Il 27 Ottobre uscirà "K3", il nuovo album dei Karma che segue "Astronotus" del 1996. Abbiamo fatto qualche domanda a David Moretti, voce e "penna" di questa storica band. Qui sotto il video di "Goliath".
Per dirla con Enzo Tortora: “Dove eravamo rimasti?” Facciamo un sommario riassunto di cosa hanno fatto i componenti dei Karma tra la pubblicazione di “Astronotus” nel 1996 e il recente ritorno con “K3”.
Musicisti, creativi, insegnanti, papà. In ordine sparso.
Prima di passare all’attualità, parliamo di un paio di progetti che vi hanno visti coinvolti nel nuovo millennio. A fine anni Duemila è uscito un disco a nome Juan Mordecai, cantato in inglese e realizzato da una formazione “allargata” dei vecchi Karma. In retrospettiva, come valutate quell’esperienza in tutti i suoi aspetti?
Il progetto Juan Mordecai nasce intorno al 2003 anche se uscirà solo nel 2007. A quel tempo Andrea Viti suonava con gli Afterhours ormai da tempo, da quando, a chiusura del nostro ultimo tour targato 1996, avevamo di fatto sospeso il progetto Karma. Fu proprio al termine di un concerto di Manuel e soci, al quale ero stato invitato, che iniziammo a considerare la possibilità di tornare a lavorare insieme. La scintilla fu lo scambio di nuovi brani ai quali stavamo lavorando separatamente. Fu sorprendente che entrambi desiderassimo tornare un po’ alle nostre radici sonore, prendendoci una pausa dall’alternativa italiana. Quando dovemmo prendere la decisione su quali musicisti coinvolgere nel progetto, fu naturale pensare ai vecchi Karma con l’aggiunta di qualche altro “ribelle” come Xabier Iriondo. Fu un’esperienza liberatoria, importante sotto molti aspetti, primo tra i quali l’averci davvero strutturati entrambi come produttori e non solo come autori.
Nel 2010 ha invece avuto luogo una serie di date live dei Karma. L’idea era di una rimpatriata estemporanea o c’era qualche ipotesi di proseguire il discorso che poi non si è concretizzata?
La reunion è stata possibile proprio grazie al tour con Mordecai. Dopo sole poche date iniziammo ad inserire alcuni brani dai nostri vecchi album, e la risposta fu davvero sorprendente. Venne da sé organizzare una decina di date a scaletta Karma. Ma malgrado le buone intenzioni di tornare a “produrre” musica insieme, la cosa naufragò dopo poco. Pubblicare dischi presuppone un completo allineamento e ovviamente unità d’intenti. Nessuna delle due cose era in quel periodo possibile. In aggiunta dopo poco mi trasferii negli Stati Uniti, dove tutt’ora risiedo.
Quando negli scorsi anni sulle pagine social dei Karma si è iniziato a parlare di questo “K3”, l’impressione era che si trattasse dei pezzi che all’epoca avrebbero dovuto far parte del successore di “Astronotus”, riregistrati e/o rielaborati. Le dieci tracce che sono infine confluite nella scaletta dell’album sono effettivamente retaggio di quel periodo o ci sono cose successive o anche scritte ad uopo per la nuova pubblicazione? “K3” nella sua interezza suona molto coeso e coerente, e sarebbe interessante sapere se ciò è dovuto a scelte di produzione artistica, di composizione o a entrambi i fattori.
K3 nasce come progetto personale, ed è rimasto tale fino ai mix, quando c’è stata una volontà unanime nel firmarlo Karma. I dieci pezzi confluiti nell’album sono un mix tra brani da me composti nel tempo in varie forme e cose recenti sulle quali stavo lavorando nel 2020. Come è accaduto a molti artisti, la pandemia è stata una parentesi temporale di completa sospensione che ha permesso profonde riflessioni. Così ho avuto il tempo e la voglia di organizzare anche la mia vita artistica iniziando a mettere in “bella copia” tutto il materiale sonoro e di scrittura che avevo accumulato in questi anni. Con grande sorpresa ho riscoperto cose che avevo completamente dimenticato e altre che improvvisamente ritrovavano senso e nuova luce. Questa necessità di “contemporaneità” ha portato vecchi appunti e nuovi brani ad incastrarsi perfettamente. E a limare ogni possibile effetto nostalgia un grosso lavoro è stato fatto in fase di arrangiamento, facendo precise scelte sulla produzione artistica. In più, il fatto che io abiti da quasi dieci anni in California, circondato anche per lavoro da una vibrante scena musicale, ha dato a K3 un’inevitabile impronta internazionale.
