mercoledì 31 dicembre 2025

UMBERTO MARIA GIARDINI RACCONTA "OLIMPO DIVERSO" A RISERVA INDIE - INTERVISTA A CURA DI IRIS CONTROLUCE PER #GLORYBOX


Ho intervistato UMBERTO MARIA GIARDINI che a fine 2025 ha pubblicato il suo nuovo album Olimpo diverso. Ne ho approfittato per indagare sulla sua opinione rispetto al futuro della scena musicale ed artistica in Italia, del suo rapporto con creatività, sofferenza e in generale a cosa ha scelto di attingere per mitigare il suo sguardo sul mondo che lo circonda. A voi scoprirlo, buona lettura!


Il tuo ultimo disco "Olimpo diverso" mi ha colpito particolarmente per la schiettezza delle liriche e per gli argomenti trattati. Mi è sembrato che tu abbia cercato dentro te il coraggio di attraversare le sofferenze trasformandole in una scrittura dalle connotazioni catartiche. Sei d'accordo? Che ruolo ha la creatività in una tua giornata tipo?
Non so, sono una persona che caratterialmente soffre poco per ciò che mi circonda o mi accade. La sofferenza è un aspetto che col passare degli anni ti lascia, mentre l'età avanza. Nel mio caso specifico viene con molta naturalezza buttarsi dietro alle spalle molto ciò di quello che mi accade di spiacevole, ma ciò non significa che ci sia da parte mia leggerezza o inconsapevolezza del senso della vita. La sofferenza legata a molteplici aspetti, è per me qualcosa di molto intimo e non sempre riesco a trascriverlo nei miei testi. Forse un aspetto spesso toccato e rilevabile in ciò che scrivo, è piuttosto il disappunto. Fatto sta che ognuno di noi deve tradurre quello che ascolta e che percepisce, quindi va bene anche così. Le mie giornate tipo sono completamente slegate dalla musica, da sempre. La cosa che faccio con una regolarità oramai ultra ventennale è occuparmi del mio lavoro principale, pulire casa, guidare, fare la spesa, fare il casalingo concedendomi momenti di solitudine e di relax leggendo qualsiasi cosa (o quasi). La creatività mi viene perlopiù quando sono in sala prove, infatti negli ultimi anni abbandonando quasi totalmente la chitarra, trovo maggior impegno e gusto nello scrivere sopra qualcosa musicalmente già definito, già scritto.

In "Frustapopolo" parli della distanza tra la sofferenza degli operai di oggi e il modo in cui i giovani osservano il presente e immaginano il proprio futuro. Descrivi la rassegnazione di intere generazioni che si lasciano vivere soffocando le proprie emozioni, sopraffatte dal senso del dovere. Secondo te la scrittura e l’arte possono rivelarsi un riparo in cui rifugiarsi?
Assolutamente no, se non altro non oggi. Il cambiamento della società, dei costumi, dei sentimenti e di tutto ciò che ci circonda, credo abbia dato all'essere umano una direzione oramai difficilmente invertibile. Ci sono cose dalle quali non sarà più possibile tornare indietro, un po' come il tempo. Contrariamente a quanto si possa pensare, la mia non è affatto una visione pessimistica, apocalittica o irreale, bensì oggettiva ed estremamente serena, ciò che deve risaltare è la consapevolezza, esattamente quella che a molti manca. Confesso che caratterialmente fin da bambino sono sempre stato un po disilluso, diffidente anche nei confronti delle persone a me care, pertanto penso che oggi nessuno può, né di fatto può aspirare, a dare insegnamenti a nessuno. Chi vuole recepire da qualsiasi fonte può farlo, fatto sta che è tutto estremamente relativo, come dire... tutto serve, tutto no; dipende da ognuno di noi essere come si è e agire come si agisce.

