giovedì 21 aprile 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 12: SIMBOLICAMENTE PIAZZATA SOPRA LA TAZZA DEL CESSO - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco "Simbolicamente piazzata sopra la tazza del cesso", il dodicesimo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì dal 4 Febbraio. Guy e Vicni, in arte 2 Dualità, non prima d'esser tornati sulle vicissitudini della data romana del tour finanziato dai fans con una campagna di crowdfunding, si apprestano a godersi un meritato day-off. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.



Capitolo 12
Simbolicamente piazzata sopra la tazza del cesso

Rimasero finalmente soli. Erano le ore notturne al confine con l’alba. Da fuori si udivano tenui pigolii di uccellini e un più sostanzioso sferragliare di mezzi motorizzati. Avevano una stanza con letto a castello, ma solo una lampada funzionante, quella di sotto, sicché lei si ritrovò al buio non appena spenta la luce grande. S’erano portati in camera più cose che potevano, anche strumenti. Le cronache di furgoni di musicisti scassinati e depredati d’ogni bene erano purtroppo assai frequenti. In quella città del cazzo, poi, nemmeno un accendino usato avrebbero avuto l’azzardo di lasciare incustodito.
Impossibilitati a parcheggiare la Luna in un luogo sicuro, avevano compiuto l’ennesimo scarico, già stremati dalla serata. Pareva di stare in un ripostiglio stipato all’inverosimile. Persino in bagno, tra spazzolini, flaconi di shampoo e creme struccanti, facevano capolino pezzi di batteria e vari cavi di alimentazione, mentre la valigetta con la pedaliera degli effetti di chitarra era stata simbolicamente piazzata sopra la tazza del cesso.


“Quante ore di sonno abbiamo all’incirca?”, domandò Vicni, terrorizzata dal guardare l’orologio.
“Dipende quando decidiamo di alzarci. Alle undici e trenta abbiamo l’intervista negli studi di Radio Fregola.”
“Più a ridosso possibile! Metti la sveglia alle dieci e venticinque.”
“Sì dai, ce la facciamo in un’oretta, la radio è in zona.”
“Io sono a pezzi, fratellino. E lo sarò anche quando mi sveglierò. Facciamo questa benedetta intervista, ci godiamo il day off lontani dall’inferno romano e l’indomani ci svegliamo pimpanti per il prossimo concerto.”
Guy, da sotto, confermò con la testa. Non potendolo vedere, Vicni lo interpretò come silenzio–assenso e divenne meno apprensiva al pensiero di non addormentarsi in tempi brevi. Anzi, la conversazione riprese quota.
“Comunque al di là di tutto il sudiciume”, osservò lui, “il milanese romanizzato, quella mandria di musicanti da strapazzo, quell’altra mandria informe dei loro fan eccetera, per noi è stata una bella vetrina. Abbiamo venduto più merchandising che nelle prime tre date del tour messe assieme!”
“Secondo me alcuni volevano comprare la roba dei Solarium e nel casino hanno preso per sbaglio la nostra.”
“Non lo escludo. Prendi il quoziente intellettivo di quelli che sono transitati al banchetto, fai la somma e verrà fuori una specie estinta di ornitorinco.”
Ù ù ù ù ù”, fece Vicni, col gesto della banana a corredo dell’equiparazione tra romani e primati. Si disimpegnò poi a inveire ai danni di quell’ignorantone di Tommaso Inattesa e dei suoi patetici tentativi d’imbrocco.
“Reginetta di bellezza, sappi che a me è andata molto peggio”, confessò Guy, quindi le raccontò l’esperienza avuta nell’ultima sortita fuori dal banchetto merchandising, appena concluso l’assalto postconcerto dei fan.
Vagando nei paraggi del camerino, momentaneamente off limits in quanto appaltato alle voglie lubriche dei Solarium & Omicidi e delle loro assatanate seguaci, si era imbattuto in una ragazza che, rimbalzata dall’harem, non si dava pace per l’impossibilità di accogliere in sé il cazzo di uno dei musicisti.
A ben vedere, appariva ragionevole che le fossero state preferite altre femmine per soddisfare gli appetiti dei musicisti. Era una buzzicona di proverbiale rozzezza, con un cesto di riccioli biondi a sovrastare il viso gonfio ed esageratamente imbevuto di fondotinta e il fisico sfatto come nemmeno dopo sei gravidanze. I jeans xl mettevano in risalto un culo altrettanto abbondante, e le braccia, scoperte da una maglietta con le maniche tagliate di traverso, erano poderosi rotoli di adipe.
“Nun me fanno entrà ’sti fiji de buona donna”, s’era lamentata, non si capiva se parlando da sola a voce alta o rivolta al nuovo arrivato.
“Si vede che sono al completo. I camerini sono molto più piccoli di come sembrano da fuori”, aveva risposto un sorridente ma cauto Guy. Leggeva la fame negli occhi di Arputeglia, e presumeva d’essere un potenziale obiettivo per il suo cenone.
“Pure tu stavi sur palco”, aveva argomentato, confermando i suoi sospetti.
“2 Dualità. Abbiamo aperto il concerto ai Solarium & Omicidi. Siamo in tour grazie a una campagna di crowdfunding che in questi giorni ci sta portando a suonare varie parti d’Italia…”
Nel tentativo di distrarla, aveva fatto un po’ di promozione, ma aveva ottenuto l’unico effetto di ingrifare ulteriormente la ragazza, che aveva preso a chiamarlo Guido con un’immaginifica assonanza interpretata a suo modo.
“A me i musicisti so’ er top”, aveva proclamato Arputeglia, che nel parlare non lesinava palpeggiamenti alle braccia e al petto di Guy.


