Da poco uscito per Arcana "Storie e cronache di Rock Italiano" riavvolge il nastro di trent'anni di musica intrecciando avvenimenti, band, concerti con le esperienze e le considerazioni dei protagonisti della scena e dell'autore. Ecco l'intervista a Federico Linossi.
Ciao Federico e grazie della disponibilità. Hai da poco pubblicato per Arcana "Storie e cronache di rock italiano", in cui descrivi il periodo musicale che va dal 1993 a oggi. Come hai impostato il libro?
Ciao e grazie per lo spazio a disposizione! Da più di trent’anni dedico passione, tempo e risorse al rock italiano. Questo atteggiamento mi ha permesso di vivere emozioni talmente intense da indurmi a volerle raccontare e condividerle: in passato su riviste musicali (con le quali ho collaborato per diversi anni), di recente in libri (un primo dedicato ai Litfiba, questo secondo a “tutta” la scena rock italiana). Il nuovo lavoro si compone di due parti: “Storie” che descrive le mie esperienze personali (intrise in atmosfere provinciali e che fanno da fil rouge a tutta la narrazione) ed i contesti che ho frequentato (locali, eventi, negozi, riviste, trasmissioni, etc.). “Cronache” che propone la biografia dei 17 artisti cui sono più legato (omaggio ai Re dei Litfiba) riportati con un taglio che ritengo debitore a certo giornalismo degli anni Novanta. Elaborare questa struttura è stato complesso ed è anche per questo che sono soddisfatto del risultato, di essere riuscito ad elaborare una configurazione che consenta diverse chiavi di lettura e (spero) riesca a trasmettere spunti di riflessione. Approfitto anche per ringraziare la casa editorie Arcana che mi ha dato totale libertà espressiva.
C'è un momento, un disco, una "scintilla" da cui prende vita tutta la scena dagli anni 90 in poi?
A mio parere un momento chiave è stato l’uscita del disco Terremoto dei Litfiba ché ha ottenuto un enorme successo ed ha indotto i mass media ad interessarsi anche a tanti altri gruppi provenienti dalle “cantine”. Questo processo è presto diventato terreno fertile per investitori, attirati da nuove opportunità di business, ed ha agevolato il consolidamento e la diffusione del rock italiano. La situazione sociopolitica dell’epoca ha sicuramente stimolato un certo tipo di creatività però, come spesso accade, anche il denaro ha avuto un ruolo importante. Tuttavia, a dispetto degli interessi economici, c’era molta libertà espressiva…. o almeno questa era la percezione dall’esterno.
C'era una peculiarità, una particolarità, che rendeva la scena italiana differente da quelle europee?
Il rock italiano attinge dalle peculiarità nostrane, sia in ambito musicale che riguardo gli aspetti sociali. Da un lato fantasia, lirismo, creatività, gusto per la melodia... Dall’altro un sostanziale scarso spirito competitivo, (calcio a parte) verso gli altri Paesi europei, e carenze di naturale strutturale. Questa combinazione ha generato una scena originale ma decisamente provinciale, visto che raramente ha sconfinato e, comunque, mai in modo continuativo. Viaggiando in Europa ho percepito scene rock altrettanto radicate, con elementi comuni all’Italia ma anche con opportunità e considerazioni decisamente diverse. … nei negozi francesi c’è una sezione dedicata al rock locale che quindi gode di ottima visibilità. In Belgio diversi importanti festival estivi che ospitano sempre rocker francofoni. La Slovenia accoglie, con continuità, artisti emergenti stranieri agevolando contaminazioni e scambi culturali. Tuttavia, per esprimere commenti più precisi, bisognerebbe aver vissuto a fondo le singole realtà: esperienza che, personalmente, non ho avuto occasione di fare… Per contro, invece, ho spesso indossato una maglietta (realizzata dai grafici di Rockit) che riporta la frase: “Vengo da un altro pianeta, l’Italia”, un concetto che penso renda bene l’idea.
Hai un ricordo, un aneddoto personale che ti riporta agli anni d'oro del rock italiano degli anni 90?
