domenica 2 novembre 2025

NORD ELECTRIC - LONELINESS FOR SALE - RECENSIONE E INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI


Per dei musicisti di lunga esperienza che abbiano ancora qualcosa da dire e suonino, prima di tutto, per il piacere di dare vita all’espressione artistica, un nuovo inizio può essere cibo con cui nutrire la propria ispirazione. Così è stato per i Nord Electric, band internazionale attualmente composta dal cantante inglese Mark Gardener, ex membro dei Ride riconosciuto come uno dei maggiori esponenti del genere shoegaze e gli italiani Giulio Sangirardi (Votiva Lux) e Gianluca Manini. Il loro EP di esordio “Loneliness for sale” riflette l’entusiasmo con cui è stato concepito e fissa l’asticella della qualità ad alti livelli. Il disco si apre con il pezzo che dà il titolo all’intero lavoro, un brano dotato di tutti gli elementi giusti per diventare una vera hit, con un suono accattivante, dinamico e avvolgente che sfocia in un ritornello di immediata cantabilità. La successiva “Traces”, dai toni più scuri, dotata di una struttura più squadrata e contraddistinta da un riff marcatamente rock, conserva comunque il gusto per la melodia in primo piano, così come il terzo pezzo dell’EP ”When Are You Gonna Wake up”, che disegna un paesaggio più morbido senza però perdere mordente. Il brano conclusivo “Dagen H” è quel finale che non ti aspetteresti. Infatti si tratta di uno strumentale ipnotico che si discosta dai pezzi precedenti per la sua matrice esplicitamente krautrock. Il comun denominatore del lavoro è comunque la perfetta fusione tra strumenti e cantato, in cui i musicisti creano l’ambientazione sonora migliore per far risaltare la voce di Mike Gardener. Il cantante inglese ha composto le linee melodiche e i testi dei tre brani che vedono il suo coinvolgimento alla voce la sera, in un clima adatto alla riflessione e all’introspezione e, dal punto di vista delle tematiche, il risultato è un’analisi dei rapporti umani e delle dinamiche che si creano nell’interazione con chi attraversa il cammino della nostra vita.
Giulio Sangirardi e Gianluca Manini si sono resi disponibili a parlare non solo del progetto Nord Electric, ma anche della loro concezione di musica e delle loro radici in quanto musicisti.


