Se in gioventù vi siete sentiti “ragazzi invisibili”, incompresi dal mondo a partire dalle quattro mura domestiche, alla disperata ricerca di una rivalsa che mostrasse a tutti che c’era del buono persino in voi, “The crimson idol” è quel genere di disco nel quale è possibile trovare conforto. Pubblicato nel 1992 sotto la sigla W.A.S.P, il cui unico titolare, allora come oggi, era Blackie Lawless (che d’ora innanzi per amor di semplificazione chiameremo “Bill”), “The crimson idol” è una rock opera nella quale si dipanano le vicissitudini di Jonathan, alter ego dello stesso “Bill”, adolescente in rotta con i genitori che fugge di casa e dopo un periodo da sbandato diventa un’affermata rockstar, quell’idolo armato di una chitarra color cremisi del titolo.
Giustamente riconosciuto come l’apice della discografia di “Bill”, “The crimson idol” aveva già beneficiato di celebrazioni concertistiche, l’ultima nel 2012, allorché ne veniva riproposta un’ampia sezione all’interno del tour intrapreso in occasione dei trent’anni di carriera della band. Il 2017 segna invece il venticinquesimo anniversario della pubblicazione e il tour denominato “Re–Idolized” riporta per l’appunto in scena l’album nella sua interezza in un affascinante evento multimediale, una sorta di sonorizzazione in presa diretta del film che ne narra la storia. La data in programma all’Estragon di Bologna l’8 novembre è il prevedibile ritrovo di rocker in là con gli anni e in quantità non oceanica ma comunque atta a garantire un decente colpo d’occhio.
Da segnalare la defezione dei finlandesi Beast In Black, designati ad aprire il tour europeo ma ben presto insofferenti al mobbing attuato dall’entourage di “Bill” tanto da abbandonare il carrozzone, lasciando campo libero ai navigati Rain, pressoché onnipresenti nei concerti hard rock e metal in territorio felsineo. Inutile girare il coltello nella piaga, essendo risaputa l’indole poco amichevole di “Bill” e soci verso i gruppi con cui dividono il cartellone. Come dimenticare il disastroso tour in coheadlining W.A.S.P.–Motörhead del 1997, abortito dopo che, al culmine di una pletora di sabotaggi ai danni del trio inglese, fu “Bill” in persona a tendere un agguato al povero Lemmy, facendolo entrare in un giro di schiaffi non indifferente.
Calando un velo pietoso su queste bassezze extramusicali, e mandata in archivio la performance, solida e di mestiere, dei Rain, intorno alle ventuno e venticinque è tempo di ascoltare e vedere “The crimson idol”. Dall’inizio alla fine. Senza pause. Giusto dei fugaci interludi stralciati da “The story of Jonathan”, lungo spoken word nel quale “Bill” narra la sinossi del suo concept album e che, pubblicato all’epoca come b-side, fu incluso in una bella ristampa in doppio cd uscita a fine anni Novanta. Tutto è studiato nei minimi dettagli, e le canzoni procedono in sincrono con le immagini sui tre schermi alle spalle dei musicisti. Come di prassi, ampio è il ricorso a parti preregistrate, soprattutto nei controcanti; per il resto, la prestazione del quartetto è efficace e fedele al lavoro originale. Il quale era a propria volta entusiasmante, e qui sta il sunto della questione: al di là del racconto, vibrante e toccante, dell’ascesa e della caduta dell’idolo color cremisi, “The crimson idol” è un disco di grandi canzoni che esplodono in tutta la loro intensità addosso ai presenti. “The titanic overture” è un perfetto biglietto da visita. Dopo di che, robusti numeri hard rock d’assalto (“The invisible boy”, “Arena of pleasure”, “Doctor Rockter”, “I am one”) si alternano a profonde power ballad elettroacustiche (“The gipsy meets the boy”, “Hold on to my heart”). Menzione a parte per due brani che sono ormai dei classici del canzoniere di “Bill” e fanno storia a sé ben oltre la posizione che occupano nell’album: la dirompente cavalcata “Chainsaw Charlie” e la struggente “The idol”, che per chi scrive ha rappresentato, proprio nel 1992, l’incontro con quella musica così potente e al contempo drammatica, nonché enormemente distante dallo sfrenato hair metal che a metà anni Ottanta aveva portato in auge il gruppo.
