giovedì 14 aprile 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 11: SOLO MOINE DA DECEREBRATI - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI



Ecco "Solo moine da decerebrati", l'undicesimo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva dal blog di Riserva Indie ogni Giovedì, dal 4 Febbraio, con licenza Creative Commons. Guy e Vicni, in arte 2 Dualità, continuano il tour finanziato dai fans attraverso una campagna di crowdfunding e si confrontano con la musica dei Solarium & Omicidi. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.



Capitolo 11
Solo moine da decerebrati

“Guy, ma non possiamo restare qui dentro un altro po’?” Guardai in alto, incrociando gli occhi, verdi e profondi, del mio cavaliere oscuro, che mi stava davanti, benevolo ma irremovibile.
“Dobbiamo sloggiare entro cinque minuti”, mi spiegò finendo di riabbottonarsi l’ennesima camicia del tour. “Il manager dei Solarium & Omicidi è stato chiaro. Devono allestire l’alcova per il dopoconcerto. Coraggio bellezza, è ora. Se poi esci di qui ancora in sottoveste, abbiamo ottime probabilità di raddoppiare le vendite del merch!”
Ero sempre riluttante a uscire dal camerino subito dopo il concerto. Stavolta di più, al pensiero di ritrovarmi assediata da quei vermi striscianti. Rimasi un ultimo istante ripiegata sulla poltroncina, col capo chino. Guy mi prese dolcemente la testa con tutt’e due le mani e se la poggiò sulla coscia. Fosse entrato qualcuno, vedendolo in piedi di spalle addosso a me seduta, avrebbe pensato a tutt’altro. In realtà Guy non stava reclamando un pompino. Mi fece un po’ di coccole, poi sempre con delicatezza mi mise le mani sulle spalle. Era un chiaro segnale per rompere gli indugi e andarcene. Per fortuna, i tecnici del locale e quelli a libro paga dei Solarium & Omicidi avevano già levato la nostra roba dal palco. Dovevamo soltanto recuperare gli effetti personali e filare.


Accolsi per metà il suggerimento di Guy: indossai il giubbotto di pelle senza cambiarmi la sottoveste con un abito più comodo. Lui tramite un fischio interpretò alla sua maniera l’opinione del maschio standard.
“Stanotte la più marcia gioventù de Roma avrà le vertigini ripensando al tuo clamoroso sex appeal!”, rincarò. “E impotenti e frustrati si disferanno di seghe sognando di possedere il tuo corpo!”
“Sei l’unico uomo che potrei degnare di considerazione nel raggio di mille chilometri”, avrei voluto rispondergli. Ma tenni fede al mio ruolo.
“E invece proprio come farai tu, si accontenteranno degli scarti lasciati sulla tavola dai Solarium”, replicai.
Lui non controbatté, né mollò la presa, che era soffice ma salda. Uscimmo mano nella mano dal camerino. Due scagnozzi dei Solarium & Omicidi ci aspettavano, pronti a fare irruzione casomai ci fossimo attardati. Superammo i secondini tirando a diritto. Dalla porta sul retro stavano rientrando i membri della band. Tazio Bautista detto il fornicatore ci salutò col gesto del pollice in su prima di sparire in camerino con gli altri. Guy ricambiò sorridendo.
“Con una sola occhiata t’ha fatto la radiografia, quel maiale da monta”, mi disse all’orecchio.
“Non che ci voglia molto. Sono già praticamente mezza nuda.”
“Però lo fai per ragion di stato, indi per cui è una nobile causa a volerti così irresistibilmente sexy!”
“Proprio. Chissà perché tra le ricompense del crowdfunding non c’è venuto in mente di mettere il calendario hot di Vicni”, commentai polemicamente.
“Non ci fai una bella figura quando sminuisci il tuo fascino”, disse Guy serio. “Chi ti vede così provocante e poi ti sente dire queste sciocchezze penserà tu sia in malafede. Testolina matta…” Mi sfiorò un angolo della fronte con le labbra. Era quanto di più vicino a un bacio potessi ricevere da lui.