- Loneliness for sale, il brano che dà il titolo all’EP nel ritornello dice “devi ballare come se nessuno ti guardasse, cantare come se nessuno ti ascoltasse”. Si tratta della necessità di riconquistare la propria libertà?
GIULIO – In realtà dovresti chiederlo a Mark perché i testi li ha scritti lui. Comunque ne abbiamo parlato un po’ insieme. La base di quel testo è la solitudine che porta a conoscere altre persone online. So che è ispirato a una persona, però di più sul testo non saprei dire. 
- Dal punto di vista sonoro “Loneliness for sale” è un pezzo incalzante che sfocia in questo ritornello molto orecchiabile. Secondo me è una vera hit. E’ stato frutto di tempo e costanza o vi è venuto spontaneo, di getto?
GIANLUCA – E’ vera la mezza via. C’è stato un lavoro che ha portato a quel determinato risultato, ma è anche frutto del sentimento. La fase creativa ha avuto vari step, Giulio aveva una serie di idee che mi ha sottoposto e su cui poi abbiamo lavorato in studio. E’ stato un costante aggiungere qualche elemento però in modo abbastanza lineare, cioè non è stato troppo meditato. Il collante vero lo ha fatto Mark con il testo. Le linee melodiche che ha creato hanno reso coerente il tutto. Quando Mark ha sentito “Loneliness for sale” per la prima volta mixata ha detto anche lui la stessa cosa: “we have a hit”. Ed effettivamente anch’io che quando faccio le cose non le riascolto mai, questo è uno di quei brani che invece riascolto sempre volentieri. Se vogliamo semplificare dicendo che una hit è qualcosa che colpisce e che rimane effettivamente è così, possiamo dargli questa definizione. 
GIULIO – Poi speriamo che diventi una hit sul serio. 
- Nei pezzi si sente l’influenza di gruppi come i Jesus and Mary Chain. E’ una reference che avete in comune?
GIULIO – No in realtà no. Quello che stiamo un po’ scoprendo con le recensioni è che ognuno ci sente qualcosa di suo, qualcosa di qualche gruppo. I Jesus and Mary Chain non sono qualcosa cui abbiamo pensato, perlomeno scientemente quando scrivevamo il pezzo. Né io con le chitarre, né Gianluca con il resto, né Mark. Però non sei il primo che ce lo dice e infatti ne ho parlato con Mark e anche lui ha detto che non era così. Però è un gruppo che mi piace molto per cui può darsi che dipenda dal fatto che le cose che ascolti si sedimentano dentro di te e vengono fuori. Però se suona un po’ alla Jesus and Mary Chain non è stata una cosa voluta. Se vuoi invece sapere a quale gruppo ho pensato mentre scrivevo il riff sono i New Order. Però non ci offendiamo assolutamente (ride). Diciamo che ci sono un bel po’ di cose lì dentro. 
- Passiamo al secondo brano “Traces”, la strofa dice “Everything not saved will be lost like me”. Può essere un brano che aiuta a ritrovare un po’ la traccia di sé stessi quando ci si sente persi?
GIULIO – Pur non sbilanciandomi sui testi di Mark devo dire che per me funziona così, però credo che anche per Mark sia così perché tutti questi brani lui li ha scritti di sera, in studio, quando aveva finito di lavorare e penso sia un processo un po’ catartico. Per me sì la musica funziona molto così per cui, per quanto riguarda me, ti direi sì. 
GIANLUCA – Non era una volontà iniziale nel senso che il progetto prende poi delle pieghe che non puoi prevedere, però secondo me è abbastanza intimista nella misura in cui c’è molto del vissuto di Mark in questi brani. C’è infatti questa sensazione costante di rappresentare un vissuto che poi rispecchia tante delle nostre questioni quotidiane. Quindi è riferito magari nello specifico a situazioni sue ma si può tranquillamente generalizzare, secondo me. 
- L’ultimo brano, lo strumentale “Dagen H” è ipnotico e si allontana molto dal resto dell’EP. Qui l’atmosfera, non so se condividete, è krautrock. E parlarne come strumentale come del tutto privo di voce è improprio perché si sentono qua e là, soprattutto nel finale, delle voci stentoree come se fossero quelle di una radio lontana. Qual è la funzione di queste voci?
GIULIO – Bella domanda. Sì assolutamente kraut, l’ispirazione è stata quella e la batteria motorik ne è abbastanza rivelatrice. Le voci sono state tratte da radio a onde corte dell’est europeo che ho preso io perché ho una radio molto vecchia con cui ogni tanto mi diletto a cercare delle stazioni strane. Devo dire che personalmente le ho messe, poi sentiamo Gianluca cosa ne pensa, per cercare di umanizzare un po’ un brano strumentale, volevo inserire comunque un elemento di voce, ma sono fondamentalmente una decorazione. 
