giovedì 10 marzo 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 6: UN PO' SLANG ANNI OTTANTA - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco il sesto capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva dal blog di Riserva Indie ogni Giovedì dal 4 Febbraio. Guy e Vicni, in arte 2 Dualità, continuano nel loro tour di sette date finanziato attraverso una campagna di crowdfunding dai loro fan. Vi ricordo che potete rileggere tutti i capitoli pubblicati on line cliccando sull'apposita tab nella nostra home page.


Capitolo 6
Un po’ slang anni Ottanta

Armeggiando nelle tasche dei pantaloni, che aveva appallottolato ai piedi del letto per mettere quelli da concerto, recuperò i tre buoni consumazione rimastigli. Era determinato a non lasciarne inevaso neppure uno.
Ridiscese per primo, mentre la sua collega, sfilatasi la camicetta, si lamentava che quel reggiseno la strizzava troppo durante il live.
“C’è la fila là fuori per vedere i tuoi capezzoli, gioia. Tienilo presente per i prossimi concerti”, le fece di rimando Guy, uscendo di gran carriera per dedicarsi ai suoi passatempi postconcerto: bere, curare le pubbliche relazioni e cercare di “vendere” il brand 2 Dualità.
Lui, invece, faceva di tutto per non vederli. Benché il loro rapporto fosse sempre stato improntato a una totale intimità, e soprattutto scevro da pulsioni sessuali, su quell’aspetto aveva mantenuto un pudore finanche eccessivo. Non si era mai spogliato completamente di fronte a lei, e quando lei con naturalezza accennava a denudarsi in sua presenza, si voltava di scatto in direzione opposta, o usciva dalla stanza.


Ad ogni modo, Vicni decise di dargli retta. Si tolse il reggiseno, mostrando allo specchio le sue curve appena accennate e i capezzoli che apparivano ancora più scuri, contornati dalla sua pelle lattea. Quindi si mise addosso una canotta elasticizzata, che usava spesso quando col suo gruppo di amiche e amici frequentava in incognito le feste gay organizzate nella loro zona, si coprì ulteriormente con la sua giacchetta di pelle e, cambiata da capo a piedi, attese ancora qualche minuto prima di ridiscendere nel locale.
Guy era intanto alle prese con tre ragazzi e due ragazze, tutti sostenitori del crowdfunding. Aveva smistato le ricompense, confrontando le mail stampate a mo’ di ricevuta con i dati in suo possesso e garantito un paio di volte che Vicni li avrebbe raggiunti a breve.
Quelli là erano alquanto smorti, e sembrava non vedessero l’ora di piantarlo in asso, sebbene nessuno accennasse ad andarsene. A un certo punto, al capannello creatosi nei pressi del banchetto merchandise si aggiunse un uomo. Guy lo aveva notato a inizio serata, intento a confabulare con una delle prostitute. A giudicare dalla fisionomia, doveva essere un cliente abituale, che poche altre occasioni avrebbe avuto di scopare una figa di quel rango senza un esborso economico. Era alto e scheletrico, tanto da sembrare un malato terminale piuttosto che un ultracinquantenne male in arnese. Indossava un logoro giaccone imbottito e un cappellino con visiera. Fin quasi a metà schiena gli scendeva un’avvizzita coda di cavallo.


Il dj set rimbombava in pista, mentre il cosiddetto salotto consentiva alla combriccola di discutere con tranquillità. Guy perciò si chetò e alzò gli occhi, ritenendo che Normanno gli si stesse rivolgendo. In realtà, parlava da solo a voce alta. Stava inoltre armeggiando sul telefono, un apparecchio antidiluviano col display a cristalli liquidi in bianco e nero che consentiva a malapena di leggere gli sms. E nel digitare, proseguendo nel suo monologo, faceva risaltare una miriade di tic facciali.
“Una serata di revival slang”, disse ancora Normanno, accentuando la sua parlata meridionale e avvicinandosi dopo aver rimesso in tasca il cellulare.
Slang”, ripeté Guy, perplesso ma sorridente verso il nuovo arrivato.
“Io ne ho visti di concerti in vita mia. Ci vengo spesso in questo posto, e anche in altri posti qui in zona dove fanno concerti. Non vi conoscevo, vi ho visto stasera. Fate cose un po’ slang anni Ottanta.”


“Più o meno”, si schermì Guy, restio a contraddire quell’argomentazione di cui gli sfuggiva il significato.
“Suonavo anch’io giù al mio paese, nel sud della Campania. Poi venticinque anni fa sono emigrato qui e non ho più trovato persone per suonare.”
“Peccato. Come mai, non sei riuscito a trovare la gente giusta, qui?”
“I gruppi giovani gli manca quel modo di fare, nella musica dico”, cambiò repentinamente argomento Normanno, muovendo la testa in modo convulso tra un tic e l’altro. “Quel modo slang di fare le cose, tipo come le fate voi, ecco, si sente e non si sente, dipende dal gruppo che sta suonando…”
Andò avanti per un bel pezzo a imperversare con le sue sconnesse teorie musicali. Vicni nel frattempo si era presa in carico i ragazzi del crowdfunding, facendosi fotografare assieme a loro e riciclando l’invito del suo socio affinché pubblicassero gli scatti sui vari social network. Se col più esuberante Guy, l’atteggiamento dei fan era stato all’insegna di un timoroso riserbo, con Vicni, che non si sforzava granché di mostrarsi espansiva, si rasentava il film muto. Persino le foto apparivano più scure con lei in campo.
Il petulante e saccente Normanno infine se ne andò. Stava pontificando su pregi e difetti di un non ben specificato genere musicale, a meno di non voler considerare tale lo slang, quando senza alcun motivo apparente troncò la dissertazione e si congedò in modo sbrigativo. Guy lo seguì con lo sguardo, fino a vederlo sfilarsi per un attimo il cappello e mostrare che il codino era ciò che restava dei suoi capelli, dato che in testa era completamente calvo.
Cercò quindi di ravvivare il clima da bocciofila creatosi attorno a Vicni, ma di lì a poco i fan se ne andarono alla spicciolata. Guy e Vicni si ritrovarono soli. Disfecero il banchetto e tornarono in sala. La pista era animata da una ventina di persone che ballava o stava semplicemente lì ad ascoltare la musica.