Facendoci strada in un And Vedy Tea Oh gremito, raggiungemmo la zona deputata al merchandising. Avevamo allestito il banchetto prima del concerto, accanto a quello più sfarzoso dei Solarium & Omicidi, che in una botta di altruismo c’avevano permesso di stare lì e non relegati a distanza dal cuore degli affari. Guy si avvicinò al tipo che gestiva lo stand di quegli altri.
“Abbiamo già venduto un cd!”, mi annunciò tornandomi vicino, sfoderando la sua aria trionfalistica di facciata. “Ora però dobbiamo mettere le marce alte. Chi rimane qui fisso?”
“Tranquillo Guy, ci sto io. Tu però promettimi di ripassare spesso e di tenere sottocontrollo il telefono perché in questo bordello potrei aver bisogno di te e in fretta. Tipo per andare in bagno o a bere al bar o fuori a fumare.”
“Puoi contare su di me, principessa delle tenebre!”, mi rassicurò prima di allontanarsi. Era una delle poche certezze della mia vita: la costante presenza di Guy al mio fianco. Mi salì un groppo in gola a quel pensiero. Mi prese l’impulso irrazionale di richiamarlo immediatamente. Riuscii a resistere e pian piano a calmare i nervi.
Dopo qualche minuto, mi girai in direzione della sala, richiamata dal boato del pubblico. I Solarium & Omicidi erano saliti sul palco. Batterista, bassista, che aveva davanti a sé anche vari trabiccoli elettronici, tastiera e campionatore, e chitarrista. Si schierarono a ventaglio, lasciando un vuoto nel mezzo. I fan continuavano a vociare. Le urla d’acclamazione furono presto sommerse da una valanga di suoni sintetici che scatenarono il delirio.
Un minuto di musica ed ecco apparire il cantante. E le ovazioni tornarono a coprire i suoni che uscivano dalle casse. La silhouette del fornicatore dominava la scena. I musicisti facevano la figura della backing band di un artista solista, impalati e tenuti in disparte dalla debordante personalità del leader. Poi però, almeno a sentire quello che Tazio Bautista aveva detto a Guy, avevano tutti quanti il loro momento di gloria dietro le quinte.
Rividi il mio socio all’inizio della terza canzone del set dei Solarium. Mi venne accanto, sorridente ma taciturno nel marasma sonoro. Alla fine della terza canzone decisi di provare a fare un giro. Il locale era completamente impacchettato, era impossibile muoversi in libertà. La capienza era sui trecento spettatori, ma l’impressione era che ce ne fosse un migliaio. Non andai oltre il bancone del bar. Presi da bere e mi misi a guardare. E anche a riflettere.
Già durante il nostro concerto, l’And Vedy Tea Oh era abbastanza pieno e, romani a parte, era esaltante esibirsi in quelle condizioni. E non era un evento così frequente per un gruppo come il nostro.
Finito il nostro live e partito quello dei Solarium & Omicidi, la partecipazione era divenuta isteria collettiva. La sala, illuminata soltanto dalle luci di palco, era un magma di teste e mani che si agitavano senza sosta. Oltre ai display dei telefonini, che andavano su e giù da una parte all’altra.
Tutto ciò che accadeva sul palco era riconducibile alla figura di Tazio Bautista detto il fornicatore. Il quale alternava balletti sincopati da epilettico a pose statuarie, di certo per consentire alle sue fan di ammirargli il fisico e magari immortalarlo senza che le foto risultassero mosse.
Ogni dettaglio della sua performance era evidentemente ben studiato: dal modo in cui arringava la folla, al far ciondolare la mano che non teneva il microfono sotto il naso delle ragazze della prima fila, finché una di loro non gli si aggrappava e lui a mo’ di ancora di salvataggio restava lì incurvato, continuando a cantare nel tripudio generale.