GIANLUCA – In realtà non sappiamo neanche cosa dicono, quindi potrebbero veramente dire le peggiori cose, però è qualcosa che in fase di realizzazione del brano ci è piaciuta indipendentemente dal significato nella misura in cui comunque è un’eco di voci lontane, qualcosa che percepisci all’interno quasi come se fosse un percorso. E’ un brano abbastanza ipnotico ed è ridondante rispetto a sé stesso, si ripete all’infinito ed è un po’ come se queste voci facessero parte del viaggio. Sarà poi più preciso Giulio, comunque “Dagen H” è un giorno particolare in cui si invertì il senso di marcia delle strade in Svezia e quindi questo titolo riporta al viaggio, alle strade e ad un mondo, che è un riferimento che abbiamo in comune io e Giulio ossia i Kraftwerk, che hanno spesso parlato della tematica del viaggio. Anche loro avevano questi ritmi abbastanza ipnotici che ti portavano atrove. 
GIULIO – C’è un video inedito che dobbiamo ancora pubblicare che contiene tutte immagini di viaggio. Per cui l’ispirazione è un po’ quella. “Dagen H” è il giorno del 1966 in cui la Svezia ha invertito il senso di marcia delle strade. Ci piaceva il suono e ho trovato delle immagini curiose perché non era facile convincere le persone a cambiare verso di marcia dal giorno alla notte. Quando cercavo di approfondire questa cosa ho trovato tutte immagini in bianco e nero di automobili in viaggio per cui il video è effettivamente tutto così. Credo che l’ambientazione si sposi bene con la ritmica motorik.
- Com’è nata l’amicizia tra te Giulio, e Mark? Come vi siete conosciuti? Avete se non sbaglio collaborato nel gruppo Votiva Lux. Mark ha fatto un featuring sicuramente in un pezzo dei Votiva Lux.
GIULIO – Sì, le ultime cose dei Votiva Lux, che sono del 2022, sono due singoli con Mark. Questa è stata la prima collaborazione. Poi sono un superfan dei Ride e infatti ho conosciuto Mark a Milano nel 1992 quando gli ho chiesto un autografo. Questo è vero, ma è una piccola storia. La collaborazione con i Votiva Lux è nata perché volevo che mixasse un disco cui stavamo lavorando e quando lui ha sentito i pezzi ha detto “se volete posso anche cantarci sopra”. Quindi dato che adoro come canta Mark e sono davvero un grandissimo fan dei Ride ovviamente ho detto di sì. Dopodiché quando io e Gianluca abbiamo iniziato a lavorare al disco ci è venuto spontaneo pensare a lui come voce perché ci piace molto e, secondo me, si sposa bene con il tipo di sonorità che abbiamo. La vera conoscenza è stata a Manchester nel 2021-2022 quando ci ha invitato a un concerto dei Ride per cui siamo andati e lo abbiamo conosciuto lì. Siamo diventati amici e ci vediamo, non spesso, però un paio di volte all’anno quando ad esempio viene in Italia. 
- Un’altra domanda che temo avrà una risposta negativa: riuscirete mai a portare queste canzoni dal vivo?
GIANLUCA – E’ un problema di logistica perché noi siamo emiliano romagnoli, Mark è inglese e poi abbiamo una band che potrebbe essere a formazione variabile, mancherebbero batteria e basso per ricreare un po’ l’atmosfera del disco. E’ chiaro che sarebbe molto bello, ci piacerebbe anche perché siamo entrambi sicuri che i brani dal vivo renderebbero davvero bene. Poi ti devo dire che io  conoscevo pochissimo i Ride e li ho scoperti con Mark, ma soprattutto grazie a Giulio e dal vivo sono una band incredibile. Sono di quelle band che suonavano quando la musica si suonava veramente, non come avviene adesso. L’impatto dal vivo e quindi il poter suonare con Mark sarebbe molto bello, l’effetto sarebbe valido. 
- Rispetto allo stile cui più vi accostano che è lo shoegaze che, guardando la traduzione, equivale in italiano a guardarsi i piedi, penso per non sbagliare il pedale dell’effetto che serve in quel momento per la chitarra, mi viene spontaneo chiedervi se è un tipo di musica che si basa molto sugli effetti.
GIULIO – Sì ci sono degli effetti sulle chitarre come riverberi, delay però devo dire che sono quelli classici di parecchio rock alternativo. Non siamo un gruppo pinkfloydiano con quattrocento effetti dietro, ma sicuramente l’eco che è il mio effetto preferito c’è abbastanza, ma sono canzoni che reggono anche con una chitarra acustica. Infatti se si ascolta bene, specie in “Traces” e “When are you gonna wake up” la chitarra acustica sotto c’è tanto, un po’ per dare la ritmica, ma anche perché sono canzoni che potremmo fare anche unplugged. Da questo punto di vista non sono strettamente legate all’uso degli effetti, poi con il genere un po’ ci finisci dentro perché Mark ha inventato il genere con il suo gruppo, i Ride e come loro i My Bloody Valentine e gli Slowdive sono band che hanno fondato lo shoegaze, per cui è facile anche metterci in quella casella. Il che va benissimo, è musica che io ascolto.
GIANLUCA – Diciamo che non è l’effetto che fa il suono, ma è un po’ il contrario, cioè è il suono che sfrutta l’effetto nella misura in cui poi a livello di produzione e di mix tutti gli effetti che ho inserito in realtà sono tanti tra delay, riverberi eccetera, ma non partivano dal suono ed erano in realtà funzionali al suono finale del brano. L’effetto aiuta a rendere la sonorità globale. 