Come si è svolto il processo di registrazione, dato che i membri del gruppo vivono in diversi paesi? Ognuno ha lavorato per proprio conto o vi sono state anche delle sessioni d’insieme?
Quando presi la decisione di chiudere K3 scegliendo co-produttore e musicisti ritornò questa cosa dei Karma, che non sentivo, senza esagerare, dai tempi del Reunion tour. Mentre coinvolgere Andrea Viti come co produttore (insieme a Beppe Salvadori, fonico delle Officine Meccaniche di Milano) era una cosa che avevo già previsto, l’inclusione del resto della band fu più complessa. La chiave nel riuscire a non mandare nuovamente all’aria tutto fu il focalizzare l’attenzione sui brani senza nessuna proiezione di trasformarli in nuovo lavoro della band. Con questo distacco emotivo riuscii a lavorare con loro separatamente portandoli gradualmente all’interno della mia visione. I Karma sono un gruppo che ha sempre composto insieme, questa volta i brani non solo erano stati già tutti scritti, ma erano ormai ad uno stadio molto avanzato, con arrangiamenti, parti e strutture praticamente già definite. Dal 2022 iniziai a organizzarmi con visite mirate in Italia per poter lavorare con ognuno di loro. Il primo step è stato con Diego con il quale ho iniziato ad analizzare tutte le parti ritmiche che avevo scritto. È stato un lavoro meticoloso che mi ha permesso di creare con lui un nuovo terreno di condivisione su stili, modalità e ruolo della batteria moderna, permettendoci di allontanarci da scelte prevedibili e così iniziare una nuova fase di ricerca. Stessa cosa con Pacho e le parti dedicate alle percussioni. Con Andrea Viti il lavoro è stato ad ampio raggio e ha toccato soprattutto aspetti determinanti come la definizione peculiare del tessuto armonico. Infine le chitarre con Andrea Bacchini. È stato senza dubbio il momento più delicato di K3. In primis, essendo io anche chitarrista, l’avere lasciato per lui pochissimo spazio di manovra, in secondo luogo Andrea era reduce da una severa frattura al polso che lo aveva a lungo debilitato. L’idea fu quella di cercare di andare a inserire il “suo suono” in una sorta di dialogo tra due chitarre nelle sezioni ritmiche e di aggiungere con la stessa logica parti soliste. Purtroppo per le sopracitate ragioni Andrea non è riuscito a toccare tutti i brani, ma questa cosa non gli ha impedito di allinearsi agli altri nella decisione di firmare K3 come Karma.
Dovete stampare un ideale biglietto da visita di “K3” con la canzone e il testo (o parte di esso) che meglio rappresenta il disco. Dove cade la scelta?
K3 è un lavoro fortemente autobiografico, che io considero in sottotraccia come un concept. È un viaggio alla ricerca di un equilibrio interiore, fatto di tasselli di vita reale. Una simbolica scalata verso una vetta metaforica a cui ho dato il nome di K3. Se devo scegliere un testo/canzone che rappresenta l’essenza di questo “viaggio” di ricerca, sicuramente sarebbe Goliath. Questo brano è anche l’ultimo ad essere stato composto ed è una riflessione sull’importanza di quella che Jung chiamava l’”Ombra”, cioè il lato oscuro e nascosto della personalità. Quello che purtroppo ci viene insegnato di disconoscere ed esorcizzare. C’è un passo a cui sono molto legato ispirato dall’autobiografia The Garden di Derek Jarman: “Ti ho cresciuta mia gramigna tra i fiori e ora sei splendido giardino che nascondo dentro me”. Jarman ormai morente si era rifugiato in un cottage in riva all’oceano e spendeva gli ultimi giorni della sua vita curando un giardino nel quale anche le erbacce avevano lo stesso diritto di essere curate come lo erano i fiori. Un simbolo potentissimo di come avesse accettato la malattia e l’imminente morte come parte della vita e di come avesse deciso di celebrarla anche nella sua fine. Mi ha molto colpito come recentemente anche Michela Murgia abbia offerto la stessa riflessione prima di morire.
