Ecco "Simbolicamente piazzata sopra la tazza del cesso", il dodicesimo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì dal 4 Febbraio. Guy e Vicni, in arte 2 Dualità, non prima d'esser tornati sulle vicissitudini della data romana del tour finanziato dai fans con una campagna di crowdfunding, si apprestano a godersi un meritato day-off. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.
Capitolo 12
Simbolicamente piazzata sopra
la tazza del cesso
Rimasero
finalmente soli. Erano le ore notturne al confine con l’alba. Da fuori si
udivano tenui pigolii di uccellini e un più sostanzioso sferragliare di mezzi
motorizzati. Avevano una stanza con letto a castello, ma solo una lampada
funzionante, quella di sotto, sicché lei si ritrovò al buio non appena spenta
la luce grande. S’erano portati in camera più cose che potevano, anche
strumenti. Le cronache di furgoni di musicisti scassinati e depredati d’ogni
bene erano purtroppo assai frequenti. In quella città del cazzo, poi, nemmeno
un accendino usato avrebbero avuto l’azzardo di lasciare incustodito.
Impossibilitati
a parcheggiare la Luna in un luogo sicuro, avevano compiuto l’ennesimo scarico,
già stremati dalla serata. Pareva di stare in un ripostiglio stipato
all’inverosimile. Persino in bagno, tra spazzolini, flaconi di shampoo e creme
struccanti, facevano capolino pezzi di batteria e vari cavi di alimentazione,
mentre la valigetta con la pedaliera degli effetti di chitarra era stata
simbolicamente piazzata sopra la tazza del cesso.
“Quante
ore di sonno abbiamo all’incirca?”, domandò Vicni, terrorizzata dal guardare
l’orologio.
“Dipende
quando decidiamo di alzarci. Alle undici e trenta abbiamo l’intervista negli
studi di Radio Fregola.”
“Più
a ridosso possibile! Metti la sveglia alle dieci e venticinque.”
“Sì
dai, ce la facciamo in un’oretta, la radio è in zona.”
“Io
sono a pezzi, fratellino. E lo sarò anche quando mi sveglierò. Facciamo questa
benedetta intervista, ci godiamo il day
off lontani dall’inferno romano e l’indomani ci svegliamo pimpanti per il
prossimo concerto.”
Guy,
da sotto, confermò con la testa. Non potendolo vedere, Vicni lo interpretò come
silenzio–assenso e divenne meno apprensiva al pensiero di non addormentarsi in
tempi brevi. Anzi, la conversazione riprese quota.
“Comunque
al di là di tutto il sudiciume”, osservò lui, “il milanese romanizzato, quella
mandria di musicanti da strapazzo, quell’altra mandria informe dei loro fan
eccetera, per noi è stata una bella vetrina. Abbiamo venduto più merchandising
che nelle prime tre date del tour messe assieme!”
“Secondo
me alcuni volevano comprare la roba dei Solarium e nel casino hanno preso per
sbaglio la nostra.”
“Non
lo escludo. Prendi il quoziente intellettivo di quelli che sono transitati al
banchetto, fai la somma e verrà fuori una specie estinta di ornitorinco.”
“Ù ù ù ù ù”, fece Vicni, col gesto della
banana a corredo dell’equiparazione tra romani e primati. Si disimpegnò poi a
inveire ai danni di quell’ignorantone di Tommaso Inattesa e dei suoi patetici
tentativi d’imbrocco.
“Reginetta
di bellezza, sappi che a me è andata molto peggio”, confessò Guy, quindi le
raccontò l’esperienza avuta nell’ultima sortita fuori dal banchetto
merchandising, appena concluso l’assalto postconcerto dei fan.
Vagando
nei paraggi del camerino, momentaneamente off
limits in quanto appaltato alle voglie lubriche dei Solarium & Omicidi
e delle loro assatanate seguaci, si era imbattuto in una ragazza che,
rimbalzata dall’harem, non si dava pace per l’impossibilità di accogliere in sé
il cazzo di uno dei musicisti.