Mi è capitato di guardare un'intervista in cui Jeff Buckley affermava che viviamo in una società che uccide gli artisti, soffocandone le intuizioni creative e poetiche. Quello che amava delle persone era la grazia, la stessa che le mantiene aperte alla comprensione, alla compassione. Sei d'accordo? Cosa significa essere un musicista in Italia in questa epoca storica? Credi che la musica e i messaggi degli artisti possano concretamente contribuire ad una diffusione del libero pensiero e di un sano senso critico?
Quando Buckley parlava in questi termini erano ancora i primi anni 90. Storicamente è come se di anni ne fossero passati 100 da allora. Se Buckley fosse ancora vivo probabilmente nella stessa medesima intervista, parlerebbe con altri toni, forse meno romantici, di riflesso all'attuale vita cambiata radicalmente per chiunque. Io personalmente non ho mai fatto parte della musica "indie", se fosse accaduto sono felice di non essermene accorto. A dir la verità non so nemmeno cosa significhi veramente "indie". Mi vien da vomitare al solo tentativo di parlarne, specialmente all'interno della nostra culturina musicale nazional-popolare, dove tutto oramai è indie. Figuriamoci se avverto anche lontanamente la possibilità di presupporre che possa contribuire a far nascere un libero pensiero. Fin da giovane mi sono sempre occupato di musica in maniera più o meno seria e progressiva, lasciando agli altri questa prerogativa di essere o così o cosà. Molti a differenza mia nei numeri ce l'hanno fatta mentre io (causa il mio carattere scontroso) sono rimasto in disparte. Oggi a distanza di molti anni, non so più se esserne contento o dispiaciuto, so solamente di essere sereno. Ognuno deve affrontare e accettare il proprio destino.

Dopo aver scritto un brano, decidi in autonomia che farà parte del tuo futuro disco oppure lo sottoponi al gusto di altri musicisti o addetti ai lavori di fiducia? In quest'ultimo caso, ti è mai capitato di non accettare compromessi o consigli di altri e di aver avuto tu l'intuizione giusta?
Quando lavoro ed entro in pre-produzione di un album (o altro..) mi confronto sempre con i miei collaboratori del momento, è una condizione imprescindibile. La mia personale attitudine è sempre stata quella di concepire i miei progetti non come solista bensì come band. Fin dai tempi di Moltheni, tutto ruotava attorno a tutti, io ero solamente la parte iniziale e conclusiva della sfera produttiva, tutto nasceva da me, ma si sviluppava anche in direzioni differenti, senza di me. Forse per questo motivo ad un certo punto della mia carriera trovai il coraggio di dire basta. Di compromessi ne ho accettati tantissimi, ma onestamente parlando solo nel mio album d'esordio nel 1998, quando l'inesperienza e la fiducia nel mio produttore dell'epoca, mi costrinsero di fatto a dire sempre sì. Nel tempo sono parzialmente riuscito a capire cosa volessi veramente fare, ma raramente ci sono riuscito. Onestamente parlando non ho mai avuto un'intuizione giusta o che nel tempo si sia rivelata tale. Probabilmente conoscendomi non l'ho mai cercata, purtroppo non ho mai avuto questa qualità.

Due dei brani che ho apprezzato di più del tuo ultimo album sono "Paga la vita" e "Vipera". Dal vivo le proponi con gli stessi arrangiamenti o in una versione differente?
Sono brani nati lasciandosi trasportare dall'ispirazione del momento, legata alle tante ore di lavoro in sala prove, per affinare il suono, i cambi di accordi e le scelte di arrangiamento, perlopiù legate alla voce. Il mio maggior lavoro da anni è a casa, in solitudine, quando il brano è già scritto. E' lì che viene fuori il mio "io" essenziale, ovvero il metodo nel saper ricamare su quello che scrivo, sulla musica. Difficilmente ci sono brani delle mie produzioni a cui mi affeziono più di altri. Alcuni amo cantarli dal vivo perché funzionano, altri si prestano maggiormente all'ascolto in cuffia poiché live non rendono. Le scalette sono studiate sempre in maniera maniacale, i brani che escludo solo occasionalmente li ripropongo nei concerti, quando capita mi piace riarrangiarli, aggiungendo o togliendo strumenti presenti nella registrazione originale del disco.

Preferisci di più la dimensione in studio o quella dei live?
Suonare dal vivo è sempre bellissimo e ogni volta straordinariamente diverso, ma è pur vero che sono e resto da sempre un animale da studio. E' quella la mia naturale attitudine. Amo registrare, fare, rifare, improvvisare e correggere fino all'apparente raggiungimento della perfezione.

Ti ha mai affascinato l'idea di dedicarti alla produzione artistica di lavori di altri musicisti?
Ho prodotto svariati progetti in passato, ma nel tempo mi sono accorto che non possiedo né eredi né musicisti attratti dal mio modus operandi, quindi non mi pongo il problema. Sono e rimango disponibile alle produzioni esterne, fatto sta che quasi sempre è tutto decisamente decadente. Budget a disposizione, studi di registrazione papabili nonché giri di amici di merende legati alle produzioni, ecc. Se non rientri in certi giri di amicizie, difficilmente in Italia vieni chiamato o contattato per una produzione. Quando non sei dentro al cerchio magico le tue capacità artistiche e la conoscenza dei metodi e degli strumenti di lavoro in studio, non hanno alcuna rilevanza.


