giovedì 18 febbraio 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 3 : L'IMMINENTE CHIAMATA ALLE ARMI - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco "L'imminente chiamata alle armi",il terzo capitolo di "Ultimo Tour sulla Luna",il libro di Ljubo Ungherelli pubblicato a capitoli ogni Giovedì in esclusiva sul blog di Riserva Indie.Guy e Vicni continuano il loro tour finanziato dal crowdfunding dei loro fans.


Capitolo 3
L’imminente chiamata alle armi

Vicni era alle prese col caffè. Per fortuna il bar del Sandy’s era in funzione. Non di rado, si erano presentati in orario in locali dove non c’era neppure il fonico al loro arrivo.
“Ciao!”, si sentì gridare all’orecchio sinistro. Non c’erano musica di sottofondo né altri rumori, perciò quel tono era del tutto ingiustificato. Voltandosi in direzione del seccatore, inquadrò un ragazzetto all’apparenza poco più che ventenne, sorridente, rosso, lentigginoso, lo sguardo stralunato e una plateale faccia da schiaffi. Vicni sapeva che fino a un certo limite doveva essere condiscendente con gli addetti ai lavori. E uno che alle sette di sera imperversava in quel posto lugubre e semivuoto, o lo era, o non aveva un cazzo da fare nella vita. O entrambe le cose: una non escludeva l’altra.
“Piacere, Vicni”, gli disse, accompagnandosi con una debole stretta di mano.
“Vicky?”, domandò Vuligno, con gli occhi ancor più sgranati.
No. Vicni”, ripeté lei.
“Certo, Vicni. Io sono il direttore artistico del Sandy’s, faccio la programmazione delle serate, quest’anno sicuramente…”
“Hai partecipato anche alla campagna di crowdfunding”, lo interruppe con voce neutra. Sospettava che quello lì non avesse la benché minima idea di chi fossero 2 Dualità. La data, in effetti, era stata chiusa con la semplicità con cui un gruppo abbastanza noto si propone senza richiedere un compenso, pagato in anticipo dai fan tramite l’azionariato popolare. A lui, invece, si doveva la brillante pensata di un coheadlining con un gruppo della città. Infatti non mancò di ascriversene i meriti.
“Sì, sì…”, cincischiò, salvo poi risollevarsi grazie alla parlantina da teleimbonitore sotto anfetamine. “Stasera mi piaceva l’idea di abbinare colori diversi, sfumature diverse. Per questo ho chiamato gli Agnelli Tonnati, sicuramente li conoscerai, almeno di nome, sono tra i migliori nel pop d’autore, quello che si rifà alla famosa scuola genovese. Ancora non sono riusciti a farsi conoscere a livello nazionale, ma qui sono sicuramente dei campioni!”