Lui teneva sottocontrollo il tasso alcolico nel sangue e non era troppo sbalestrato. Scrutava gli avventori, ammiccando a chi passava nei paraggi, escluse le escort che ancora si aggiravano alla ricerca di tiratardi da spennare per qualche minuto di lascivo su e giù. Lei invece appariva un po’ immalinconita, e gli stava appresso come a utilizzarlo a guisa di stampella che la sorreggesse.
Risalirono soltanto a fine serata. Lo fecero su suggerimento di Guy, cosicché Lamporecchioni gli dicesse ciò che doveva, gli augurasse la buonanotte e soprattutto non venisse su lui. Il piano si rivelò vincente, giacché non lo rividero più. L’indomani, con calma, sarebbero usciti dalla scala esterna, simile a quelle antincendio degli appartamenti negli Stati Uniti, avrebbero lasciato la chiave nella cassetta della posta e sarebbero ripartiti.
“Ti confesso, mia bella statuina, che sono un pochino stanco. Ma contemporaneamente ti prometto che al mio risveglio sarò di nuovo in forma campionato, pronto per un altro concerto radicale distruttivo!”
“Io mi sento già meno stanca al pensiero che al tuo risveglio toccherà a te guidare fino a Spoleto”, sospirò Vicni, che si era struccata e cambiata e, in pigiama, si stava sdraiando sotto le lenzuola.
“Il karma è una ruota che gira. Allo stesso modo, girano i nostri turni alla guida della Luna. Oggi a me, domani a te.”
“E dopodomani di nuovo a te.”
Guy era seduto sul suo letto. Sembrava si fosse improvvisamente ritrovato un macigno sullo stomaco e avesse urgente necessità di scostarlo da sé.
“Non so se sia peggio essere imbroccati dalle ragazzine che vengono ai nostri concerti oppure dalle escort”, disse poi.
“Sicuramente dalle escort. Le ragazzine almeno te la darebbero gratis.”
“Sì ma non me la darebbero in ogni caso. Quelle dopo che si sono stropicciate due secondi a favore di smartphone, poi battono subito in ritirata. Certo, il fatto che io non collabori minimamente ha il suo peso, non lo nego…”
“Dura la vita dello sciupafemmine omosessuale”, lo sbeffeggiò Vicni. “Sempre col colpo in canna che non può essere sparato nel giusto canale.”
“Che gli devo dire, a quelle? Siete tanto carine ma non posso cacciarvi la lingua e poi il cazzo in bocca perché già a sedici anni ho realizzato e accettato d’essere gay, quindi al limite presentatemi i vostri fratelli? E non posso nemmeno usarti come scusa, dire che sei la mia fidanzata, giacché ufficialmente siamo due persone in una relazione non ben precisata che fanno finta d’esser fratello e sorella. Voi donne non capite proprio un accidente! È pieno di uomini che ve lo piallerebbero da ogni parte e perdete tempo con i gay.”
“Per tua fortuna tu fai impazzire le donne ma piaci anche agli uomini. Io invece alle donne incuto timore, si ritirano nel loro guscio ogni volta che tento di avvicinarmi.”
“Però gli uomini ti sbavano dietro. E non è vero che spaventi le persone. Le donne, proprio no. Se provassi a stare un’intera serata nel bel mondo che sono gli ambienti dove suoniamo, anziché far la spola tra il banchino e la tua cripta da vampira, otterresti più attenzioni di me, che pure sono il cantante. Ti sei creata un’immagine che dà un pizzico di soggezione.”
“Sai, Guy, mi capita spesso di odiarmi perché sono così complicata. Certi giorni vorrei essere tutto fuorché ciò che sono. Non vorrei essere donna, non vorrei essere lesbica, non vorrei essere musicista. Bassa, mora, pallida, le tette piccole… Non ti dico per sempre, ma almeno per qualche ora vorrei essere un’altra persona. Magari una persona più normale, tra virgolette.”
“Io penso che se fossimo tutt’e due più normali, tra virgolette, forse avremmo avuto una vita più semplice, ma di sicuro non ci saremmo mai trovati e non avremmo messo su quest’esperienza che si chiama 2 Dualità. Magari io sarei più assiduo e coscienzioso all’università, starei insieme a una mia compagna di corso e tirerei avanti la relativa routine. Tu avresti decine di uomini d’ogni estrazione sociale a farti la corte, potresti scegliere il miglior partito e campare alle sue spalle. Anche potendo, non farei mai a cambio con quello che sto vivendo, che stiamo vivendo adesso!”
“Grazie Guy, ti voglio bene, buonanotte. Svegliami al momento che dobbiamo ripartire. Ti assicuro che non ci metterò una vita e mezzo a prepararmi.”
Spensero le luci. Nel giro di qualche ora, sarebbe sorto un nuovo giorno a illuminare il loro cammino. Ognuno pensava alla propria controparte, a un legame consolidato da un amore viscerale per la musica e da un’intesa che sapeva abbattere le barriere erte da due personalità tanto imponenti quanto divergenti e in un moto perpetuo di tensione e irrequietudine. E a come sarebbe stato doloroso il momento in cui tutto fosse finito.




Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.

Nessun commento:

Posta un commento