Ecco "Come la persona più normale del mondo", capitolo 16 di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato a capitoli con licenza Creative Commons in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni giovedì dal 4 Febbraio con cadenza settimanale. Guy e Vicni arrivano al Pino Wine Bar di Desenzano del Garda per un nuovo live del tour finanziato dai fans con una campagna di crowdfunding. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.
Capitolo 16
Come la persona più normale
del mondo
Il
Pino Wine Bar di Desenzano del Garda, tolta la ridondante patina anglofona del
nome, era niente più di un’osteria, rivestita in legno stile baita pur
trovandosi in riva a un lago. Per motivi imperscrutabili, aveva una
programmazione musicale, di cui il mercoledì rappresentava il momento clou,
tant’è che ci suonavano anche nomi abbastanza affermati del panorama italiano,
intercettati nei day off e pertanto
ingaggiati a cifre più convenienti. 2 Dualità avevano dunque la speranza, ad
onta del giorno infrasettimanale per antonomasia, di trovarsi in una situazione
più reattiva della sera innanzi a Carpi.
L’incertezza
sul futuro oscillava sopra le loro teste come un trapezista durante un numero
circense. Guy si sforzava di non mutare il suo contegno, dovendo passare la
serata tra la gente ed essere l’animale sociale di sempre.
Entrando
nel locale, si videro venire incontro un uomo rubicondo, dall’età indefinibile
tra i trenta e i quaranta e oltre. Era sul metro e settanta, altezza che ne
faceva risaltare ancor più l’opulenza. Portava un pesante e sciupato maglione
di lana color crema, con la zip e il cappuccio in testa, e ruvidi pantaloni blu
scuro da cercatore di funghi.
Romaldio
si rivolse ai nuovi arrivati biascicando un’incomprensibile forma di saluto e
guardando da un’altra parte a causa dello strabismo. Batté i piedi in terra
come per mettersi sull’attenti. Gli scarponi col tacco rinforzato fecero un
rumore sordo sul pavimento in cotto.
“Bel
posticino davvero”, commentò Guy con convinzione, dando uno sguardo d’insieme
al Pino Wine Bar. Ai lati del corridoio centrale, erano disposti tavoli e
tavolate, sedie e panche. Sulle pareti, stampe incorniciate, soprattutto di pop art, oltre a foto scattate nella
sala, raffiguranti presunte celebrità passate di lì. In fondo, lo spazio andava
ad allargarsi: sulla sinistra, il bancone del bar, alle cui spalle una
porticina conduceva alle cucine; sul lato opposto, delimitato da un arco a
volta, anch’esso in muratura, era piazzato il palco, nettamente il più
striminzito tra quelli del tour sulla Luna. Se lo sarebbero fatto bastare.
“Iniziamo
a montare?”, domandò Guy, rivolto tanto a Vicni quanto a Romaldio. Fu
quest’ultimo a rispondere, offrendosi di dar mano e rendendosi disponibile
all’istante per aiutarli nel soundcheck. Guy declinò la prima offerta e si mise
a scaricare la Luna con l’ausilio della compagna. Rifletterono se non fosse il
caso, date le ristrettezze del palco, di rinunciare a qualche pezzo della
strumentazione, ma decisero infine di portarsi tutto quanto. Avrebbero onorato
il tour fino alla fine.
Ben
presto, realizzarono che Romaldio, oltre a essere il fonico, era il direttore
artistico, colui che serviva i clienti dietro il bancone, nonché il
proprietario del locale. Fino all’ora di cena, ci furono solo loro là dentro.
Erano attesi tre finanziatori del crowdfunding,
ma non se ne presentò nessuno. In compenso, la sala iniziò a riempirsi di
avventori che venivano per mangiare.
“A
meno che non se la prendano estremamente comoda, questi saranno già spariti da
un’ora quando inizieremo a suonare”, fece notare Guy. “Il gommone dice che il
pubblico dei concerti arriva sul tardi, e riempie il doppio della gente che c’è
adesso. Speriamo…”
“Se
già non si fanno vivi i fan del crowdfunding…”,
ribatté sconsolata Vicni. Si rianimò quando, in testa al drappello di cameriere
(in realtà appena due) da poco entrate in servizio, comparve la caposala.
