Ecco "Fermarsi un momento e recuperare un po' di tranquillità", ventesimo e conclusivo capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì dal 4 Febbraio. Guy e Vicni sono giunti al termine della loro settimana di tour finanziato da una campagna di crowdfunding e attendono la fine dell'esibizione di Teseo il Minotauro dopo essere saliti sul palco per, forse, l'ultima volta... Vi ricordo che tutti i capitoli pubblicati potete trovarli nell'apposita tab sulla home page di questo blog.
Capitolo 20
Fermarsi un momento e
recuperare un po’ di tranquillità
Fuori,
un gran rimbombo segnalava l’inizio del concerto. Era una decina di minuti
almeno. Non se ne preoccupò e rimase dov’era, le mani incrociate in grembo, la
testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi.
L’acustica
sul palco non era niente male, a dispetto delle scenate di Teseo il Minotauro
in sede di soundcheck. Da lì, invece, era un pastone indefinibile ad arrivare
alle sue orecchie.
Il
loro ultimo concerto era stato dirompente. Oltre che efficace nelle geometrie
musicali, ma era il meno. Contavano l’intensità, la passione, il modo in cui
riuscivano a colorare canzoni spesso leggerine e a tratti plastificate,
rendendole piccole schegge pronte a esplodere. Eppure, non se li era filati
nessuno. Il Boom Boom, un catino strapieno dove non entrava più uno spillo, li
aveva accolti con indifferenza. Le prime file erano assediate dai fan e
soprattutto dalle fan di Teseo il Minotauro, e l’ultima cosa che desideravano
era scompigliarsi in inutile anticipo sulla comparsa del sommo poeta.
L’occasione di aprire per un grosso calibro dell’indie pareva non aver portato
frutti. Salvo che i seguaci del Minotauro non avessero voglia di fare acquisti
targati 2 Dualità. Guy a tale scopo era schizzato fuori per allestire il
banchino. Il tempo di togliersi la camicia madida e rimpiazzarla con una
maglietta asciutta, era uscito dal camerino, armato del trolley contenente il merchandise. Ma c’era da scommettere che
almeno per l’intera durata del concerto, nessuno avrebbe distolto la propria
attenzione dallo scostante cantautore di natali pugliesi.
Vicni,
come sua abitudine, se l’era presa comoda nel backstage prima di rientrare in
sala. S’era scolata una delle bottiglie di birra che c’erano sul tavolo in
camerino e che ancora non erano state depredate dal suo socio. D’improvviso
rabbrividì. Stava per accendersi una sigaretta, ma si fermò. Ebbe un flash:
vide entrare dalla porta un gruppo di algidi darkettoni che prima le facevano
bere liquori dai colori improbabili e poi la costringevano a concedersi loro.
Era una visione che la tormentava di frequente, specie quando si trovava da
sola.
Non
erano certo le scorie dello stupro di gruppo subito anni prima a farla titubare
sul futuro di 2 Dualità. Quella, casomai, era stata una circostanza che in
qualche modo l’aveva avvicinata a Guy. Però sentiva una grande stanchezza. E
non si trattava della lunga settimana trascorsa in tour. Era una stanchezza più
profonda, maturata da tanti fattori diversi.
Sapeva
bene ciò che le avrebbe detto Guy, quando avrebbero riaffrontato l’argomento.
Avrebbe cercato di rassicurarla, proponendole qualche settimana di stacco per
poi, con calma e raziocinio, riprendere il filo del discorso. Avrebbe al
contempo fatto pressione su di lei, provando a instillarle dei sensi di colpa
perché a suo modo di vedere stavano gettando alle ortiche un progetto che gli
avrebbe permesso di togliersi parecchie soddisfazioni. Forse l’avrebbe persino
implorata di non lasciarlo.
Rabbrividì
nuovamente. Si aspettava di veder aprire la porta e comparire quei bastardi per
il secondo round di ciò che loro avevano preteso di spacciare per un’orgia tra
persone adulte e consenzienti.
Nonostante
stesse per dividersi da lui, ebbe la stringente necessità di averlo accanto. Il
più presto possibile.
“Dove
sei?”, gli scrisse semplicemente. Disperava che in quel casino, Guy avesse modo
di controllare il telefono in tempi brevi, ma ci provò lo stesso. L’ipotesi più
probabile era che si trovasse al banchetto merchandise. Fu lì che si diresse.
Non fu un’impresa agevole.
Nessuno
le badò, neppure coloro che spintonava per farsi largo. Evitò di voltarsi in
direzione di Teseo il Minotauro. Poteva intuire ugualmente, dalle acclamazioni
che udiva, quanta idolatria vi fosse nei suoi riguardi. Era molto oltre il suo
limite di sopportazione, pensò Vicni, proseguendo a districarsi nel magma
umano.
