domenica 14 dicembre 2025

EMANUELE de FRANCESCO - IL PRIMO BACIO NEL POMERIGGIO - RECENSIONE E INTERVISTA A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI


Vivere il tempo a modo proprio, liberi dalle convenzioni e alla ricerca di una dimensione in cui la sveglia non suona, ci si può alzare anche nel pomeriggio e, girandoci nel letto accanto a chi amiamo, le bocche si cercano nel primo bacio di un giorno fuori dalla solita routine. E’di questo tempo rubato che parla “Il primo bacio nel pomeriggio” del cantautore milanese Emanuele de Francesco. Il disco, composto da otto tracce di alta sartoria pop e prodotto dal cantautore LeLe Battista, non cerca soluzioni sonore ardite, nella consapevolezza che ciò che conta è avere canzoni autentiche. Gli arrangiamenti sono infatti lineari, puliti e lasciano respirare i brani esaltandone la melodia. Facciamo un track by track dei brani. La chitarra e le tastiere armoniose di “Nelle mie dimenticanze”, brano posto in apertura, accompagnano un testo sul bisogno d’amore. “Sono solo un passante tra milioni di teste” canta Emanuele, consapevole che l’unico modo per salvarsi è tendere la mano a chi ci ama perché ci aiuti a uscire dalla voragine scavata dalla sensazione di essere inutili. Il pezzo successivo, “Tasca bucata”, rivendica il diritto ad essere non convenzionali e ad assaporare appieno ogni esperienza. “Marj Lù” è caratterizzata invece da un tocco country e racconta la divertente storia di una donna ricercata dalla polizia che invade la vita di un uomo come un ciclone travolgente e irresistibile. “Superfluo” lascia intravvedere nelle strofe l’ispirazione di Battiato nell’uso del lessico. Il tema è quello della miopia del nostro cuore che non sa vedere la bellezza che si nasconde dietro al superfluo e non è in grado di comprendere che la nostra necessità più autentica e urgente è renderci padroni di noi stessi. “Bugie” è, invece, una canzone che smaschera l’inutile desiderio che il mondo sia a nostra misura senza capire che tutti, prima o poi, finiamo faccia al pavimento. “Brividi” è un pop rock senza tempo che ricorda notti lontane da cui affiorano i ricordi dei primi batticuori giovanili. “Domenica” è forse il brano più rappresentativo delle tematiche affrontate nell’album mostrando come occorra cercare di vivere il proprio tempo nel modo in cui ci riconosciamo meglio, addormentandoci dentro un vaso di sogni dimenticando la realtà. A chiusura dell’album arriva inatteso un cambio repentino di direzione musicale con “A tarda notte”, echeggiante di synth anni 80. Tutto rallenta e tace lasciandoci dialogare con il nostro io. 

Abbiamo avuto l’occasione di parlare de “Il primo bacio nel pomeriggio” con Emanuele de Francesco.


- Ascoltando il tuo disco “Il primo bacio nel pomeriggio” mi è venuta in mente questa immagine un po’ surreale di un nuotatore che solleva il divisorio di corsia della piscina per nuotare in mare aperto. Quanto è difficile per te stare dentro corsie rigide?
- Bella domanda, non saprei risponderti bene. Un po’ è difficile stare dentro determinati canoni un po’ non ci penso, cerco di essere sempre me stesso, il più libero possibile. Certo mi piacerebbe navigare in acque molto aperte, ma credo già di farlo senza farci caso. Con sincerità non ho la sensazione di cercare di scavalcare le corsie, mi sento sempre abbastanza libero. Però l’immagine del mare aperto mi affascina da tutti i punti di vista è una bella immagine, anche se non mi sento dentro certi vincoli, diciamo che non mi sono mai posto il problema.
- Bene, vuol dire che le tue corsie sono abbastanza larghe.