A
ben vedere, appariva ragionevole che le fossero state preferite altre femmine
per soddisfare gli appetiti dei musicisti. Era una buzzicona di proverbiale
rozzezza, con un cesto di riccioli biondi a sovrastare il viso gonfio ed
esageratamente imbevuto di fondotinta e il fisico sfatto come nemmeno dopo sei
gravidanze. I jeans xl mettevano in risalto un culo altrettanto abbondante, e
le braccia, scoperte da una maglietta con le maniche tagliate di traverso,
erano poderosi rotoli di adipe.
“Nun
me fanno entrà ’sti fiji de buona donna”, s’era lamentata, non si capiva se
parlando da sola a voce alta o rivolta al nuovo arrivato.
“Si
vede che sono al completo. I camerini sono molto più piccoli di come sembrano
da fuori”, aveva risposto un sorridente ma cauto Guy. Leggeva la fame negli
occhi di Arputeglia, e presumeva d’essere un potenziale obiettivo per il suo cenone.
“Pure
tu stavi sur palco”, aveva argomentato, confermando i suoi sospetti.
“2
Dualità. Abbiamo aperto il concerto ai Solarium & Omicidi. Siamo in tour
grazie a una campagna di crowdfunding
che in questi giorni ci sta portando a suonare varie parti d’Italia…”
Nel
tentativo di distrarla, aveva fatto un po’ di promozione, ma aveva ottenuto
l’unico effetto di ingrifare ulteriormente la ragazza, che aveva preso a
chiamarlo Guido con un’immaginifica assonanza interpretata a suo modo.
“A
me i musicisti so’ er top”, aveva proclamato Arputeglia, che nel parlare non
lesinava palpeggiamenti alle braccia e al petto di Guy.
“E
beh.” Rara occasione in cui Guy non sapeva cosa dire, e soprattutto non sapeva
cosa fare. L’istinto primario, quello di sopravvivenza, gli suggeriva di
dileguarsi nel giro di trenta secondi. Invece era rimasto alla mercé di
Arputeglia, la quale, dopo avergli fatto altri complimenti, sempre nel suo
stile non proprio da fine dicitrice, s’era infine sollevata la maglietta,
mostrandogli due tette faticosamente contenute da un reggiseno bianco,
trasparente in alcuni punti e ricamato nella zona dei capezzoli. Finanche nella
semioscurità di quell’anfratto dell’And Vedy Tea Oh, ai confini del backstage e
a un tiro di schioppo dalla perdizione, il seno ingombrante di Arputeglia si
stagliava come un totem che, rianimatosi d’un tratto, era pronto a schiudersi e
schiacciare ogni forma di vita presente nei paraggi.
“A
Guido, dimme la verità, n’n’a’hai mai viste du’ zinne come le mie. Mett’e’mani
qua!”
“Gliele
hai toccate?”, domandò Vicni, ascoltando dell’aspirante groupie all’assalto del
suo ometto così ligio alle proprie tendenze omosessuali.
“No! Cioè, lei mi ha preso le mani e me
la pigiate sulle poppe. Poi è passata al livello successivo, strusciandomi la
passera sul pacco. Ti giuro che riuscivo a sentire lo sfrigolio delle cerniere
lampo che si scontravano. Era totalmente andata! Per questo sono riuscito a
liberarmi e battere in ritirata. Mi sono scollato dicendo che se mi vedeva la
mia fidanzata, tu nella fattispecie, era la fine. Non credo abbia afferrato
appieno, ma almeno non m’ha inseguito. Fosse successo a ruoli invertiti, sarei
finito ar gabbio per molestie
sessuali!”
Fuggito
dalle profferte di Arputeglia, s’era rifiondato di gran carriera al
merchandising, risalendo dalla brace nella padella, giacché era in corso un
vertice di raffinati intellettuali, capitanati da un Cecchia scatenato.
“Aò
a regà, da paura!”, stava strepitando, cercando di coinvolgere nella sua foia
l’intero circondario. “Quando stavate a fa’ ‘Così lontani così diversi’ pareva che staveno a tremà li muri. Io
ce sto in fissa c’a’a canzone lì, me possino cecarme, hai capito come?”
“Ho
capito, ho capito, so’ capiente”, gli aveva risposto un altro romanaccio, senza
che peraltro la domanda retorica di Cecchia fosse indirizzata a lui. Questi,
peraltro, aveva proseguito a furoreggiare.
“Io
me penzo che voi siete ’r futuro d’a’a musica italiana n’a’a direzione der pop
de qualità, quello che sta contaminato co’e’e nuove tendenze de oltremanica, de
oltreoceano, de oltrecortina, me capite?”