Vi è stato qualche particolare stimolo esterno, musicale o meno, che ha in qualche modo ispirato o influenzato musiche e testi di “K3”?
K3 è non solo la stratificazione di esperienze vissute in questi anni, ma stilisticamente anche di tutta la musica che mai ho smesso di ricercare. È forse anche un viaggio nell’evoluzione rock che ho selezionato negli ultimi 30 anni con però un preciso filo conduttore. Un suono profondamente emotivo, che gioca con complessità post rock, a volte prog, sonorità intense, cadenze mid tempo intervallate da esplosioni improvvise. Per quanto riguarda riferimenti letterari, sicuramente il lavoro che maggiormente ha ispirato questa “scalata” è il Monte Analogo di René Daumal.
“K3” esce ufficialmente a fine ottobre, anche se in realtà chi ordina i vari formati fisici già dall’estate lo ha ricevuto a domicilio (peraltro con la lodevole iniziativa del download digitale incluso). A chi è venuta l’idea di questa curiosa ma senz’altro interessantissima strategia di marketing?
La decisione di spedire appena ricevuti i supporti fisici in agenzia è stata presa di getto insieme a David Bonato di VREC, l’etichetta con la quale abbiamo distribuito questo album. La risposta che abbiamo avuto appena reso disponibile il preorder è stata così importante da farci pensare a una sorta di restituzione a tanto affetto e fiducia. Così quando abbiamo visto andare in esaurimento la versione piú costosa dell’intero pacchetto, cioè il vinile colorato e autografato, ci siamo detti: “spediamo subito”. È un gesto che è stato molto apprezzato e ci sta aiutando a dare ulteriore visibilità al nostro ritorno.
“K3” sarà presentato con una serie di concerti a metà novembre. Avete di recente comunicato un cambio di formazione per quanto riguarda il live con l’assenza del chitarrista Andrea Bacchini. Cosa può dunque aspettarsi chi verrà a vedere questi nuovi Karma?
Malgrado la formazione sia quella originale, per i live Andrea Bacchini non sarà con noi. Esistono diverse ragioni, come quelle citate precedentemente, ma anche aspetti profondi e personali che riguardano dinamiche all’interno della band. Ciò detto la line up resta quella originale e il nostro focus è adesso portare K3 live. A completare la formazione sarà con noi Ralph Salati, chitarrista dei Destrage oltre che di numerosi progetti che spaziano dal classic rock al prog. Un fantastico musicista che non solo è entrato immediatamente in sintonia con questo lavoro, ma che è stato da subito essenziale per l’arrangiamento del live.
Come immaginate il “bacino di utenza” del pubblico dei Karma nel 2023? Contate esclusivamente sui nostalgici degli anni Novanta o sperate di coinvolgere nuovi e più giovani fan?
Ci aspettavamo la risposta della base. Così è avvenuto, e siamo felici di constatare che è ancora piena di energia e vogliosa di musica nuova. Inaspettato invece il ritorno dei giovani, incuriositi soprattutto dai video dei primi singoli. Il fatto di aver deciso di non comparire nei clip, ha fatto sì che la musica arrivasse prima dell’immagine e iniziassero a seguirci anche ragazzi dai 20 ai trent’anni. Una piccola ma promettente presenza. Il resto cercheremo di conquistarcelo con i live, anche vista la presenza di Ralph che sta portando a noi non solo un pubblico più giovane, ma anche un’utenza avvezza a sonorità decisamente più estreme.
