Qualche giorno fa - mentre andavo a Parma e mi sparavo l’mp3 a mille
per evitare lunghi e inutili discussioni con improvvisati meteorologi compagni
di viaggio (del calibro “Caldo oggi, eh?!”) - pensavo a quanti bei gruppi ho
scoperto da poco, o quanti ho riscoperto, e a quanti bei post avrei potuto
fare.
E così, skippando dai Madame Lingerie a I Cani, d’un tratto mi viene
in mente BOB. Non so perché, né forse voglio saperlo, ma, ecco, ho pensato che
BOB fosse il personaggio giusto in questa calda, afosa, appiccicosa e
sudaticcia estate.
Chi sia BOB è un punto troppo lungo da scrivere (e poi credo di aver
reso manifesto quanto io sia pigra, dunque vi rimando come sempre al sito ufficiale).
Posso, grosso modo, sperare di farvi capire cosa sia BOB.
Posso, grosso modo, sperare di farvi capire cosa sia BOB.
BOB sembrerebbe, o meglio inizialmente si presenterebbe, come una
Factory. No, non quella di Andy, qui si tratta di zotici che, in quanto tali,
si sono trovati smarriti dinnanzi al cosmopolitismo della meccanica sociale che
ha come imperativo categorico il produrre, l’accrescere (le sovrastrutture del
buon vecchio Karl, per intenderci). Ecco, provate ad immaginare un gruzzolo di
ragazzi catapultati dopo il liceo in una grande città quale Milano. Ragazzi
cresciuti con la famiglia, non per forza il cerchio di parenti, ma la “crew”
per dirla all’americana: un carnevale di persone, prima che di artisti
(musicisti, writers) insieme a gente di tutti i giorni che, semplicemente,
vuole, dà e riceve supporto. In ogni momento in cui se ne ha bisogno: dopo una
galattica ubriacatura molesta, dopo la traumatica rottura con la fidanzatina
storica (e magari pure stronza) o quando in preda alle allucinazioni ti
progetti tutta una giostra infinita di cazzate che lì per lì sembrano sempre le
idee più geniali e rivoluzionari del secolo. Ma che poi cazzate si rivelano,
come è giusto che sia.
Ecco, io non ero presente alla nascita di questa Factory, ma molto
romanticamente me la immagino così. Gente spersa che incontra altra gente
spersa e che si ritrovano ad essere irrimediabilmente amici.
Ma passando a meno smancerie e più zoticherie.. Che fanno in concreto
questi strani tizi che girano con un faccione sulla maglia? In due parole:
fanno rete. Comunicano. Hanno da dire qualcosa e lo dicono, senza grossi giri
di parole. Agendo e interagendo con dei mondi artisticamente diversi e,
talvolta, lontani trovano ciò che di caratterialmente comune c’è tra loro.
Perché alcuni dj, alcuni cantanti indie e alcuni writers hanno la maglia di
BOB, altrimenti? E perché ce l’ho anche io, persona più comune e meno
artisticamente rilevante del globo? Perché il mondo è uno, la nostra
generazione (sì, sono ventenni bamboccioni e sfigati, sapete ministri vari?)è una e
loro stanno riuscendo a mettere in comunicazione tutti quelli che si sentono in
diritto e in dovere di mandare a fanculo il capo schiavista che vuole i suoi
impiegati stacanovisti “come ergastolani in tournèe ma molto più sorridenti” per dirla a mo’ di una band tanto cara a BOB.
Ecco
perché era il personaggio giusto, BOB, per questa estate. Ma sarà giusto anche
per questo inverno. Ecco perché BOB non ha un viso. Perché BOB sei tu. O meglio
tu sei BOB se e solo se hai il coraggio di dire la tua, nel mondo in cui della
tua opinione sembra non interessare nulla a nessuno. E invece conta. Eccome.
Quando
penso a BOB ripenso alle scene di “Caro diario” di Moretti. Io credo proprio
che questi della Liuzzo’s Factory saranno gli “splendidi quarantenni” di
domani. Perché gridano le cose giuste. Perché sono con i piedi per terra,
perché si prendono in giro l’un l’altro e poi subito dopo sfottono tutto il
mondo come è giusto che si faccia tra amici, a vent’anni. Perché riescono ad
avvicinare e accomunare i giovani in un momento storicamente importante, perché
la funzione dell’oratorio, che poi è diventata quella della piazza del paese,
che poi è, anzi, no: sarebbe dovuta diventare quella dei partiti politici è
persa. Allora, che fare? Lasciare i giovani a perdersi dietro lo sballo
sventolato dai Tg o recuperarli (che poi, per l’amor del cielo, sono delle
persone assolutamente poco raccomandabili pure loro. Anzi: soprattutto loro) e
farli sentire partecipi di un progetto “libero” di ogni influenza?
Ma
alla fine di tanti bei discorsi vi basterà andare sulla pagina Facebook e
capirete da soli che non è vera una sola parola di ciò che ho scritto in
versione così tremendamente intellettualoide politicizzata. Sono degli zotici.
Gretti, brutti e pelosi. Ma è impossibile non volergli bene.
“Poi, non pensare... anche noi ci ritroviamo
spesso a grattarci le palle ... ma diciamo che anziché fancazzismo, lo
chiamiamo momento creativo per riflettere su nuove iniziative da realizzare per
svegliare sto paese.” Eccoli qui quelli della Factory. Parole migliori non
potevo trovarle. Infatti non sono mie, sono di uno di loro.
per quanto riguarda il finale aggiungerei .. IL MIGLIOR EDI LORO eheheh Giuseppe
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