Detto della strana condotta sul palco di “Bill”, che quando non intento a cantare si rintana sistematicamente di fianco alla pedana della batteria, dando la schiena al pubblico, e di un breve bis che comprende tre ovvie hit (“L.O.V.E. machine”, “Wild child” e “I wanna be somebody”) più l’imbarazzante title–track del recente “Golgotha” (2015), ribattezzabile “The show must go–(on)–lgotha” stante il pedissequo plagio della canzone dei Queen, il fulcro rimane “The crimson idol”. L’operazione, filologicamente ineccepibile per quanto si possa discutere allo sfinimento su questioni “etiche” o artistiche, si chiude sulle maestose note della suite “The great misconceptions of me”, resa dei conti di Jonathan con i propri demoni interiori, che fama e gloria, sesso e soldi, droga e alcol non hanno scacciato. Il manager minaccia di piantarlo in asso se non si dà una ripulita, il discografico dopo averlo spolpato non avrà problemi a rimpiazzarlo con un nuovo idolo da dare in pasto alle masse, e soprattutto, la tanto agognata approvazione dei genitori non è mai arrivata; tenta con loro un’estrema riconciliazione: la madre gli riappende il telefono in faccia. Rinchiuso nella sua dorata prigione, Jonathan prepara un cappio con le sei corde della sua chitarra color cremisi. L’idolo non esiste più, forse non c’è mai stato, era solo un impostore. I titoli di apertura di tutti i notiziari parlano del suo suicidio.
“Long live, long live, long live the King of Mercy”
Testo, foto e video di Ljubo Ungherelli
Uhm. Per caso "Bill" assomiglia a qualcuno che ti ha picchiato da piccolo? Tra le righe si legge un certo astio nei suoi confronti, tanto da tacciare di mobbing (dell'entourage) nei confronti dei Beast in black.
RispondiEliminaSe sai qualcosa a riguardo, ti prego, aggiornaci... sarebbe interessante capire di cosa parli.
Di litigi on stage è piena la storia del rock, si potrebbero scrivere pagine intere sui Motley Crue, i Guns e buona parte delle rock band degli anni '80.
Ok, non suonano come i Dream Theater e non sono simpatici come gli Helloween ma chi ha assistito allo show penso che di queste cose -passatemi un francesismo- se ne batta il belino. Finita l'epoca degli show a base di carne cruda, teschi e sangue ovunque è cominciata l'era dell' "arriva, suona, se ne va", come ogni fan degli WASP sa benissimo. Concordo perfettamente su Golgotha, personalmente trovo che gli ultimi lavori siano una perfetta parabola discendente.
Detto ciò, keep rockin'
Gypsy
Gentile signore signora o signorina, francamente mi sfugge il senso del Suo commento.
EliminaAstio? Non dovrei stare a giustificarmi di nulla, anche perché quanto ho scritto mi pare abbastanza comprensibile e piuttosto distante dalle Sue argomentazioni, ma se quello di mercoledì era il mio nono concerto di W.A.S.P. dal '97 ad oggi, forse oltre che astioso sono pure autolesionista, dato che continuo imperterrito a stare nel pit a saltare e sgolarmi ad ogni calata italica del gruppo.
Per il resto, Le ripeto, non riesco a cogliere nel mio scritto alcuna corrispondenza con le eccezioni che Lei mi sottopone.
In ultima istanza mi permetto di citarLa: "Di litigi on stage è piena la storia del rock". Appunto. Il caso W.A.S.P.-Beast in black non fa eccezione. Fine.
Cordiali saluti.
Ljubo Ungherelli - più grande scrittore vivente
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