“Tu invece non sei di qui”, lo interruppe ancora Vicni. Le sue chiose glaciali non avevano però il potere di smontare Vuligno, che proseguì con l’impeto di un fiume in piena.
“Si sente dall’accento, vero? Vengo dalle Marche, dall’entroterra marchigiano. Non ti sto nemmeno a dire il nome del paesino dove sono nato, non l’avrai mai sentito prima d’ora. Ma non sono il classico studente fuorisede come puoi pensare.”
E prese a descriverle le vicissitudini che l’avevano portato a trasferirsi a Genova. Avrebbe potuto riassumere all’osso dichiarando che aveva seguito una ragazza conosciuta in vacanza sul litorale marchigiano e, non volendosi lei giustamente andare a rinchiudere in un borgo sperduto tra Macerata e il deserto dei tartari, era stato lui a doversi spostare. Ma preferì prenderla larghissima, partendo dai suoi nonni, contadini illuminati che quand’era piccolo lo portavano tutta l’estate al mare, in una zona che a suo dire non aveva nulla da invidiare alla più celebrata riviera romagnola.
Nel frattempo, Guy aveva trasbordato la strumentazione sottopalco e stava parlottando col fonico. Vicni invocò dentro di sé l’imminente chiamata alle armi, cioè al soundcheck, ma nulla si muoveva e rimase in balia del logorroico promoter. Oltre alla stucchevole abitudine di fare le domande e darsi le risposte da solo, Vuligno assalì Vicni con una miriade di profferte. La benedizione sopraggiunse con l’entrata in scena degli Agnelli Tonnati, che alla spicciolata fecero la loro apparizione nella sala concerti. Vuligno si fiondò al loro capezzale, non prima d’aver ripetuto per la ventinovesima volta che se Vicni abbisognava di qualcosa, bastava chiedesse a lui.
“Così di primo acchito, il fonico non promette nulla di buono”, le sussurrò Guy, avvicinandola mentre il resto del Sandy’s era dedito a stendere ponti d’oro al passaggio degli Agnelli Tonnati.
“Tossico? Alcolizzato? Sessuofobico?”, domandò Vicni.
“La due e la tre, molto probabili. Il problema più grosso, però, è che non pare granché collaborativo.”
“Non ha voglia di fare un cazzo”, tradusse lei.
“Ho paura di sì. È il classico ligure sfavato, con addosso tanta di quella rassegnazione al destino che nulla può smuoverlo. Il ricciolino, che dice?”
“Troppe cose, e nessuna interessante. Appena i fenomeni avranno portato dentro la loro roba, noi potremmo iniziare il check, così poi ce ne andiamo a cena. Abbiamo due dei nostri fan che hanno scelto come ricompensa il pacchetto ‘cd autografato+ingresso omaggio a un concerto+cena preconcerto insieme alla band’.”
“Solo due? Sbaglio o ce n’erano di più?”, si stupì Guy, che demandava in massima parte le pubbliche relazioni telematiche alla collega.
“Sarebbero stati cinque. Ho provato a contattare gli altri tre. Una non ha risposto, un altro ha detto che non ce la fa per cena ma arriva direttamente per il concerto, il terzo non può venire perché è malato e ci fa gli auguri.”
“Ci fa gli auguri di ammalarci anche noi? Grazie tante! Io mi tocco… A che ora gli hai detto di venire a quei due della cena?”
“Le otto e mezzo… ma gli ho consigliato di prendersela comoda.”
“Mi sa che hai fatto bene, tesoruccio. Sì?”
Furono convocati a rapporto da Vuligno. Si radunarono più o meno in cerchio. Oltre al giovane direttore artistico, c’erano il fonico, che sprigionava l’entusiasmo di una larva dentro un sarcofago, e i quattro componenti degli Agnelli Tonnati. Sbrigate in fretta le presentazioni, Vuligno venne al dunque.
“Bene ragazzi, ci sarebbe da decidere chi suona per primo.”
“Mi sembrava che fosse stato deciso da un pezzo”, disse con la massima calma Vicni. Seguirono alcuni istanti di imbarazzato silenzio.
“Sì, cioè…”, riprese Vuligno, per una volta non sostenuto dalla sua irruenza retorica. “Gli Agnelli Tonnati pensavano che sarebbe meglio se loro suonano dopo di voi.”
Con abilità da medaglia olimpica nello sport nazionalpopolare dello scaricabarile, Vuligno aveva mollato la patata bollente in mano ad altri. Fu diabolicamente abile a sfilarsi dal resto del conciliabolo.
“E perché?”, si limitò a chiedere Guy.
Belìn, noi qui a Genova siamo gli animatori della festa, ogni concerto è un’esperienza mistica. E mitica. E il nostro pubblico è una parte importante della festa, non se la perde mai. Belandi, se suonate prima di noi, ci sarà tutto il nostro pubblico a vedervi. Invece, se apriamo noi, c’è il rischio che il nostro pubblico poi va via e non rimane quando tocca a voi suonare. Per questo abbiamo pensato questa cosa.”
Ezio Dell’Ultimo, in arte Ulvezio, era il cantante, frontman e leader degli Agnelli Tonnati. Per essere un animatore di feste, era sfavato quasi al livello del fonico. Portava gli occhiali, era tarchiato e aveva una fisionomia anonima, dozzinale, benché cercasse di atteggiarsi a bel tenebroso. Si era sfilato la giacca e la teneva sottobraccio, scoprendo così una spiegazzata camicia da viveur che, c’era da giurarci, sarebbe stata la sua divisa da concerto.
“Sai che non hai tutti i torti? Però se suoniamo prima di voi, c’è il rischio che tutta la gente inorridita scappi via e non rimanga nessuno quando tocca a voi suonare”, se la rise Guy, fingendo di voler sdrammatizzare. In realtà, preferiva parlare lui, sapendo che un’uscita fumantina di Vicni era dietro l’angolo e avrebbe solo aggravato la situazione.
“No, macché, siete bravissimi voi, lo sappiamo…”, balbettò Ulvezio, colto alla sprovvista dal basso profilo tenuto dal cantante del gruppo cui voleva far le scarpe. Quest’ultimo ne approfittò per colpire di rimessa e stroncare le flebili argomentazioni del rivale.
“Noi andiamo a fare il check”, concluse asciutto Guy, allontanandosi assieme a Vicni. Nessuno tentò di controbattere. Primo round vinto.
Come paventato, il soundcheck fu un martirio. Ogni richiesta al fonico pareva un’offesa personale, atta a ledere il suo indefesso fancazzismo. Impiegarono un’ora prima di lasciare il campo agli Agnelli Tonnati, che in quanto gruppo d’apertura erano di prassi gli ultimi a fare il soundcheck.
Il pop rock degli Agnelli Tonnati era contraddistinto, oltre che da sonorità leggere da canzonetta dell’estate, da una vena ironica nei testi, che erano sostanzialmente storie d’amore descritte in chiave adolescenziale e nostalgica, sempre appunto con quel pizzico di leggerezza che ricercava con insistenza il tormentone. Ricerca che proseguiva, dato che per il momento la band genovese non pareva avere in repertorio una sola canzone che potesse assurgere a singolo. Tutto era piatto, dai giri armonici ai ritornelli, fino alla voce di Ulvezio. Se ne sentivano a decine, di cantanti impostati in quel modo, col tono basso da crooner che si apriva, ma non più di tanto, durante i refrain.


