lunedì 17 novembre 2025

FEMINA RIDENS - ETNA CALLING - LA SIMENZA E LU CANTU - RECENSIONE A CURA DI IRIS CONTROLUCE PER #GLORYBOX


La parola portoghese "saudade" non ha una traduzione esatta, descrive un sentimento complesso di malinconia e desiderio nei confronti di qualcosa o qualcuno di assente. Non si tratta solo di tristezza, ma anche della speranza di riuscire un giorno a riavvicinarsi a chi o a quanto abbiamo perso. Sull’argomento, nel suo imprescindibile “Libro dell'inquietudine”, Pessoa, ha scritto che “non c’è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state”. Ed è esattamente a metà strada tra le due condizioni emotive che trova la sua dimora ideale “Etna calling”, ultimo lavoro discografico dei Femina Ridens, uscito a fine ottobre 2025 per la RadiciMusic Records.
Il duo, composto da Francesca Messina e Massimiliano Lo Sardo, non volge lo sguardo al Portogallo, bensì alla Sicilia, terra dalle antichissime tradizioni e dall’immenso patrimonio culturale.



L’isola è stata dominata da una molteplicità di popoli (greci, romani, cartaginesi, arabi, normanni, francesi e spagnoli) e ciascun dominatore si è integrato con i dominati così da mescolare linguaggio, mestieri, poesie, nenie, filastrocche e canti religiosi.
Ed è proprio espressione di questa preziosa eredità artistica e multiculturale che i nostri diventano custodi e messaggeri, creando una connessione viva tra memoria e presente, tra melodie antiche e sonorità contemporanee.
Prodotto artisticamente da Cesare Basile (due volte Premio Tenco), le suggestioni musicali si muovono tra intrecci di strumenti arcaici e mediterranei (buttafuoco, santur persiano, harmonium indiano, guitarzouki, banjo-oud) ed elettronica suonata rigorosamente dal vivo, senza loop né basi preregistrate. Obiettivo non è tanto replicare fedelmente, quanto celebrare il folclore: esprimere gratitudine per le conoscenze apprese, onorandole con intensità e impressionante trasporto.
Nell’album, sofferenza e struggimento possiedono una straordinaria forza: un’efficacia che arriva diretta ai luoghi più oscuri del sentire, abbattendo ogni nostra forma di difesa. La musica si tramuta in un dardo infuocato, in grado di ardere e scaldare, commuovere e provocare un dolore feroce, seppur agrodolce.
Rimanendo in primo piano, la vocalità di Francesca cambia continuamente intenzione e colore. Ci accompagna in un cammino ricco di scoperte, racconti, sussurri, parole accennate, esternazioni di tormento e irrequietezza. Si fa intima, sofferta, graffiante, potente e trova nel tessuto sonoro un perfetto complice e compagno di viaggio.
Nel corso degli ascolti, l’esplorazione emotiva e musicale che seguirà, dilaterà il tempo e contrarrà lo spazio. Divenute ormai vicinissime, le atmosfere orientali faranno riemergere in noi emozioni sopite, permettendoci di entrare in contatto con vulnerabilità e fragilità latenti. Lo scenario è così perfettamente realizzato: una voce dalle timbriche suggestive ci conduce in un’operazione di ricerca e reinvenzione, la trascinante veemenza delle vibrazioni degli strumenti farà il resto.
Il riadattamento delle 8 canzoni ci proietta in un’epoca lontana, dove le percezioni fluttuano liberamente, senza controllo. Alcuni di questi brani sono legati a Giuseppe Ganduscio, grande etnomusicologo siciliano vissuto in Toscana. Temi centrali sono il perduto amante, la precarietà esistenziale, la solitudine degli invisibili, il patimento come conseguenza del lasciare andare e il manifesto politico di resistenza passiva. Da segnalare la splendida “Basilicò” (ispirata ad una novella del Boccaccio, affidato alla cantastorie Rosa Balistreri, che trovò fortuna a Firenze). La struggente “Spingula” è il ritratto di un amore non corrisposto che brucia al pari della furia di tramontana. L’attaccamento, inafferrabile e pericoloso, viene paragonato ad una spilla d’oro che può ferire fino a farci sanguinare. Le sensazioni di attesa e passione vengono sviscerate in “Usticana”, dove la mancanza della persona amata ritorna ostinata come onde su uno scoglio. Il santur persiano abbraccia i vocalizzi, trasformando le tensioni interiori in respiro e ritmo. “Turtula”, storia di una “tortora” di cui si è innamorati, viene lasciata libera e si fa metafora della perdita.



Il duo si abbandona con generosità: la loro contagiosa energia vitale viene affidata al canto in dialetto, ai versi poetici, al racconto, specchio di una visione luminosa sui sentimenti. Il risultato riesce ora ad assecondare ora ad arrotondare le spigolosità ritmiche. Fluida e svincolata dalla forma-canzone tipica, la melodia diventa bellezza ed esaltazione delle più remote reminiscenze. Il passato prende di nuovo vita con una prepotenza vigorosa, persuasiva e coinvolgente.
Etna calling è tutto questo, ma è anche un nuovo formato editoriale ideato da Femina Ridens. Lo hanno chiamato “Phono Tale” e raccoglie testi, traduzioni, illustrazioni originali di Massimiliano Lo Sardo, aneddoti e fonti storiche, indicazioni tecniche ed artistiche sulla produzione, un segnalibro con i link per il download e lo streaming dell’album. Il tutto in perfetto stile green per promuovere ecosostenibilità e minimizzare al massimo l’impatto sull’ambiente.
Per quanti tra voi sono d’accordo con Kahill Gibran quando diceva che “il ricordo è un modo per incontrarsi”, il nostro consiglio è quello di immergersi nell’ascolto del riuscitissimo disco del duo siculo-toscano che, pur mantenendosi fedele alla tradizione orale siciliana, è riuscito ad interpretarla e a modernizzarla, impedendo così al fuoco della memoria di disperdersi nei solchi del tempo.


Recensione a cura di Iris Controluce

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