”,
esclamò Guy, accostando dinanzi alla villetta su due piani indicatagli da Slisković666.
“Ci abiti con i tuoi genitori?”, domandò
Vicni. Aveva avuto il sospetto di aver a che fare col classico finto
alternativo campato dai soldi di famiglia.
“Sì”, replicò lui senza imbarazzo. Anzi,
rilanciò. “Ma la casa in pratica sta divisa in due, e io ho uno spazio tutto
mio; ho anche un ingresso indipendente! Perché non entrate un minuto? Magari
potete restare a dormire qui, volendo…”
“Perché no?”, acconsentì subito Guy,
anticipando le proteste di Vicni. Che comunque non si fecero attendere.
“Guy, non mi sembra il caso di lasciare
la Luna qui fuori, tutta la notte.”
“Potete lasciarla nello spiazzo del
giardino”, la smontò Slisković666. “Chiudiamo il cancello e state più al sicuro
che al centro de Spoleto!”
“A proposito di centro di Spoleto”,
insisté ancora a opporsi Vicni, “in teoria avremmo un albergo prenotato.”
“Li chiamo io per sfissare”, finì di
disarmarla Guy. “A quest’ora tanto non risponderà nessuno.”
Vicni si arrese. Credeva d’aver capito
dove voleva andare a parare Guy. Slisković666 fece loro strada all’interno,
prima spalancando il cancello alla maniera di un Mosè testimonial della ditta
FAAC, poi precedendoli sull’ingresso nel retro, che tramite una scala conduceva
di sopra.
“Voi potete dormire di qua”, disse Slisković666,
indicando camera sua. “Il letto è a una piazza e mezzo. Ci dovreste stare
tranquillamente.”
“E
tu?”, gli domandò Guy mostrando stupefazione.
“Io
dormo sulla poltrona che sta in salotto. È una specie de divano letto.”
“Capito,
Vicni?”, esclamò teatrale Guy. “Vedi come sono i nostri fan?”
“Sono i fan più fan che esistano”,
ripeté lei, a pappagallo e senza convinzione, lo slogan coniato in occasione
della campagna di crowdfunding.
“Farebbero qualunque cosa per 2 Dualità.
Svuoterebbero il loro piatto per riempire il nostro, se noi non avessimo nulla
da mangiare. Ci cederebbero il loro letto, andandosi a rincalcare su una
poltrona. Quando penso a queste cose, quasi non mi sembra vero! Però non lo
posso permettere, mio caro. Sapere di averti relegato di là non mi farebbe
dormire!”
“E allora che se fa?”, domandò Slisković666,
disorientato dagli arzigogoli di Guy, che nemmeno a tarda ora rinunciava a dare
spettacolo.
“Semplice: dormiamo tutti e tre
insieme!”
Slisković666 rimase esterrefatto. Vicni,
già da un pezzo rassegnata all’ineluttabile, si limitò a incenerirlo con lo
sguardo. Però non disse nulla.
Nel più profondo imbarazzo di due terzi
dei presenti, andarono a letto. Vicni scivolò sotto le lenzuola e si sfilò di
dosso il minimo indispensabile, restando con una maglietta da notte molto lunga
che la copriva fin quasi a metà coscia. Il pimpante e disinvolto Slisković666,
re senza corona del Bencivenga, adesso legnoso all’inverosimile, si sdraiò
completamente vestito sul ciglio.
“Altolà!”, gli intimò un Guy ormai a
proprio agio meglio che a casa sua. “Quello è l’unico lato dove riesco a
dormire sul fianco. Lì mi ci metto io. Tu stai nel mezzo.”
Al buio, tutti sottomessi alle
capricciose direttive del frontman di 2 Dualità, rigidi si strinsero in quel
letto che faticava a contenerli.
Fu
Vicni a fare la prima, involontaria mossa che spianò la strada a Guy.
Rigirandosi in un agitato dormiveglia, si adagiò addosso a Slisković666,
che fermo come una sardina in scatola, con le braccia inchiodate parallele al
corpo, non sapeva cosa fare, se provare a scostarla, col rischio di svegliarla,
o che altro. Nel dubbio, rimase impalato.
All’altra estremità del letto, cioè
pochi centimetri più in là, Guy emetteva profondi respiri come fosse
pesantemente addormentato.
Perciò, quando poco dopo si sentì
solleticare le parti basse, Slisković666 non ebbe dubbi che la ragazza gli
stesse strofinando la mano sul cazzo, che gli si rizzò all’istante. Sentì quasi
in sordina lo scorrere verso il basso della zip dei pantaloni, con quella
stessa mano che aveva assunto il pieno ed eccitante controllo del suo uccello.
Raggiunse in fretta l’orgasmo. Una
poltiglia appiccicaticcia e calda gli si posò sul bassoventre. Si era
senz’altro macchiato maglia e pantaloni. Pace, pensò Slisković666 mentre la
tensione si scioglieva nei suoi muscoli e prendeva sonno con la stessa rapidità
con cui lo sperma era schizzato pochi istanti prima. Erano bastati pochi,
sapienti movimenti di quella mano a farlo godere.
Trascorsero
ancora parecchi minuti prima che Guy, che era sempre rimasto sveglio, passasse
al contrattacco. Facendosi vicino a Slisković666,
proprio come aveva fatto Vicni nel sonno, gli premette l’uccello
sull’avambraccio, muovendosi su e giù simulando un coito. Fu una manovra
estremamente piacevole. Fece appena in tempo a scendere fino alla mano di Slisković666,
che accolse la sborrata, quasi fosse stata lei a condurre fin lì quel cazzo
impertinente che aveva sfruttato il corpo inerme del fan addormentato per il
proprio piacere.
Nessuno fece più movimenti sospetti. La
notte, che pure stava per volgere all’alba, inghiottì il terzetto,
concedendogli finalmente il meritato riposo.
Testo di Ljubo Ungherelli
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