“T’o’ho
già detto, so’ capiente”, s’inserì ancora quello. Capiente era uno dei
finanziatori del crowdfunding, venuto
a incassare la ricompensa. Era un individuo cristallinamente anonimo, fatta
eccezione per la proterva romanità. Ribadendo a più riprese d’esser capiente,
Capiente faceva da spalla comica a Cecchia in una curiosa rivisitazione del
classico duo da avanspettacolo. Nel loro caso, lo stordito che propende al
vaniloquio e il doddo che non capisce una mazza ma cerca di restare al passo,
entrando di continuo a sproposito nei discorsi dell’altro. Il sorriso di Guy
era tirato come quello di una diva del cinema in là con gli anni che s’è tolta
le rughe e rifatta le labbra dal chirurgo plastico. A un certo momento, Cecchia
se n’era andato. S’era congedato continuando a sbrodolare elogi senza costrutto
e riproponendo la confusa tiritera secondo cui quel concerto era stato
patrocinato anche da lui.
Risolta
quell’ingombrante e fastidiosa presenza, Guy e Vicni si erano dovuti cibare i
finanziatori, otto tra ragazze e ragazzi. Liberi dai vincoli imposti dallo
strapotere di Cecchia, avevano potuto sguinzagliarsi, tempestandoli di domande
e richieste, la più pressante delle quali consisteva nel rivedersi e passare
insieme la giornata seguente. Tutti, infatti, davano per scontato che 2 Dualità
avrebbero trascorso il day off nella
città eterna. Con fermezza ma fingendo rincrescimento, Guy aveva frustrato i
loro piani di devastazione psicologica, assicurando che sarebbero ripartiti
presto. Sconfitti dall’evidenza, i fan si erano fatti più mansueti, e il loro
contegno da cani bastonati aveva concesso un po’ di respiro a Guy e Vicni, che
iniziavano a intravedere lo striscione del traguardo.
“Tra
le bocce smagliate della buzzurra e quell’altra corte dei miracoli, mi sentivo
preso tra due fuochi”, ammise Guy. “Tipo scegli di che morte morire.”
“Guy,
forse dovresti iniziare a fare la rockstar a tutto tondo e cedere al calore
delle tue fan. Ti assicuro che le donne possono dare tanto!”
“Splendore
nel buio, io con le donne ci sono stato. Anche prima che con gli uomini. La
prima volta in assoluto, è stata con mia cugina. Avevamo quattordici anni. Un
giorno entrò in una stanza dove c’ero io che mi stavo spogliando. Al posto di
scappar via come ho fatto io stanotte, si avvicinò e mi chiese se poteva
toccarmi. Io m’ero tutto intirizzito e lei non aveva idea di come maneggiare un
cazzo. Lo agitò a casaccio in tutte le direzioni, senza che nemmeno mi
diventasse duro. Fece questo lavoro in silenzio, forse cinque minuti, forse
meno. Anch’io non dissi nulla, guardavo alla finestra e lei continuava a
muovere la mano senza che succedesse nulla. Alla fine smise, se ne andò e finì
lì. Poi ho avuto delle storielle, roba da ragazzini; quando facevamo l’amore,
cercavo di convincermi che mi piaceva, mentre in segreto pensavo a un mio
compagno di classe o a un altro ragazzo con cui andavo a lezione di chitarra.”
“Non
me l’avevi mai raccontato.”
“Non
me l’avevi mai chiesto. Se per questo, nemmeno io ti ho mai chiesto nulla sulla
tua inattaccabile vita privata.”
“Hai
fatto bene. Non c’è molto da raccontare.”
“Però
sarebbe carino se mi raccontassi qualcosa”, insisté lui. “Io ti ho raccontato
queste cose che non avevo mai raccontato a nessuno. Per pareggiare, anche ora
tu dovresti svelarmi un tuo segreto!”
“I
miei segreti non sono simpatici e innocenti come i tuoi. I miei segreti sono
segreti. Buonanotte, Guy.”
Da
sopra, non giunse più alcun suono, tranne il lieve brusio del respiro della
ragazza. Guy spense la luce e cercò a sua volta di dormire.
Testo di Ljubo Ungherelli
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