Ha del paradossale quanto sta accadendo sul mercato dell’intermediazione dei diritti connessi degli artisti, interpreti ed esecutori.
Il
Governo a gennaio dello scorso anno ha deciso – con una scelta, a ben
vedere, forse opportuna ma un po’ affrettata e assai poco ponderata – di
liberalizzare il mercato della gestione e intermediazione dei diritti connessi. La ragione della scelta è spiegata nello stesso decreto legge sulle cosiddette liberalizzazioni:
“favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei
diritti degli artisti interpreti ed esecutori, mediante lo sviluppo del
pluralismo competitivo e consentendo maggiori economicità di gestione
nonché l’effettiva partecipazione e controllo da parte dei titolari dei
diritti”.
Artisti e mercato, questi due avrebbero
dovuto essere i beneficiari della liberalizzazione. Peccato che non sia
andata così. Il mercato dei diritti connessi – almeno per quanto
riguarda i diritti degli artisti, interpreti ed esecutori – è prossimo
alla paralisi e i titolari dei diritti – con le solite poche eccezioni
delle superstar – stanno per restare a bocca asciutta.
Di chi è la colpa, chi sono i carnefici e ora cosa accadrà? Queste le domande che si pongono in tanti.
Cominciamo
dal principio. La responsabilità di quanto sta accadendo è del Governo
dei professori, tanto veloce a riempirsi la bocca della parola
“liberalizzazione”, quanto incapace di dettare le regole per governare
il mercato. Il punto è semplice: oggi che chiunque può intermediare
i diritti connessi e che, quindi, esistono diversi soggetti che
riscuotono – a questo o quel titolo – il corrispettivo di tali diritti,
gli utilizzatori a chi li devono pagare? Ad una qualsiasi società che si
presenti come operante in questo settore?
E quali diritti vanno
pagati? Quelli di tutti gli artisti, interpreti ed esecutori coinvolti
nell’opera utilizzata o solo quelli di quanti hanno dato mandato alla società
in questione? E a chi tocca poi ripartirli? Secondo quale criterio
distribuire il corrispettivo dei diritti connessi tra le decine e decine
di attori e comparse che prendono parte ad un film e che, magari, hanno
dato mandato a società diverse? Avrebbe dovuto dirlo – entro tre mesi
dal varo del decreto legge, avvenuto, come detto, a gennaio 2012 – il
presidente del Consiglio dei Ministri sentita l’autorità Antitrust, ma
la sensazione è che a Palazzo Chigi non sappiano come sbrogliare
l’intricata matassa.
E allora cosa accade? Accade che la Siae,
la società italiana autori ed editori, che dovrebbe essere la prima a
preoccuparsi delle sorti e dei diritti degli artisti italiani, si è
invece già affrettata a far presente che essa non intende versare agli artisti, interpreti ed esecutori neppure la percentuale di loro spettanza dell’equo compenso
da copia privata – l’odioso balzello che versiamo ogni qualvolta
acquistiamo un supporto o un dispositivo astrattamente idoneo a
registrare un qualsiasi contenuto audiovisivo – incassate in relazione
agli anni 2010 e 2011, ovvero quando il mercato non era ancora stato
“liberalizzato” e Vi operava, esclusivamente, l’Imaie.
La
giustificazione del gran rifiuto? Allo stato – secondo Siae – non
sarebbe possibile individuare con certezza il soggetto legittimato a
incassare i diritti per copia privata spettanti agli
artisti, interpreti ed esecutori e, quindi, essa non intende versarli a
nessuno. Auspicando che Siae – in attesa che qualcuno gli sciolga un
enigma che, in realtà, specie per gli anni passati non ha davvero ragion
d’essere – non investa questo nuovo tesoretto in altre operazioni
spericolate in stile Lehman Brothers (l’ultimo investimento di questo
genere è costato alla società e ai suoi soci 40 milioni di euro), è,
tuttavia, impossibile resistere alla tentazione di porsi una domanda.
Se
Siae non sa a chi pagare i diritti degli artisti, interpreti ed
esecutori perché cominciano ad esserci, in giro, troppi soggetti
interessati ad incassarli come si può pretendere che gli utilizzatori –
certamente meno addentro alle cose del diritto d’autore
di quanto non sia la Siae – si arrischino ad effettuare anche un solo
pagamento? E’ urgente – perché il rischio è la paralisi di un mercato
che vale decine di milioni di euro – che il Governo intervenga e
completi l’opera di quella che, sin qui, risulta solo una mezza
liberalizzazione con il trucco.
GUIDO SCORZA da www.ilfattoquotidiano.it
GUIDO SCORZA da www.ilfattoquotidiano.it
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