Tra qualche giorno saranno 10 anni dalla morte del grande Ernesto De Pascale. Ebbi la fortuna di conoscerlo in radio un pomeriggio, ospite in "Post", condotto da Ilaria Danesi. Transitava da Carrara diretto a Genova per un concerto e si era reso disponibile per un'intervista che dai previsti "pochi minuti" divenne "fiume" e di incontrollabile bellezza. Perchè Ernesto amava prima di tutto parlare di musica e aveva realizzato il sogno di mantenersi con le sue passioni e le passioni, si sa, mal si conciliano con i tempi radiofonici. A quelle meravigliose dirette notturne su Rai Stereonotte, di cui fu uno dei conduttori storici, devo molti dei miei ascolti, e di conseguenza delle mie emozioni. Quel giorno Ernesto uscì dagli studi chiedendoci se volevamo andare con lui a Genova e io ebbi la sensazione di trovarmi di fronte a un uomo molto solo a cui la musica regalava approdi di socialità. Il mondo e i rapporti umani stavano cambiando con l'avvento di internet, la musica stava mutando anche fisicamente, e non credo in meglio. Con la tecnologia possiamo ascoltare un gruppo che suona a migliaia di km da noi, sentire l'opinione di un giornalista che scrive di musica dall'America, ma forse quello che più ci manca è il calore delle parole di uomo e delle sue emozioni non filtrate attraverso una connessione "ballerina" che ci parla di persona, magari a un tavolino e non in streaming dopo l'esibizione del nostro gruppo preferito. Qui sotto un'intervista che feci nel 2014 a Antonello Anzani in occasione dell'uscita del libro "My name is Ernesto".
Parliamo di "My name is
Ernesto". Come hai strutturato il libro con Antonella e come mai il sottotitolo Van Morrisoniano
"no guru, no method, no teacher"?
Partiamo dal sottotitolo. La frase era compresa nel contributo
di Giulia Nuti, che ha lavorato a lungo con lui, ed ha ricordato questa
espressione ripresa più volte da Ernesto stesso. Ci è
sembrato il giusto sottotitolo per una biografia che non vuol essere una
biografia semplicemente, in cui raccontare le opere e la vita di un uomo, ma
metterne in risalto il valore ed il significato che ha rappresentato per tante
persone che lo hanno incontrato, conosciuto o semplicemente apprezzato. In
effetti "My name is Ernesto" non è una biografia in senso stretto. Antonella
ha immaginato, anzi sognato, un romanzo che parlasse del fratello visto da chi
lo seguiva, da chi aveva lavorato con lui. In fondo ognuno di noi è
quello che gli altri percepiscono, vedono e apprezzano, quindi il miglior modo
di raccontare Ernesto era dar voce a chi lo ha conosciuto e ne poteva disegnare
i tratti, in periodi diversi della vita, aiutandoci a conoscere meglio la
persona piuttosto che il personaggio o il suo lavoro. Il libro è
il resoconto della giornata di un fan appena entrato negli "anta",
fan di raistereonotte anni ottanta e di Ernesto, che ha continuato a seguire
negli anni. In un giorno non precisato si reca a Firenze per assistere ad un
concerto di Tom Waits (particolare: la scelta di Tom Waits è
stata fatta perché mi sono ritrovato una scaletta di
trasmissione su questo artista scritta di proprio pugno da Ernesto e che ho
fatto diventare l'articolo da cui parte l'idea del viaggio), il protagonista,
quindi, decide di tentare l'incontro con Ernesto. Ne viene fuori un
inseguimento per tutta Firenze, in cui incontra amici e collaboratori di
Ernesto che gli raccontano il loro punto di vista ed i loro ricordi da cui
emerge il ritratto di Ernesto.
Com'è nata la tua amicizia con
Ernesto e come si è
sviluppata nel tempo ?
Ci siamo conosciuti proprio agli inizi della sua collaborazione
con raistereonotte, alla fine del '84, inizi '85. Ci presentò
un comune amico, Maurizio Bianchini allora caporedattore de "Il Mucchio Selvaggio"
(all'epoca si chiamava così, poi perse il "Selvaggio").