- A proposito di suoni e di brani, qual è stato l’acquisto di un disco di un artista o una band che non conoscevate più istintivo della vostra vita?
GIULIO – Per me la risposta è banale, il primo album dei Ride. Ho visto la copertina in vetrina dal Disco D’Oro di Bologna con questa bellissima foto del mare che sembra quasi presa da un libro giapponese e sono entrato e l’ho comprato perché ho pensato “questo per forza è bello”. E poi era il 1990 quando i dischi si compravano senza averli sentiti prima e a volte andava male, ma in questo caso è andata molto bene perché è uno dei miei dischi preferiti.  
GIANLUCA – Il primo disco che effettivamente mi viene in mente che in qualche modo mi ha dato un input diverso rispetto alla musica è “Mr Lucky” di John Lee Hooker, nel senso che ero totalmente lontano dal mondo del blues quando l’ho acquistato, ma è un disco che mi ha portato verso quel mondo e fa molto parte del mio bagaglio musicale, l’ambito blues proprio classico, le radici. E’ il primo che mi viene in mente, poi proprio in vinile. 
- Vorrei condividere con voi ancora questa riflessione. Gli attuali cinquantenni erano ventenni negli anni 90 quando ci fu il grunge, l’ultima grande ondata di rock e, di solito, molti restano ancorati a quello che ascoltavano a vent’anni. In genere, in media, i giovani sono più squattrinati, mentre i cinquantenni magari hanno una situazione economica più stabile e maggiori disponibilità economiche. Data questa premessa, considerato che la musica è comunque un business, perché oggi il rock fa così fatica a farsi ascoltare? In teoria le persone che potrebbero andare più facilmente ai concerti sono i cinquantenni che ascoltano rock.
GIULIO – Una bella domanda. Devo dire che ai concerti cui vado io la gente ha più o meno la mia età, nel senso che quello che ascolto io è seguito all’80 per cento da gente che va dai 35-40 anni in su. Poi mio figlio ai concerti ci va ma lui ascolta metal per cui è un altro mondo. Il discorso economico credo che c’entri fino ad un certo punto, credo che sia più un discorso sociale. Alla nostra età molta gente fondamentalmente sta a casa, esci per il grande evento o per quello della tua piccola nicchia per cui credo che sia un discorso più legato all’età che ai soldi. Poi sicuramente un ragazzino fa più fatica ad andare a vedere, ad esempio, i Radiohead dato il costo. Magari il cinquantenne con lo stipendio compra più dischi, ha ancora il feticismo dell’Hi-fi e manda avanti un mercato diverso perché compra ancora il supporto. Poi certo va all’evento, però credo che sia anche un po’ fisiologico che vadano fuori per i concerti i più giovani. Io sto molto volentieri in casa la sera (ride). Vado a concerti selezionati, pochi e in posti belli e comodi. Vado a teatro, te lo dico francamente. Non mi interessa adesso andare in un club, stare in piedi, era una cosa che ho già fatto da adolescente. Mi piace molto suonare e i concerti li farei anche adesso anche se devo dire che sento un po’ la vecchiaia. 
GIANLUCA – Questo è certamente un aspetto che influisce da un certo punto di vista. Ribalto un po’ la questione nel senso che ha avuto molto impatto sulla nostra generazione un certo tipo di musica che non ha poi avuto ricambio. Io sarei anche disponibile a valutare una new wave rock e andare a vederla dal vivo, ma non vedo un rinnovamento, nel senso che chi prova a cercare di fare questo ricambio generazionale, adesso cito i primi che mi vengono in mente perché così sappiamo tutti immediatamente di cosa stiamo parlando, i Maneskin, che qualcuno sostiene che facciano rock, finisce per fare tutte cose che abbiamo già visto e sentito meglio. Quelli della nostra età faticano ad approcciarsi a qualcosa di nuovo perché l’hanno già sentito e i giovani fanno fatica ad approcciarsi a qualcosa che è visto come nicchia. Non è il caso dei Maneskin che sono molto mainstream, un progetto totalmente commerciale, però i giovani fai fatica a portarli a sentire queste sonorità. Poi c’è un altro aspetto, la nostra generazione suonava molto per cui era più interessata alla musica suonata. Oggi ci sono pochi giovani che suonano rispetto alla percentuale di quelli della nostra età quindi è il modo di fare musica, che per noi è fondamentale in un modo e non lo è più per le nuove generazioni e viceversa. Poi magari un giorno io e Giulio andremo a vedere Sfera Ebbasta però non credo (ridono).

 

Le strutture musicali ricche e accattivanti ma mai troppo ridondanti, il gusto per la melodia e la capacità di scrittura che nasce dall’esperienza sono quei tratti distintivi che fanno dei Nord Electric una band con potenziale internazionale e che ha in mano le carte giuste per vincere il piatto.

Recensione e intervista a cura di Luca Stra





 

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