Hai mantenuto viva la tua curiosità nella ricerca di band o artisti "nuovi"? Ti capita spesso di andare a vedere concerti?
Avere dei chiari riferimenti è per me traducibile come rilevare un testimone di qualcosa che non c'è più. E' sempre stato così, basti pensare all'eredità lasciata da Elvis, capace anche dopo la sua morte di condizionare migliaia di musicisti, anche italiani. Detto questo chi mi conosce sa da dove provengo. Musicalmente nasco dai primi anni 80, quando la new wave inglese impattò nell'immaginario di noi ragazzini adolescenti di quegli anni. Io, in particolar modo, fui rapito dal suono di Manchester e Liverpool e dal quell'ossessione per i chorus riverberati e per quei meravigliosi amplificatori che rilasciavano suoni celestiali. Da molti anni non ho più una spiccata vita sociale, specialmente notturna. Vado raramente ai concerti, sia perché ce ne sono troppi (una confusione di band, cantautori, cantautrici, e via dicendo) sia perché mi piace decisamente vivere di più il giorno. La notte mi ha sempre attratto particolarmente, ma vedere gente negli ambienti della musica spesso mi annoia a morte.

Il periodo che stiamo vivendo è caratterizzato da una continua evoluzione (a mio parere, per certi versi, di involuzione). Ti chiedo di immaginare come sarà esibirsi e pubblicare dischi da qui a 5 o 10 anni. Credi che in qualche modo questo processo di cambiamenti si rivelerà inarrestabile? Oppure pensi che in qualche modo si potrà tornare a concepire un disco come un'opera dispensatrice di cultura e non solamente ad un escamotage per far aumentare i consensi sul web? Nella seconda ipotesi, secondo te come bisognerebbe intervenire?
Non ho assolutamente in mente cosa diventerà la discografia nei prossimi anni. L'argomento è talmente riduttivo che davvero non mi interessa più di tanto. Di certo scomparirà tutto, poiché il disaffezionamento alla musica è oramai palpabile ovunque, addirittura implacabile nel riflesso del suo stesso destino. Nel tempo tutto cambia, bisogna farsene una ragione. Tutto nasce, si trasforma e poi muore. Immaginare che la musica possa tornare ad essere una "dispensatrice di cultura" è qualcosa che fa davvero sorridere, poiché non lo è più già da molto tempo. Fare musica sarà indubbiamente sempre più facile, ma l'arte del suono e dei contenuti probabilmente si riavvolgeranno su se stessi, incapaci di evolversi in qualcosa di attraente. Ovviamente questa è solo la mia personalissima visione, che nella sua decadenza ha comunque molto fascino. Dalla merda nasce sempre un diamante. Come intervenire non è davvero possibile chiederlo a me, sono incapace di trovare uno spiraglio di soluzione o un barlume di ipotesi. Manca anche il semplice entusiasmo per immaginare, bisognerebbe chiederlo agli innumerevoli giovani musicisti "indie" italiani. La lista è comicamente interminabile.

Una delle caratteristiche della tua scrittura è il sarcasmo e l'ironia. Quanto contano per te nei momenti di difficoltà? Sono una risorsa a cui attingere per alleggerire il tuo sguardo sul mondo che ti circonda?
Chi mi conosce sa perfettamente quanto ami scherzare su tutto (sorrido). La mia provenienza geografica legata ad un considerevole senso dello humour, fortunatamente mi ha sempre permesso e consentito di ridere e di sorridere anche di me stesso. L'ironia nella vita è un bene imprescindibile dal quale non bisognerebbe mai e poi mai separarsi. Privandosene metteremmo a serio rischio quel poco di buono che rimane della nostra esistenza. Il mondo che ci circonda ha cambiato i suoi connotati molto velocemente, la sua fisionomia è diversa anche già rispetto alla settimana precedente. Avere questa consapevolezza di certo non aiuta, tuttavia bisogna cercare e possibilmente trovare i lati positivi della questione, a costo di immaginarseli. La realtà odierna ha poca voglia di scherzare, ogni giorno ne dà segni tangibili. L'essere umano, dentro ai suoi limiti, deve saper reagire sorridendo il più possibile. Forse è l'unica vera e autentica medicina che ci resta.

Intervista a cura di Iris Controluce


 

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