“E beh.” Rara occasione in cui Guy non sapeva cosa dire, e soprattutto non sapeva cosa fare. L’istinto primario, quello di sopravvivenza, gli suggeriva di dileguarsi nel giro di trenta secondi. Invece era rimasto alla mercé di Arputeglia, la quale, dopo avergli fatto altri complimenti, sempre nel suo stile non proprio da fine dicitrice, s’era infine sollevata la maglietta, mostrandogli due tette faticosamente contenute da un reggiseno bianco, trasparente in alcuni punti e ricamato nella zona dei capezzoli. Finanche nella semioscurità di quell’anfratto dell’And Vedy Tea Oh, ai confini del backstage e a un tiro di schioppo dalla perdizione, il seno ingombrante di Arputeglia si stagliava come un totem che, rianimatosi d’un tratto, era pronto a schiudersi e schiacciare ogni forma di vita presente nei paraggi.
“A Guido, dimme la verità, n’n’a’hai mai viste du’ zinne come le mie. Mett’e’mani qua!”
“Gliele hai toccate?”, domandò Vicni, ascoltando dell’aspirante groupie all’assalto del suo ometto così ligio alle proprie tendenze omosessuali.
No! Cioè, lei mi ha preso le mani e me la pigiate sulle poppe. Poi è passata al livello successivo, strusciandomi la passera sul pacco. Ti giuro che riuscivo a sentire lo sfrigolio delle cerniere lampo che si scontravano. Era totalmente andata! Per questo sono riuscito a liberarmi e battere in ritirata. Mi sono scollato dicendo che se mi vedeva la mia fidanzata, tu nella fattispecie, era la fine. Non credo abbia afferrato appieno, ma almeno non m’ha inseguito. Fosse successo a ruoli invertiti, sarei finito ar gabbio per molestie sessuali!”
Fuggito dalle profferte di Arputeglia, s’era rifiondato di gran carriera al merchandising, risalendo dalla brace nella padella, giacché era in corso un vertice di raffinati intellettuali, capitanati da un Cecchia scatenato.
“Aò a regà, da paura!”, stava strepitando, cercando di coinvolgere nella sua foia l’intero circondario. “Quando stavate a fa’ ‘Così lontani così diversi’ pareva che staveno a tremà li muri. Io ce sto in fissa c’a’a canzone lì, me possino cecarme, hai capito come?”
“Ho capito, ho capito, so’ capiente”, gli aveva risposto un altro romanaccio, senza che peraltro la domanda retorica di Cecchia fosse indirizzata a lui. Questi, peraltro, aveva proseguito a furoreggiare.
“Io me penzo che voi siete ’r futuro d’a’a musica italiana n’a’a direzione der pop de qualità, quello che sta contaminato co’e’e nuove tendenze de oltremanica, de oltreoceano, de oltrecortina, me capite?”
“T’o’ho già detto, so’ capiente”, s’inserì ancora quello. Capiente era uno dei finanziatori del crowdfunding, venuto a incassare la ricompensa. Era un individuo cristallinamente anonimo, fatta eccezione per la proterva romanità. Ribadendo a più riprese d’esser capiente, Capiente faceva da spalla comica a Cecchia in una curiosa rivisitazione del classico duo da avanspettacolo. Nel loro caso, lo stordito che propende al vaniloquio e il doddo che non capisce una mazza ma cerca di restare al passo, entrando di continuo a sproposito nei discorsi dell’altro. Il sorriso di Guy era tirato come quello di una diva del cinema in là con gli anni che s’è tolta le rughe e rifatta le labbra dal chirurgo plastico. A un certo momento, Cecchia se n’era andato. S’era congedato continuando a sbrodolare elogi senza costrutto e riproponendo la confusa tiritera secondo cui quel concerto era stato patrocinato anche da lui.