Ecco, se a livello d’intrattenimento non gli potevo dir nulla, musicalmente i Solarium & Omicidi erano poca cosa, un gruppetto amatoriale che solo nel triste guscio dell’indie italiano poteva raccogliere un simile successo. Suonavano un banale techno pop romantico inglese anni Ottanta, però schematizzato nei canoni in voga da noi, cioè niente strofe e ritornelli immediati: al loro posto, l’indolente andazzo da cantautori leggeri ma allo stesso tempo pallosi alla morte, che si sentivano in dovere di sputarti in faccia le loro filosofie di vita, che poi erano seghe mentali, però messe giù con un tono intellettuale, così da far contenti i nostalgici della vecchia canzone italiana e i sapientoni delle nuove tendenze indie che arrivavano da noi dopo che nel resto del mondo erano già sfiorite da secoli.
Girai i tacchi, non prima che Tazio Bautista detto il fornicatore approfittasse di un break strumentale per lasciarsi cadere in braccio alle prime file e fare surf sulla testa della gente, che in estasi lo faceva fluttuare avanti e indietro, fino al ritorno sul palco. Fosse stato inghiottito dalle sue allupate fan, sarebbe stato un gran finale di concerto e soprattutto di carriera. Ma era riemerso e ce lo saremmo ritrovati tra le palle chissà per quanto. Avevo visto tutto quel che c’era da vedere. Tornai da Guy.
“La gente si beve proprio di tutto.”
“Io pure”, mi rispose. “Per sopportare questa tonnara ho perso il conto di quante consumazioni ho fatto fuori.”
“Questi schifosi poi non verranno a comprarci nemmeno una spilla.”
“Invece conto che qualcosa riusciamo a vendere. I Solarium giocano in casa, molta gente la loro roba già ce l’avrà. Noi per molti siamo una novità.”
“Una novità che non s’inculeranno di striscio.”
“Che linguaggio inappropriato a una signora”, rise Guy.
“Signora? Non vedo signore nei paraggi. La più elegante di queste troiette ti spara un bel rutto mentre sta per prendere in bocca il cazzo del suo tipo.”
“Tesoro, sei mitica quando parli da lesbica incazzata con le donne di bassa morale!”
“Perché mi sono allenata bene. Ce ne sono fin troppe di queste cretine su cui impratichirsi nel tiro al bersaglio. E non solo a Roma.”
“Non che con gli uomini stiamo messi meglio. Stiamo per avere visite, a quanto pare.”
Con manifesto disinteresse verso i bassi istinti dei fan dei Solarium & Omicidi, due individui si presentarono al banchino.
Uno era Nero Giardini, e faceva parte dei Brazilian Equinotio, famoso collettivo di area progressive. Così famoso che per me era un perfetto sconosciuto, ma ce la menò in maniera talmente ossessiva che in cinque minuti avevo imparato a memoria il suo curriculum.
Esteticamente era un sunto delle peggiori caratteristiche di hipster, intellettuali bohemien e residuati degli anni Settanta: capelli arruffati, baffetti, basco, occhiali per darsi un tono, sgargiante camicia vintage e pantaloni di velluto altrettanto stagionati, che per comprare quei vestiti dovevi essere un ricco figlio di papà che giocava a far l’artista. Era bolso e tarchiato, senza collo.
L’altro, con Nero Giardini che ragionava di stronzate con Guy, aveva approfittato per appiccicarmisi addosso come una ventosa. Tommaso Inattesa lo avevo sentito nominare, era uno dei tanti cantautori della nuova scuola romana. Se già la vecchia scuola era penosa, questi rampolli facevano addirittura rivalutare i loro inutili predecessori.
Mi faceva ribrezzo. Era dinoccolato e spigoloso, con un paio di ridicoli baffetti da sparviero su quella faccia priva d’interesse. Era vestito di tutto punto, giacca e cravatta. Cercando d’ignorare il ridicolo cappello a tesa larga che lo faceva sembrare ancor più insignificante di quanto già non fosse.
Faceva il galante, e siccome io gli avevo dato spago, nel senso che da principio ero stata ad ascoltarlo, e quindi secondo lui era un invito a insistere, mi mise alle corde con una mistura di cazzi suoi raccontati senza ritegno e domande puerili alla sottoscritta. Ero perduta, non potevo nemmeno invocare l’aiuto di Guy, sempre in balia di Nero Giardini.
“Me perdonassero er francesismo se ce stanno li francesi qua in giro, io c’ho pure stato a Parigi, ma penso che qui te fai ’na bella rottura de cojoni! Perché nun annamo a farse du’ giri de vino de li castelli all’osteria qua de fronte, ce sta un amico mio a servì a li tavoli.”
“Dobbiamo restare a controllare il banchetto.”
“Aò e ce lo so, stavo a scherzà! Però dopo, magari, anziché far chiusura co’sta banda de sciamannati… Io sto a fa’ un concerto domani. È ’na robba informale, ce stanno un po’ de amici, un po’ de vino e un po’ de chitare. Tanto uno er lunedì nun c’ha mai ’n cazzo da fa’, così se semo inventati ’ste serate tutti i lunedì. Me farebbe piacere se passi.”
“Dobbiamo ripartire presto domani.” Rispondevo come una macchinetta, ma quello seguitava.
“Mai ’na gioia in ’sta vita, a regazzì… C’a’a musica e c’a’a scrittura. Io si nun avrei avuto successo c’a’a musica c’a’avrei fatta c’a’a scrittura. Mo’ sto a scrive ’r nuovo racconto mio, ’na storia de un ragazzo colle pezze ar culo che però ebbe successo n’a’a musica e se sposa c’a’a ragazza dei suoi sogni. E come lo finisco lo mando a li amici miei che lavoreno da un editore. E je dicessero all’editore di pubblicarme sinnò me incazzo!”
“Anche il mio gatto fa lo scrittore.”
“Ahahah, anvedi, bella ’sta battuta, mo m’a’a segno, sei gajarda te! C’hai lo spleen, come se dice. Me fanno impazzì le donne così.”
Fui salvata dalla fine del concerto. Vedendo la fiumana che si stava per riversare fuori, Nero Giardini e Tommaso Inattesa fuggirono per non dovervisi mischiare. Non erano tra i finanziatori del crowdfunding e non ci supportarono acquistando qualcosa al banchetto. Solo moine da decerebrati per farsi belli, noi qui noi là noi su noi giù. Tommaso Inattesa, nemmeno se gliel’avessi data avrebbe speso qualche spicciolo per un cd o una maglia.
“Sono sempre più vicina all’esaurimento nervoso.”
“Credevo fossi vicina all’imbrocco del pennellone.”
“Guy, abbi pietà di me.”
“Nessuna pietà! Anzi, adesso ti calamito qui qualche altro fenomeno da baraccone che ci svolterà la serata! Dal banchetto dei Solarium & Omicidi, con un prodigioso processo di telecinesi, li devierò qui da noi. Guarda se non succede. Al mio tre. Uno… Due…”




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