Gli anni Novanta mi fanno pensare a quelle che, per me, sono due autentiche icone: la trasmissione televisiva “Segnali di fumo” e la rubrica “Italia Viva”. “Segnali di fumo” era uno dei programmi di punta di Video Music con giovani e simpatici conduttori (ricordo con piacere Paola Maugeri e il "Kaimano" Claudio Cingoli) calati in una atmosfera spensierata ma pregna di contenuti puntuali ed interessanti. … molto attesi erano i live-set con esponenti di punta della scena rock italiana che portavano la musica dal vivo nelle case degli spettatori. “Italia Viva”, curata da Fabio Massimo Arati e pubblicata su Raro!, proponeva bio-discografie di gruppi emergenti consentendo a molti appassionati di fruire di informazioni altrimenti inaccessibili. Ho citato queste due realtà perché, benchè di “nicchia”, sono diventate modelli divulgativi ed hanno lasciato una eredità cui è ancora utile attingere. In termini più personali, invece, posso citare una tappa estiva del Terremoto Tour dei Litfiba primo concerto cui ho assistito. Ma anche le tante ore trascorse nei negozi musicali di Udine, che frequentavo, i venerdì pomeriggio, in cerca dei titoli presenti nella mia la wish-list. Ogni acquisto generava grande soddisfazione perché la lista era lunga mentre le disponibilità economiche decisamente ridotte.
Dai primi anni 90 fino all'inizio degli anni zero il movimento ha goduto del fiorire di etichette coraggiose nella proposta e soprattutto di una rete di locali che ha permesso a tutta una scena di crescere e soprattutto crearsi una fanbase con i concerti. Erano davvero "formidabili quegli anni"? E, soprattutto, cosa manca oggi di quel contesto?
Gli elementi formidabili erano davvero parecchi: entusiasmo, passione, creatività. Per contro le situazioni negative non sono mancate. Anzitutto, tristi storie personali; poi tanti eventi aggregativi ostacolati a colpi di burocrazie, censure e controlli esasperati. Di quel contesto ora manca tanto: perché gli attuali modelli (sociali, lavorativi, culturali) stanno generando atteggiamenti ed espressività molto differenti rispetto al passato. Guadagno economico e successo, per molti, sono diventati autentici punti di riferimento e questo ha ridimensionato l’importanza di elementi come la passione e la spensieratezza. In ambito musicale, tanti, artisti preferiscono partecipare a contest televisivi piuttosto che suonare nelle cantine oppure muoversi con un furgone scalcinato… e questa tendenza “a cercare scorciatoie” non può sostenere realtà solide e radicate.
Rock italiano degli anni 90 e politica. Contesti come il concertone del Primo Maggio o le infinite feste de L’Unità sparse in tutto lo stivale erano grandi momenti "contro". Ma anche il frequentare certi locali era già una "scelta di campo" e ovviamente chi suonava in determinati ambiti era scontato abbracciasse certe idee. Quanto il crescente disinteresse della gente verso la politica "tradizionale" ha pesato poi sugli artisti?
Negli anni Novanta si sono verificati eventi sociopolitici molto importanti che, come normale sia, hanno fortemente condizionato l’arte e la creatività. Anche il rock italiano ne è stato investito ed ha, sostanzialmente, incarnato quei contenuti progressisti e barricaderi che trovavano ottimo agio in contesti come il concerto del Primo Maggio e le feste de L’Unità. Non tutti gli artisti erano ugualmente impegnati ma, pressoché, tutti avevano elementi comuni. Nel corso degli anni la situazione è mutuata: l’approccio ideologico si è progressivamente affievolito ed ha prestato il fianco a disinteresse, disillusione ed – eccessivo - pragmatismo. A mio parere, gli attuali rocker nostrani, benché degni eredi dei loro predecessori, sono cantori di una espressività diversa: ancora parzialmente “contro” il sistema e lo status quo, ma molto “pro” la diffusione di atmosfere empatiche, ricettive ed accoglienti. Un approccio giudico maggiormente intimo ed individuale rispetto al passato. Sicuramente la mia visione è condizionata dalle esperienze personali (e dall’età che avanza) però è innegabile che certi atteggiamenti barricaderi degli artisti degli anni Novanta ormai siano davvero merce rara.
Il pubblico spesso dagli artisti esige una certa coerenza nei comportamenti. Esperienze come Agnelli a "X Factor" o Marlene a Sanremo sono state ampiamente criticate. Può il rock italiano in un momento in cui è praticamente sparito da radio e tv, e in cui fatica a trovare spazi per suonare, rinunciare alla vetrina del grande evento tv?