Io alla ricerca di "Qualcuno" che m'introducesse nel mondo della
musica, di un produttore, un manager e lui che cominciava ad affermarsi come
tale. Anche se non andai mai sala, seguii il suo lavoro con i Diaframma e poi
l"incontro con i Windopen e con Roberto Terzani. Cominciammo anche a
lavorare su di me. Con discussioni su discussioni, mi accusava di essere troppo
cerebrale, di cercare percorsi musicali troppo elaborati. M'invitava alla
semplicità. Litigammo più volte e tutte le volte dovetti dargli
ragione. Poi vicende della vita mi fecero fare altre scelte e mi sono
allontanato dalla musica per quasi vent'anni, con Ernesto ci siamo sentiti,
scambiati idee, ma mai più incontrati.
Molti di noi entrati negli
"anta" hanno ancora nelle orecchie la qualità del "suo"
Stereonotte e, in tempi più
recenti, la passione con cui conduceva
"Il Popolo del blues". Cosa pensava Ernesto della diffusione del web,
delle web radio e della musica"liquida"?
Infatti, come detto, il Matteo L. del libro appartiene proprio
a questa generazione di appassionati appena passati negli "anta".
Cosa pensasse non lo so, non abbiamo mai avuto occasione di parlarne in modo
approfondito, qualche battuta nulla più, le nostre chiacchierate erano
telefoniche e molto rapide. Entrambi facevamo largo uso del telefono, ma non
eravamo stakanovisti della telefonata e sinceramente avevamo di meglio da
dirci. Ma ritengo che fosse sicuramente incuriosito delle potenzialità
di questi mezzi, potenzialità ancora largamente inesplorate, per
quello che riguarda la diffusione delle Informazione, la facilità
di accesso, ma avesse le mie stesse perplessità (o io le sue, se preferite) sulla
massificazione del consumo di musica che penalizza la qualità
affogandola in un mare di suoni. Paradossalmente diventa più
facile produrre e diffondere musica, ma molto più difficile farsi
"ascoltare". Ormai la musica si "sente" ma non la si
"ascolta".
Il De Pascale produttore.Dallo
storico "Siberia"dei Diaframma agli Assalti Frontali e Aeroplanitaliani. Cosa faceva
scegliere ad Ernesto artisti così
diversi tra loro?
Non ho lavorato con lui abbastanza a lungo per sapere cosa
faceva scattare la molla per cui sceglieva con chi lavorare. Sicuramente
Ernesto era un curioso, uno a cui piaceva scoprire ed esplorare e quindi
suppongo che sia stato, ogni volta, il fascino di una sfida nuova. Poi,
ovviamente, la sua caparbia ricerca della qualità, della proposta
che anticipasse i tempi e in qualche modo li definisse. Il rap degli inizi con
il progetto “Articolo 31” con Franco Godi o come nel caso di
Dennis and the Jets, che fece rinascere l'interesse per il Rockabilly o,
ancora, Hypnodance, il suo gruppo che, in realtà, era un progetto a
tre: Ernesto, Terzani e Altomare, con cui riprese il discorso sul
rhythm blues. Nello stesso periodo produsse un disco, poi portato In tour con
Hypnodance, in cui forte è l'impronta di Ernesto e di cui Terzani
scrisse le musiche. Ernesto aveva il raro dono di "annusare" il vento
della musica. Unita ad una conoscenza enciclopedica era una miscela esplosiva.
Dell'Ernesto De Pascale musicista
credo si sia sempre parlato troppo poco. Come affronti l'argomento nel libro?
In realtà non ne parliamo nel libro, ma di nessuna
specifica sfaccettatura del lavoro di Ernesto che resta sullo sfondo e nel
racconto degli amici. Emergono tutti gli aspetti di una capacità
poliedrica, ma ciò che abbiamo inteso focalizzare è
l'uomo al centro dei suoi interessi, per come lo percepivano e lo
vedevano, quanti gli ruotavano attorno.