A tal proposito, il fenomeno Måneskin ha indubbiamente riportato sotto i riflettori il rock in Italia. Ritenete che questa vetrina possa risultare positiva per trainare certe sonorità presso ascoltatori (e musicisti) che ormai parevano rivolti verso diverse forme d’espressione musicale o che non possa smuovere più di tanto le acque?
La situazione in Italia è un po’ più complessa e prescinde dal fenomeno Maneskin, che purtroppo vedo essere più divisivo che motivo di unità sul ritorno o meno del rock in Italia. Oltre a dover fare un distinguo tra mainstream e musica alternativa (che non necessariamente deve esistere solo se genera numeri), vedo che malgrado a livello internazionale ci sia sempre stato fermento nel mondo del rock, con periodicamente gruppi o singoli capaci di emergere dal sottobosco dell’alternativa, nel nostro Paese ormai si persegue solo la spasmodica caccia al “nuovo fenomeno”. Triste constatare anche da parte di chi dovrebbe aiutare a far emergere qualità nella diversità (che fine hanno fatto i divulgatori?). Non mi sorprende che le giovani generazioni apprezzino solo ciò che può essere o apparire vincente. In tempi in cui il valore vero sta nell’accesso alla visibilità ad ogni costo e nella semplificazione estrema dei contenuti, diventa duro per chi propone invece contenuti anche solo un po’ più complessi dare un segno della propria esistenza. Ma non penso sia una questione di generi musicali ma di un problema radicale sul valore della musica in questo Paese.
Nel libro di Elisa Russo “Uomini. I Ritmo Tribale, Edda e la scena musicale milanese” è riportata una dichiarazione di David Moretti sul “grande tradimento” delle major discografiche italiane, che saccheggiarono il sottobosco alternativo per poi sbarazzarsi senza troppi discorsi di band che non riuscivano a plasmare secondo la loro visione. Anche alla luce del vostro vissuto, come vi trovate nell’odierno ambiente musicale (inteso in tutto il suo scibile: scena, etichette, locali, streaming ecc) rispetto a quello che vi ha visto sbocciare e poi purtroppo sfiorire? Pro e contro delle due ere?
Quando Elisa iniziò a raccogliere materiale per il suo libro, io ero ancora molto scottato da ciò che ara accaduto ai Karma. Mi riusciva impossibile accettare che malgrado le ottime vendite dei nostri dischi, la nostra etichetta avesse deciso di chiudere l’esperimento “alternativa italiana”. Con il senno di poi, avendo anche visto come altre band nostre coetanee riuscirono (molto poche) a sopravvivere al nuovo millennio, penso sia stata anche colpa nostra nel non correre ai ripari prima e attrezzarci contro l’arrivo dell’inevitabile. La democratizzazione portata dalle nuove tecnologie è stata davvero entusiasmante all’inizio, per poi assumere dei contorni quantomeno inquietanti soprattutto quanto questa velocizzazione abbia influenzato le logiche stesse del creare musica (e non mi riferisco solo a Tik Tok). Ma quando parliamo di sostenibilità è importante capire come tenere vivo l’intero tessuto connettivo, olisticamente. Quello che ha reso possibile la veloce diffusione dell’alternativa nei (troppo) celebrati anni 90 è stato il fatto che etichette, locali, promoter, negozi, autoproduzioni di supporti musicali e merch, radio ed emittenti televisive “dal basso”, magazine e fanzine; tutto era interconnesso e si inseriva all’interno di un meccanismo che generava cultura e indotti. Il tutto al di fuori del sistema mainstream che viveva di altre regole e logica, come pure di un altro pubblico. Non per essere esterofilo, ma è ciò che continua ad esistere all’estero. Sul perché e il percome non voglio pretendere di avere verità, certo il fatto che molti esponenti della mia generazione abbiano pensato che “cambiare il sistema dall’interno” fosse una buona idea…
In conclusione, tra “Astronotus” e “K3” corrono circa ventisette anni. State facendo dei piani un po’ più a breve termine per il futuro? L’attività è destinata a proseguire?
Siamo tornati per restare.
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