Fidanzata
storica di Romaldio, Sissy Kolivanowski era rimasta alle sue dipendenze anche
dopo la rottura della loro relazione sentimentale. Pareva il contraltare
dell’ex: biondissima, alta ed esile, androgina ma dai lineamenti somatici
delicati. La accomunavano a lui una certa rudezza nei modi e il look non
proprio da gourmet a cinque stelle:
svettando su un paio di stivaloni neri, Kolivanowski sfoggiava un fisico quasi
da top model, con degli hot pants in
denim e una canotta sfrangiata che si fermava molto sopra l’ombelico.
Impartendo
ordini con voce roca e mascolina, Kolivanowski sistemò i primi avventori,
andando poi a unirsi a Romaldio, il quale si era accomodato al tavolo riservato
a 2 Dualità in attesa che gli fosse servita la cena.
Vicni
ebbe un fremito mentre quella pertica snodabile li raggiungeva, curvandosi
leggermente in avanti di modo da mostrare la fascia elasticizzata nera che le
copriva il seno. Si scambiarono un’occhiata, quindi Romaldio, col rantolo da
etilista che era il suo modo di parlare, fece le presentazioni.
“Vi
piace il Pino Wine Bar? È tutto di vostro gradimento finora?”, domandò ai
musicisti.
“Guarda,
già ci sentiamo come a casa nostra qui. Domani abbiamo un altro concerto, però
se volete venerdì torniamo volentieri a suonare da voi!”, replicò allegramente
Guy. Vicni confermò con un sorriso.
Romaldio
intanto si era sfilato il maglione, rimanendo con una maglia col logo
neroarancio Harley Davidson, sformata dall’adipe. Sotto la manica destra
spuntava la parte finale di un tatuaggio mentre, senza il cappuccio, spiccava
la testa pelata. Vicni, inorridita, si domandava come la diafana Sissy
Kolivanowski avesse potuto concedersi a un simile bruto. Tuttavia, studiando i
modi spicci e poco fini della ragazza, si arrese all’evidenza che in fondo quei
due erano animali del medesimo branco ed era nella logica che si fossero
trovati, e che proseguissero a frequentarsi anche al di fuori di un rapporto
ormai estinto. Proprio com’era accaduto a Guy e lei: creature accomunate da
un’urgenza artistica che le aveva inevitabilmente attirate l’una verso l’altra.
Non c’era stato amore né sesso tra loro: ma forse un legame addirittura più forte.
E lo avvertiva anche in quelli che rischiavano di essere gli istanti finali
della loro Luna di miele.
Lo
stesso Guy stava facendo onore alla tavola, in particolar modo al vino della
casa, sicché i racconti che il factotum del Pino Wine Bar sciorinò gli
apparvero mirabolanti. Le paturnie, per un po’, svanirono dalla sua mente.
Una
cameriera passò di lì con una brocca d’acqua. Guy la stava per ringraziare del
servizio, che gli sarebbe stato utile per sciacquarsi un po’ la bocca impastata
dalle cibarie e soprattutto dal vino. Fu però dissuaso dall’uscita perentoria
di Romaldio.
“L’acqua
la smarze i pali par fora, figurate par drento”, ammonì la ragazza, che
fece un impacciato dietrofront.
“È
un modo per dire tipico di chi apprezza la bottiglia”, spiegò Kolivanowski,
traducendo sommariamente quel motto da alcolizzati.
“Il
Veneto è terra di serial killer”, sentenziò poi il corpulento anfitrione, che
teneva testa con irrisoria semplicità alle doti di bevitore di Guy. “Che poi
passano la frontiera e si nascondono qua da noi. S’inventano un lavoro e una
vita normale, eh, per dire. Poi una mattina apri il giornale e vedi che lo
hanno arrestato e dici: quello era uno dei butei che veniva qua a pranzo la
domenica!”
“Quanti
ne abbiamo avuti, qui?”, arringò Kolivanowski.
“Ma
tanti!”, confermò Romaldio raccogliendo l’assist. “Due, tre… Quello che
ammazzava le prostitute vicino Belluno, e dopo le violentava. Stava qua in
centro di Desenzano.”
“Ah!
Pure necrofilo!”, sbottò Guy.