- Sono abbastanza larghe, ma non solo, a me sembra di non averle. Non ci avevo mai pensato e in realtà non è una cosa cui ho fatto caso. In questi momenti comunque è difficile nuotare però lo fai perché è comunque bello, è affascinante il mare aperto, ma sinceramente non mi sono mai posto questi problemi.
- Parliamo del primo brano “Nelle mie dimenticanze”. Trasmette un senso di smarrimento. A cosa scegli di ancorare la tua vita per non smarrirla? 
- A tutto quello che mi emoziona dentro, che può essere anche lo smarrimento. Io credo che non sia così brutto lo smarrimento quando lo vedi come una parte integrante della tua vita nel senso che ti estranei dalla routine, hai quella che mi piace chiamare lucenza interiore che ti porta a sentirti un po’ straniato da tutto quello che ti circonda, per cui mi rifugio in tutto quello che non è ordinario, tutto quello che è dentro di me, che è molto vicino a me e che può essere una persona o anche un libro, può essere anche chiudere gli occhi e avere dei ricordi, memorie di certe situazioni che ti hanno segnato nel bene e nel male. A volte pensare a certe cose non è negativo ma è un modo di ritrovare un po’ sé stessi. Il rifugio è dentro è tutto quello che emoziona, può essere anche banalmente guardare un albero in un modo diverso e accorgersi che è diverso da quando lo avevi visto due minuti prima o da come lo hai visto in quarant’anni. Sono momenti in cui seguo la corrente, per tornare alla metafora del mare, una corrente interiore che può essere la necessità di avere una persona vicino, di spiegarle delle cose che sono difficili da far capire e magari non basta neanche. Però quel senso di straniamento è qualcosa che mi preserva, mi difende da tutto. 
- La tua risposta si ricollega a quello di cui mi piacerebbe parlare adesso. In “Tasca bucata” canti “fammi cambiare per favore, in fondo sai ho solo bisogno d’amore”. L’amore è il sentimento più totalizzante che una persona possa provare nella vita e ti vorrei fare una domanda molto personale alla quale se lo ritieni puoi anche non rispondere. Qual è la cosa più folle che hai fatto per amore nella tua vita?
- Recarmi in un posto che non conoscevo per andare a trovare quella che sarebbe poi diventata la mia compagna, mia moglie. Era al mare e non sapevo dove fosse esattamente il posto perché allora non c’erano i cellulari, non c’erano i satellitari, non c’erano tante cose. A un certo punto non riuscivo più a stare in casa, avevo bisogno di vedere questa persona e quindi mi recai in questa piccola città verso le Cinque Terre. Non era facile ma riuscii a trovare la macchina con cui lei era andata in spiaggia e allora le lasciai una lettera, semplicemente. E nel tornare a casa provavo sempre quel senso di smarrimento totale. Penso che sia stata una delle cose più belle che mi siano mai capitate, questo voler rivedere a tutti i costi una persona e non conoscere la strada. Il senso è nel non riuscire ad aspettare perché hai questa esigenza di vederla e poi lasciarle questa lettera. Alla fine ci siamo poi risentiti.
- Andiamo a esaminare l’aspetto più musicale. Il tuo è un pop scintillante, ricco di rimandi al cantautorato tradizionale. Nelle strofe di “Marj Lù” ci ho sentito un po’ di Bennato, ma anche di Battiato nella terminologia che hai usato in “Superfluo”. La tua crescita come cantautore si alimenta di nuova musica o tendi, come molte persone, andando avanti con l’età a tornare agli album che ami da sempre, non avendo più lo stimolo per andare ad esplorare nuova musica?