“Guy, sono arrivati i ragazzi della cena”, annunciò Vicni, ricomparendo al suo fianco dopo un buon quarto d’ora.
“Arrivo!”, esclamò sollevato lui, ponendo fine all’ascolto delle prove degli Agnelli Tonnati. Già le canzoni erano tutt’altro che memorabili. Seguirli che facevano i suoni rasentava il masochismo.
Guy sorrise andando incontro ai due ragazzi, che si conoscevano tra loro. I loro nickname sulla piattaforma di crowdfunding erano “Il custode del faro” e “Il custode del faraone”. Si presentarono altresì come Ormezio e Urmezio. Erano entrambi gracili e macilenti, sebbene millantassero di lavorare come portuali. Amici e colleghi, nonché fan di 2 Dualità. Vicni, che era la regina della comunicazione social, lasciò che fosse Guy a tener banco.
“Belli! Fatevi dare un bacio!”, esordì sfoderando il suo fascino di aspirante rockstar con un’innata fiducia nei propri mezzi.
“Allora, si mangia?”, incalzò ancora, rivolto però a Vicni.
“Se ero la tua cuoca personale, mi ero licenziata prima ancora di mettere i coperti in tavola”, ribatté lei.
“Se eri la mia cuoca personale, ero ricoverato in ospedale con seri principi d’avvelenamento”, sparò lui per offrire una battuta a effetto ai nuovi arrivati.
Richiamati dall’odore del sugo di pomodoro, lo seguirono fino a una sottospecie di privè. La qualità del cibo era giusto di poco superiore a quella delle mense militari o degli ospedali. Guy tergiversò a lungo, muovendo la forchetta a vuoto sopra il piatto, e perché non molto stimolato da ciò che vi era dentro, e per chiacchierare con i fan.
Guy e Vicni se la svignarono non appena gli Agnelli Tonnati fecero capolino. Ormezio e Urmezio rimasero imbambolati, indecisi sul da farsi. Infine seguirono i musicisti nell’area fumatori. Mancava ancora tantissimo tempo prima dell’inizio della serata. Guy era di buonumore, merito anche dell’alcol ingollato durante il pasto.
“Sarà un concerto radicale distruttivo, ve lo promettiamo! Grazie di esserci, ragazzi, il vostro sostegno è la nostra linfa vitale!”
E li strinse a sé, ciascuno con un braccio. Il tutt’altro che corpulento Guy pareva un colosso in confronto a quegli scriccioli sedicenti scaricatori di porto.

Ljubo Ungherelli



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