In un freddo sabato sera di novembre sono venuti a scaldarci gli animi al Baraonda nientepopo’dimenoche i Diaframma.
Il Baraonda pian piano inizia a riempirsi di pubblico e dopo un paio d’ore dal nostro arrivo inizia il concerto. Con “Siberia”, chiaramente. Da lì in poi i grandi classici si affiancano alle nuove canzoni dell’ultimo cd (“Perso nel vortice” uscito di recentissimo).
Mi fermo un po’ ad osservare il pubblico. Mi strappano un sorriso i due ragazzi sulla trentina di fronte a me: sono l’uno l’opposto dell’altro, uno immobile, l’altro sembra una salamandra in preda al ritmo (alla fine però, sulle note di “Vaiano” anche l’immobile si scioglie, fortunatamente).
Alla mia destra, invece, c’è il gruppo degli aficionados: testa pelate o imbiancate, insomma “ragazzi” che i trenta li hanno già visti passare, e che sono in formissima. Ballano, pogano, si esaltano e – soprattutto – cantano, a pieni polmoni, non perdendo un singolo verso, noto qualche incertezza solo sulle canzoni dell’ultimo cd, ma sono perdonati. Tra loro, in particolare, un uomo focalizza la mia attenzione, principalmente per due motivi: o Zagor dei Camillas è venuto a sentire i Diaframma a Massa, o Zagor dei Camillas ha un sosia. Non ho ancora deciso.
Comunque, tralasciando ciò, il concerto procede duro e puro: “Claudia mi dice”, “L’Amore è un ospedale”, “Hell’s Angel”, “Labbra blu”, “Fiore non sentirti perso”, “Diamante grezzo”, “Blu petrolio”, “L’odore delle rose”, “Amsterdam” e tante tante altre canzoni ci fanno compagnia fin dopo l’una di notte. Fiumani avverte che onde evitare di scaldare troppo gli animi “i pezzi veloci come Gennaio non li facciamo”, le prime file (gli aficionados di cui sopra, in particolar modo) devono stare calmi, insomma, se vogliono goderseli. Così la scaletta si fa lenta e i pezzi da pogo duro senza paura vengono lasciati da parte. La scaletta si fa così lenta e romantica che Fiumani ci canta un cover di Celentano “Una carezza in un pugno”, per l’esattezza.
I Diaframma scendono poi dal palco, ma dopo una manciata di minuti rieccoli lì, pronti.
Stefano (per gli amici di Riserva Indie “StèdelTago”) si trova a fare una sorta di servizio d’ordine improvvisato per evitare giusto che il pogo arrivi fin sul palco e che Fiumani e gli altri prendano delle ricche microfonate sulle gengive. Parte “Gennaio” e tutti gli altri pezzi che aspettavamo sin dall’inizio. “Madre superiora”, “Giovanna dice”, “Mi sento un mostro” ed altre ancora.
Il concerto è stato uno di quei concerti che ti lasciano qualcosa dentro. Qualcosa di bello e di importante.
Peccato solo non aver chiacchierato con Fiumani. Avrei avuto un miliardo di cose da chiedergli, da dirgli, semplicemente ringraziarlo per qualcosa. E invece l’ho solo aiutato ad aprire la porta esterna del Baraonda mentre smontava. Va beh. Saranno per la prossima.
Testo di Flavia,foto e video di Samuel Fava
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