Vedere esponenti del rock italiano in contesti, a loro, estranei può generare smarrimento o disturbo; però diffondere la propria espressività è una opportunità importante che ritengo vada perseguita con coerenza, determinazione ed evitando eccessivo oltranzismo. Negli ultimi trent’anni, “sconfinamenti” ce ne sono stati parecchi, basti pensare che già nel 1991 i Timoria erano sul palco di Sanremo attirando critiche e la contestazione dei centri sociali… Comunque, salvo alcune eccezioni, sono quasi sempre stati episodi utili alla causa. Il “quasi” si riferisce ad episodi come l’esibizione dei Litfiba al Festivalbar del 1997 e del 1999: la band era troppo uniformata al contesto circostante, quindi, non è non riuscita a provocare reazioni o curiosità. … evidentemente la frase di Piero “Piacere a tanta gente è una gabbia seducente” era stata premonitrice. Comunque, per dare una risposta più diretta alla domanda; per conto mio: è importante che i rocker nostrani sfruttino tutti i canali utili a diffondere il “verbo” cercando, magari, di contaminare quelli più ostici e distanti.
Oggi la promozione viaggia in rete, soprattutto sulle grandi piattaforme più o meno gratuite che offrono tutta la musica del mondo con un clic. Un format sicuramente vincente per la musica trap e commerciale ma ancora piuttosto poco influente quando si tratta di musica alternativa. Oggi un gruppo come i Litfiba si imporrebbe partendo da una playlist su Spotify?
Band come i Litfiba incarnano uno spirito che, da molti punti di vista, è in totale antitesi con piattaforme quali Spotify. Da un lato, infatti, c’è sempre stato coinvolgimento emotivo, presenza scenica, contenuti grafici… dall’altro una fruibilità scarna ed algida che, di certo, non agevola l’approfondimento. Il rock italiano, poi, ha tratto linfa vitale da video-clip, manifesti dei concerti, dischi in vinile: elementi, davvero molto distanti dalla musica in streaming. Quindi, faccio davvero fatica ad immaginari novelli Litfiba emergere tra i file presenti in Spotify.
Facciamo qualche nome. A tuo parere quali sono dischi fondamentali del rock italiano? Tre o cinque scelte degli anni 90 e altrettante degli anni zero. E se dovessi scegliere tre dischi passati praticamente inosservati al grande pubblico ma per te meritevoli di essere riscoperti?
Penso sia interessante indicare titoli importanti nei contenuti ma anche per valore simbolico ed impatto. Questa considerazione, per gli anni Novanta mi fa pensare, anzitutto, al già citato “Terremoto” dei Litfiba, primo disco di rock italiano a raggiungere la vetta delle classifiche e spinta fondamentale per tutto il movimento. “Mantra” ché ha permesso ai Ritmo Tribale, gruppo attivo da molti anni e protagonista anche di interessanti sortite all’estero, di emergere ed ottenere una legittima visibilità. Poi, “Hai paura del buio” con il quale gli Afterhours, amalgamando generi e stilemi, hanno definito espressività inedite. Ed infine “2020 Speedball” dei Timoria, un lavoro premonitore sia nei contenuti che nelle interpretazioni. Riguardo gli anni Duemila, direi “La Malavita” dei Baustelle ché, con taglio cinematografico, racconta, una realtà elegante e raffinata. Inoltre “A sangue freddo” nel quale Il teatro degli errori fanno convivere ricerca sonora, contenuti letterari e spirito ribelle. Voglio, inoltre, citare due dischi meno presenti nelle cronache musicale ma interessanti ed originali. Il primo è “Semo solo scemi” dei Bobby Joe Long's Friendship Party molto radicato culturalmente, ma altrettanto fruibile e coinvolgente. Il secondo è “Fils de Mai” unico album di una band (Putan Club) allergica alle testimonianze discografiche ma capace di rivedere le sue posizioni come segno di riconoscenza verso i proprio seguaci. Pensando a dischi che non hanno ricevuto i riscontri che avrebbero meritato, anche se non sono propriamente passati inosservati, mi vengono in mente: “Il ritorno dei desideri” dei Diaframma e “Primigenia” dei Disciplinatha. “Il ritorno dei desideri” è un autentico gioiellino che contiene brani da antologia ma che ha avuto poca visibilità a causa del fallimento dell’etichetta discografica che lo aveva in distribuzione. “Primigenia” è il suggello di una band indimenticabile, ma passato in sordina a causa di scarso supporto promozionale e motivazione limitate.
Grazie per l'attenzione Federico e prima di chiudere l'intervista dicci come possiamo acquistare il libro e interagire con te
“Storie e cronache di rock italiano” è stato pubblicato da Arcana ed è disponibile presso le librerie ed i negozi online. Chi vuole interagire con me può contattarmi tramite i miei profili personali oppure la pagina Facebook (con lo stesso titolo della pubblicazione) che riprende contenuti del manoscritto e lo integra con materiale inedito. Grazie a voi per l’ospitalità!
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