- Direi che è un mix di entrambe le cose, naturalmente sono molto ancorato a tutto quello che è il mio background musicale accumulato da adolescente, da ragazzo perché ovviamente è ciò che ti segna, tutti quei riferimenti ci sono, ci saranno. Ma mi piace anche andare ad ascoltare cose nuove, soprattutto per quanto mi riguarda il jazz e la musica classica, che però in realtà ho sempre ascoltato parecchio. Mi piace anche ogni tanto comporre qualche brano di musica classica e ho avuto la fortuna di poter donare questi brani un paio di volte a una pianista che fa la concertista ed è qualcosa che mi affascina, anche se poi al pianoforte non sono bravissimo, riuscire a comporre queste cose. E poi ascolto a 360 gradi, non ho preclusioni. Chiaramente non mi piace tutta la musica nuova che ascolto, ma trovo che ci siano cose molto interessanti anche tra le nuove generazioni, che però restano poco conosciute. Mi riferisco per esempio al primo Lucio Corsi che mi ha fatto conoscere mia figlia e che non conoscevo. E anche altri di quella scena come Venerus che non mi dispiace. Quindi ho imparato a selezionare, ad ascoltare anche ciò che di solito si esclude a priori perché si è troppo ancorati al background. Ho sempre ascoltato un po’ di tutto e continuerò a farlo e mi piace esplorare anche la musica contemporanea. E’ un po’ come vedere dei quadri nuovi. Posso ascoltare anche musica industriale che è pesante da ascoltare, però a me piace esplorare e poi valutare.
- In “Superfluo” dipingi lampi che feriscono, malesseri, macchinari bellici, in contrasto c’è questa necessità di rendersi padroni e lasciarsi andare a quello che ci fa stare bene come il vento tra i capelli.
Possiamo ancora essere padroni di noi stessi senza isolarci?
- Dobbiamo cercare di esserlo, lo vedo molto difficile però non è così impossibile. Si tratta di avere una visione realistica e obiettiva di quello che ci circonda, che non è facile. Però credo che sia nostro dovere tentare di esserlo, ribellarsi a determinati schemi, a finti perbenismi, all’essere inquadrato in un certo modo. Possiamo essere padroni senza per questo scatenare una rivoluzione. Credo che la presa di coscienza che vedo molto nelle nuove generazioni sia la strada. Avere delle responsabilità, dei doveri non significa rinunciare a tutto quello che ritieni giusto per te e per chi ti sta vicino. Anche a livello di civiltà, di senso civico dobbiamo cercare in qualche modo di essere padroni.
- In “Bugie” esprimi il concetto che non si può sempre indovinare il verso giusto, la perfezione, infatti, come scrivi, ci troviamo spesso naso al pavimento. Quanto è importante ammettere i nostri difetti? Senti che la tua maturazione come persona ti ha messo in pace con i tuoi difetti? 
- No, la mia maturazione li ha smascherati, li accetta, sono tantissimi, forse anche molti di più di quelli che pensavo però li accetto. Sono parte del tutto e ignorarli secondo me forse è deleterio. A me aiutano a crescere. Poi è chiaro che “errare humanum est perseverare autem diabolicum” (ndr sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico). I difetti sono anche una parte bella di noi se riusciamo ad accettarli. 
- Parliamo un attimo di “Brividi”. Il brivido è la necessità di trovare qualcosa che faccia vibrare le corde dell’anima?
- Sì è così, il brivido è il desiderio di un’emozione, di qualcosa che ti faccia vibrare le corde dell’anima, che ti appaghi, che plachi quella sete che hai e che a volte non sai descrivere. Qualcosa che esula, che può essere anche una sana follia diceva Erasmo da Rotterdam. E’ assolutamente una necessità.
- In “Domenica” c’è la necessità di trovare l’armonia, parli ad un certo punto del testo di un quadro di Gauguin. E’ un pezzo sulla ricerca di un’esistenza più autentica? 
- Sì, in quella canzone c’è proprio una sensazione che io mi porto dietro delle domeniche quando senti che c’è qualcosa di diverso, più del sabato. Perché il sabato è più una festa, mentre la domenica sei un passo avanti ma anche un passo indietro dal punto di vista della quiete interiore. C’è anche noia per certe domeniche che non sai come passare, però è bello vedere le cose con rilassatezza. Sei un po’ più consapevole del fatto che il tempo in quel momento ha delle maglie più larghe del solito e questo permette a molte cose di fluire, anche i pensieri malinconici.