Risolta quell’ingombrante e fastidiosa presenza, Guy e Vicni si erano dovuti cibare i finanziatori, otto tra ragazze e ragazzi. Liberi dai vincoli imposti dallo strapotere di Cecchia, avevano potuto sguinzagliarsi, tempestandoli di domande e richieste, la più pressante delle quali consisteva nel rivedersi e passare insieme la giornata seguente. Tutti, infatti, davano per scontato che 2 Dualità avrebbero trascorso il day off nella città eterna. Con fermezza ma fingendo rincrescimento, Guy aveva frustrato i loro piani di devastazione psicologica, assicurando che sarebbero ripartiti presto. Sconfitti dall’evidenza, i fan si erano fatti più mansueti, e il loro contegno da cani bastonati aveva concesso un po’ di respiro a Guy e Vicni, che iniziavano a intravedere lo striscione del traguardo.
“Tra le bocce smagliate della buzzurra e quell’altra corte dei miracoli, mi sentivo preso tra due fuochi”, ammise Guy. “Tipo scegli di che morte morire.”
“Guy, forse dovresti iniziare a fare la rockstar a tutto tondo e cedere al calore delle tue fan. Ti assicuro che le donne possono dare tanto!”
“Splendore nel buio, io con le donne ci sono stato. Anche prima che con gli uomini. La prima volta in assoluto, è stata con mia cugina. Avevamo quattordici anni. Un giorno entrò in una stanza dove c’ero io che mi stavo spogliando. Al posto di scappar via come ho fatto io stanotte, si avvicinò e mi chiese se poteva toccarmi. Io m’ero tutto intirizzito e lei non aveva idea di come maneggiare un cazzo. Lo agitò a casaccio in tutte le direzioni, senza che nemmeno mi diventasse duro. Fece questo lavoro in silenzio, forse cinque minuti, forse meno. Anch’io non dissi nulla, guardavo alla finestra e lei continuava a muovere la mano senza che succedesse nulla. Alla fine smise, se ne andò e finì lì. Poi ho avuto delle storielle, roba da ragazzini; quando facevamo l’amore, cercavo di convincermi che mi piaceva, mentre in segreto pensavo a un mio compagno di classe o a un altro ragazzo con cui andavo a lezione di chitarra.”
“Non me l’avevi mai raccontato.”
“Non me l’avevi mai chiesto. Se per questo, nemmeno io ti ho mai chiesto nulla sulla tua inattaccabile vita privata.”
“Hai fatto bene. Non c’è molto da raccontare.”
“Però sarebbe carino se mi raccontassi qualcosa”, insisté lui. “Io ti ho raccontato queste cose che non avevo mai raccontato a nessuno. Per pareggiare, anche ora tu dovresti svelarmi un tuo segreto!”
“I miei segreti non sono simpatici e innocenti come i tuoi. I miei segreti sono segreti. Buonanotte, Guy.”
Da sopra, non giunse più alcun suono, tranne il lieve brusio del respiro della ragazza. Guy spense la luce e cercò a sua volta di dormire.


Testo di Ljubo Ungherelli

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