E' prevista qualche ristampa o
qualche raccolta dei suoi album da musicista?
Al momento, per quello che ne so, no. C'è
questo disco postumo “Seven Songs While the City Is Sleeping” realizzato
sovrapponendo le tracce dei musicisti ai provini pianoforte e voce che Ernesto
aveva realizzato proprio in previsione di fare un nuovo lavoro, completato
dagli amici e i collaboratori più stretti di Ernesto, come Giulia Nuti,
Fabrizio Berti, Giovanni De Liguori, Michele Manzotti e tanti amici musicisti.
Altre iniziative in questa direzione immagino ci saranno e me lo auguro, ma è
una domanda da fare a "Il Popolo del Blues", l'Associazione
che conserva, cura e promuove la figura del De Pascale radiofonico, musicista,
produttore, videomaker ecc...
La cosa che più colpisce
di Ernesto è la voglia di parlare e raccontare la musica "sul campo", ascoltando i musicisti in concerto. La
figura di Ernesto che ho in mente è quella di una persona in
continuo movimento e alla ricerca di stimoli e di "bellezza". Una
persona che amava scrivere di quello che poteva"sentire" e non solo "ascoltare".
Ernesto amava essere nei posti che lo interessavano,
partecipare in prima persona alle cose. Non era un giornalista da
"salotto". Certo amava la musica vissuta e chi vive a la musica, come
lui la viveva, direttamente e con passione. La condizione live, che fosse sopra
o sotto un palco era la più congeniale per lui.
Ernesto e i giovani. Ricordo in
un'intervista la sua stima per artisti (all'epoca) emergenti come Samuel Katarro (oggi King of The Opera) e
Beatrice Antolini. Cosa pensava della scena indipendente italiana degli anni
zero?
Con una battuta: sin da giovane ha amato i giovani. Per giovani
intendendo la freschezza, la semplicità dell'approccio alla musica. Cosa
pensasse della scena indipendente è altra domanda difficile da rispondere,
posso solo ipotizzare quel che ho letto e per come lo conoscevo. Riusciva a cogliere
gli aspetti positivi e negativi con grande precisione e maestria. Per cui
ritengo che avesse più un'idea su ciascun gruppo, musicista,
cantante gli sia capitato di ascoltare che non dell'insieme. O meglio che
apprezzasse alcuni artisti ed alcune proposte, ma non impazzisse per la scena
in generale.
Prima di chiudere Antonello vorrei
ci parlassi anche di Antonello Anzani musicista. So che hai pubblicato di
recente un nuovo album "From Tulsa to Vagliolise".
Un disco all'insegna della semplicità, diretto nei testi,
in italiano, e nella musica, come mi ha sempre spinto a fare Ernesto per
capirci. È un viaggio che prosegue tra eventi e
pensieri legati alla storia che stiamo vivendo, racconti di vita quotidiana e
di quotidiane paure e ribellioni. A far da sfondo e spinta propulsiva il blues.
Il blues è un modo di vivere, è
l'idea che abbiamo della nostra vita, è
come vogliamo rapportarci con gli altri, è
l'espressione dei sentimenti che ci coinvolgono...poi tre accordi e 12
battute, di norma. Un viaggio che da Tulsa, Oklahoma, patria di JJ Cale e del
Tulsa Sound, un melting pot musicale che prende vita dal blues più
sanguigno ed incamera stili, sensazioni e temi dalla vita, fino a
Vaglioise (in realtà Vaglio Lise) una contrada di Cosenza
(dove vivo) che ospita, oltre me, la stazione ferroviaria. Un'enorme cattedrale
nel deserto per un solo treno locale. Per rappresentare il ritorno a casa, alle
origini della musica, della mia musica, e la ripartenza per un nuovo viaggio.
Un “blues d’autore”, fra canzone d’autore
e blues, in un disco di brani originali scritto e cantato da un semidebuttante
di 53 anni.
vedo solo ora quest'articolo bello grazie pe ricordare Ernesto
RispondiEliminaGrazie davvero Antonella, ricordiamo davvero con grande affetto Ernesto.
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