martedì 1 novembre 2016

PJ HARVEY LIVE ALL'OBIHALL DI FIRENZE IL 24-10-2016 // RECENSIONE DI MATTIA CORSI E FOTO DI RICARDO MARTILLOS


Durante il viaggio di ritorno dal live di PJ Harvey a Firenze, un concetto albergava nella mia testa. Un concetto molto più preponderante rispetto ai soliti pensieri postconcerto. Quando succede realmente che noi appassionati o semplici ascoltatori riusciamo a capire di essere di fronte a uno spettacolo non comune? Quali sono gli elementi che durante un live ci danno la possibilità di concepire che l'artista che stiamo osservando sta eseguendo qualcosa di unico?
Mi sono innamorato dell'artista del Dorset da "Stories from the city, stories from the sea" del 2001. Quel disco per me è stato fondamentale, mi ha inserito perfettamente dentro il mondo della Harvey. Tutta la mia passione per lei nasce e si dirama da quel disco. Probabilmente per dare una risposta alle mie domande basterebbe affidarsi alla mia dedizione per l'artista che stavo vedendo. Basterebbe rendersi conto che suonare canzoni così belle e complesse come quelle scelte per la scaletta di Firenze, non capita tutti i giorni. Basterebbe capire che nove elementi come quelli che compongono la band di PJ rendono il collettivo una specie di supergruppo senza precedenti.


Ma ancora non basta. Per essere unici non basta essere perfetti. Ciò che è emerso dalla serata dell'Obihall è stato un solo e semplice concetto. Il concetto stesso. Tutto lo spettacolo è stato pensato ed eseguito per rendere e dare una forza emotivamente incalcolabile alle tematiche presenti in "Hope six demolition project" e "Let England shake". Tutti gli elementi della band, compresa Polly Jean, attraverso il modo di approcciarsi alla canzone sembravano parte di una rappresentazione teatrale. Temi come la guerra, il potere, lo sfruttamento, la desolazione e la morte, ricevevano una potenza evocativa emozionante. Canzoni come "Dollar, Dollar" e "River Anacostia", prese direttamente dall'ultima produzione, ottengono una rilevanza a livello concettuale, che le portano a essere i veri picchi della serata, al netto delle riproposizioni di alcuni classici intramontabili ("50 ft queenie", "Down By The Water", "To Bring You My Love").
Quando succede di trovarsi di fronte ad artisti del genere, si tende a capire quanto sia importante la musica a livello sociale. Quanto sia importante nella musica, come nella vita, avere davvero qualcosa da dire e cercare di esprimerlo con forza. E soprattutto di quanto sia essenziale rendersi conto che per quello che ha fatto, sta facendo e farà PJ Harvey, non è mai troppo tardi per accorgersi che siamo di fronte a un'artista e una donna incredibile. 


Recensione di Mattia Corsi






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