“No,
no pedofilo”, lo corresse
puntualmente Romaldio. “Le prostitute, le puttane, per dire. Negre, dell’est,
dell’Unione Sovietica. Ma maggiorenni. Lui le caricava in macchina, andavano in
un posto isolato e lì gli metteva un sacchetto di plastica in testa e le
soffocava. Poi se la spassava col cadavere. Ne ha fatte fuori quattro prima che
l’han beccato. E tutte le domeniche per dio era a quel tavolo là accanto
all’ingresso a mangiare e a bere come la persona più normale del mondo.”
“Ha
fatto bene a sistemarle quelle quattro lucciole là. Così non rompevano le balle
per volergli infilare il preservativo anche per ciucciargli il cazzo! Battono
dalla mattina alla sera e vogliono fare le dive. E allora glielo metteva lui in
testa il preservativo!”, fu la pragmatica deduzione della bionda responsabile
di sala, che se la rise alla grande.
“Interessante
lettura psicologica”, osservò Vicni. Il corpo libidinoso di Kolivanowski le
appariva ancor più remoto della sua testolina di cavernicola non rieducata.
Terminata
la disamina sui serial killer habitué del Pino Wine Bar, Romaldio continuò a
imperversare, narrando di risse scatenatesi all’interno del suo locale, per lo
più nelle serate dove c’era musica dal vivo. Guy lo ascoltava con crescente
rapimento.
“L’anno
scorso, di questo periodo, avevamo qui la Desenzano Fusion Street Band. È una street band che suona fusion”, spiegò
pleonasticamente Romaldio. “Sono tranquilli, musica da ascolto, per dire, mica
da ballo o da scatenarsi. Li facciamo venire due o tre volte l’anno. Iniziano a
suonare già all’ora di cena e vanno avanti fino alla chiusura. Si fermano,
mangiano e bevono anche loro, poi ricominciano a suonare. E poi ogni tanto
suonano in mezzo ai tavoli, come una street
band.”
“Come
una street band che suona fusion”,
ripeté sghignazzando un Guy sempre più ubriaco.
“E
in questo concerto dello scorso anno, il chitarrista stava suonando in mezzo ai
tavoli, e io lo aiutavo a srotolare il cavo per non farlo impigliare da nessuna
parte. Però si è impigliato lo stesso, e lui per liberarsi ha dato una spinta
che ha fatto cascare in terra la forchetta a un cliente che stava mangiando il
porco arrosto. No un piatto o un bicchiere, solo la forchetta è cascata.”
“Ma
quello là era già ciucco”, s’inserì Kolivanowski. “E ha dato di matto, voleva
picchiare il chitarrista. Allora gli altri butei al tavolo con lui han provato
a calmarlo, ma lui ha iniziato a picchiarsi con loro! Da lì, tutti i tavoli
vicini si son riempiti di gente che voleva partecipare. E hanno iniziato a
volare cazzotti per tutto il locale!”
“E
il chitarrista, che aveva lui fatto partire le botte, aveva ricominciato a
suonare sul palco, facendosi finta che lui non c’entrava nulla. Non andava mica
bene, eh. Allora la Sissy gli è andata sotto a muso duro per farlo partecipare
alla scazzottata!”
“Gli
ho detto: ‘Vai
se no te ciapo e te verzo come un capuzzo!’”, si vantò Sissy, mimando la
messa in pratica di quella minaccia. Non c’era da scherzare con l’indole
battagliera di quella donna dall’apparenza tanto fragile.
“Wow!
Radicale distruttivo!”, si complimentò Guy, totalmente asservito al clima di
sfrenata ebbrezza che pareva essere di prassi al Pino Wine Bar.
Sopraggiunsero
altri clienti, e Kolivanowski ebbe il suo daffare in sala, sicché andava e
veniva dal loro tavolo. Anche Romaldio dovette tornare alle sue molteplici
mansioni. Guy e Vicni conclusero la cena da soli al tavolo.
“Stasera
non so se resisterò all’impulso di togliermi la camicia durante il concerto!”,
proclamò Guy. Fiumi d’alcol gli circolavano in corpo in sostituzione del
sangue. Era già positivo che non intendesse scatenare a propria volta una
megarissa. Mostrarsi a torso nudo sarebbe stato un atto di ubriachezza in fondo
poco molesta. Vicni gettò un ultimo sguardo al fondoschiena tonico di Sissy
Kolivanowski, in bella vista a pochi metri da lei, quindi uscì per fumare.
Testo di Ljubo Ungherelli
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