Raggiunto
infine l’angolo merchandise, lo trovò incustodito. Del resto era una delle rare
zone in cui non c’era assembramento. L’ansia di ricongiungersi a Guy la assalì
ulteriormente dopo quel primo tentativo andato a vuoto. Teneva sottocontrollo
il telefono, sperando in una sua risposta, ma senza esiti. Cercò di fermarsi un
momento e recuperare un po’ di tranquillità. Si disse che non vi era alcun
pericolo incombente. Sollevò lo sguardo sul palco.
Teseo
il Minotauro sembrava più alto di quanto non fosse. Leggermente ingobbito con
la chitarra a tracolla e l’aspetto da universitario fuorisede cannato,
trasmetteva una notevole desolazione, solitario e spaesato sul palco.
Allo
stesso modo, le sue composizioni, rivisitazioni nemmeno più di tanto aggiornate
del cantautorato italiano anni Settanta, erano lineari e senza picchi
d’intensità, scritte bene e interpretate con convinzione, ma lontane dalla
rivoluzionaria genialità che gli veniva attribuita da critica e pubblico.
Inoltre, il ricorso a basi elettroniche piuttosto monocordi, già dopo meno di
due canzoni (il tempo che Vicni riuscì a concedergli) appiattiva tutto e non
erano sufficienti campionamenti e suoni particolari a rendere più variegato il
repertorio.
Tornò
ad agitarsi e a sondare il suo campo visivo allo scopo di identificare Guy. Un
nuovo timore s’impadronì di lei. Col suo fascino e savoir-faire, poteva essere riuscito a imbroccare un tipo anche in
un territorio ostile come il concerto di Teseo il Minotauro. Vicni si augurò
che non fosse successo proprio quella
sera. Aveva bisogno di lui. Fissò ancora una volta lo schermo del telefono.
Nessun messaggio di risposta.
Quantunque
in camerino vi fosse da bere a volontà, non le andava di rifare la strada
all’incontrario e ritrovarvisi da sola. Spese dunque una consumazione al bar.
Un cocktail molto forte. Ne bevve due sorsate e, bicchiere in mano, avanzò con
l’intento di scovare Guy, a costo di passare a zigzag dall’ultima alla prima
fila del locale. Con le buone o con le cattive. Con queste ultime, in
particolare, scostò due giovani fidanzati che, nel lasciarla passare a
malincuore, le urlarono all’orecchio qualcosa che non afferrò. La voce di lei,
in particolare, era tutto fuorché amichevole.
Fattasi
largo in mezzo a quattro ragazzini dall’aria dormiente, probabilmente venuti al
concerto anche col velleitario proposito di raccattare un po’ di fica, che
abbondava quand’era di scena Teseo il Minotauro, riuscì a scorgere la sua
testa. Era defilato sulla destra, tre file più avanti. La parte conclusiva
dell’inseguimento si rivelò la più semplice. Vicni sgomitò per qualche altra
manciata di secondi, beccandosi improperi e occhiatacce che le piovevano
addosso già da un pezzo. Non appena lo ebbe a meno di due metri, verificò che
fosse solo. Quindi fece l’ultimo sforzo per raggiungerlo, riuscendo a crearsi
misteriosamente un varco per metterglisi di fianco.
Tutto
il tramestio che aveva creato, fece sì che Guy si voltasse verso di lei proprio
mentre gli stava andando incontro. Si guardarono negli occhi. Apparivano
entrambi malinconici, lei stravolta per quella caccia all’uomo che le era parsa
interminabile, lui con un pizzico di rassegnazione dipinta in viso.
Vicni
abbozzò un sorriso, provando ad apparire vagamente rilassata. Guy sorrise a sua
volta, quindi ammiccò alla folla in delirio, come a significare: “Hai
visto? Abbiamo sbagliato tutto, noi due.”
Scossa
e disarmata dalla remissività del compagno, sentì che stavano per iniziare a
scenderle le lacrime. Gli si strinse contro, mettendogli un braccio intorno
alla vita. Guy la cinse a propria volta al di sopra delle spalle. Rimasero lì,
immobili e in silenzio, mentre si compieva uno tra i riti più in voga nel
disastrato mondo dell’indie italiano.
Se
mai qualcuno in quella folla amorfa ci avesse fatto caso, avrebbe creduto di
vedere due innamorati, avvinti in un tenero abbraccio e immersi nell’atmosfera
magica del concerto di Teseo il Minotauro. Forse per una volta, Guy e Vicni
sarebbero davvero apparsi agli occhi altrui come la coppia che negli ultimi
quattro anni e fino a quel momento avevano fatto finta di essere.
Testo di Ljubo Ungherelli
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