- L’ultimo pezzo dell’album “A tarda notte” è una deviazione sia sonora che lirica rispetto agli altri brani. Ci sono suoni elettropop anni 80, l’atmosfera è più rarefatta. Per te la musica è un’ambientazione sonora per i testi o viceversa sono i testi ad essere complementari alla musica?
- Credo un po’ entrambe le cose. In questo caso specifico è stata una deviazione molto voluta perché questo album parla di uscire dalla routine, in qualche modo tutti i personaggi hanno un’esigenza o una personalità che li porta ad uscire. Loro stessi lo desiderano, anche se non è detto che ci riescano e la notte è il rifugio, la tana, il nido per ritrovarsi, puoi fare tardi, puoi far pace o litigare con te stesso. La notte è affascinante, puoi parlare alle persone con una luce diversa negli occhi. Volevo proprio un cambio di registro sonoro che fosse anche un po’ tetro, ma non in un’accezione negativa. In questo caso la musica è molto funzionale al testo, anche se in genere musica e testo sono abbastanza complementari, soprattutto quando lavori in studio e ci si confronta con chi ti segue. In questo caso il produttore è stato LeLe Battista, e quindi è stato facile trovare il vestito adatto. 
- A proposito di LeLe Battista come vi siete conosciuti e come avete deciso di collaborare? 
- Con LeLe c’è un’amicizia storica, ci conosciamo dai tempi in cui lui suonava nel gruppo (ndr La Sintesi) e io l’ho sempre ammirato sia prima che dopo come solista, per me rimane uno degli artisti più grandi. Siamo sempre andati d’accordo, c’è molta stima reciproca, amicizia, per cui mi ha sempre aiutato anche nei precedenti album e mi riesce abbastanza facile andare da lui e fargli sentire il brano perché so già che il vestito sarà il più adatto. Siamo della stessa età ed è molto più facile confrontarsi.
- Chi ha suonato con te nell’album?
- LeLe, oltre che produttore, ha suonato il synth, il basso in alcuni pezzi e tastiere, mentre la batteria è opera di Maurizio Gaggianesi, che è un grande personaggio e amico. E a questo proposito vorrei raccontarti un aneddoto che ho sempre in mente. Ci avevano chiamato a fare un’esibizione per la settimana in musica di giugno ed eravamo io, un altro musicista che ti presenterò, e Maurizio che è arrivato all’appuntamento con 39 di febbre, un labbro gonfio, un ematoma pazzesco. Io gli ho detto “ma come fai?” e lui: “non ti preoccupare ce la faccio”. Arriviamo sul posto e stavo pensando a come avrebbe fatto a suonare, abbiamo fatto il check e lui era talmente sconvolto, distrutto che gli ho suggerito di andare a casa, alché mi ha risposto: “facciamo così io mi siedo qua mentre voi mangiate qualcosa e quando avete finito mi svegliate e io suono”. Ed è stato veramente così. Davvero una grande persona e un gran musicista, una certezza. Tornando alla formazione dell’album, alle chitarre ha suonato in quattro brani Evasio Muraro, grande artista che già negli anni 80 e 90 con i Settore Out aveva fatto bellissime cose, da cui ho imparato tanto ed è un uomo da palco. Il resto delle chitarre le ho incise io. In questo album ho provato un po’ a sperimentare suoni e pur non essendo un virtuoso sono contento di quello che ho tirato fuori. Mi sono divertito, ho suonato anche un po’ il pianoforte e il basso. E’ stato fatto di tutto per cercare un amalgama sonoro in alcuni casi più difficile da trovare e LeLe ha fatto un lavoro pazzesco per dare coerenza al tutto.


 “Il primo bacio nel pomeriggio” è un album in cui si respira totale libertà creativa e l’autenticità di chi scrive canzoni solo quando ha veramente qualcosa da dire. Un album di musica significativa che forse non potrà cambiare il mondo, ma ha il potere di cambiare le persone.
 

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