mercoledì 23 gennaio 2013

Indie-Gente di Flavia // Django Unchained di Quentin Tarantino


Ci tendo a precisare fin da subito: chi scrive non è un’esperta di cinema, bensì solo una rude amante, quindi se cercate pareri più significativi e – probabilmente – con più senno andate, tipo, qui Irene ha fatto un’ottima recensione, mentre io sono troppo di parte, inesperta e tremendamente innamorata di Quentin, perciò mi pareva giusto suggerirvi un occhio più critico, più allenato e più attendibile del mio).
Django Unchained.
Basta vedere gli incassi di questi primi giorni per rendersi conto di quanto fosse atteso questo film, il primo dopo Bastardi senza gloria (vincitore dell’Oscar 2009 per il miglior attore non protagonista). L’attesa non era dovuta solo al suo importante predecessore, perché chiunque segua anche minimamente Tarantino sa che il suo genere di film preferito sono gli spaghetti western anni ’70.
E chi è il ‘padre’ degli spaghetti western se non il Django di Corbucci del ’66 (e io per sapere questa chicca non ringrazio Wikipedia, ma Dante il mio super-appassionato di western babbo)?
Va specificato che i due hanno in comune solo il titolo (e una piccola parte dello stesso, ben imbiancato, Franco Nero con tanto di dialogo sul nome: “la D è muta.” - “Lo so.”) quindi non aspettatevi mani spappolate e incontri decisivi di fronte alla tomba della moglie.
Aspettatevi Quentin: aspettatevi lo splatter.
                                                                                       
Sangue a fiumi. Proiettili e pistole sembrano non finire mai, come sempre i dialoghi sono brillanti e, come è giusto che sia, Tarantino interpreta un piccolo ruolo per qualche minuto (insomma, i suoi segni distintivi - oltre le mille citazioni di cui io sono riuscita a carpirne solo la minima parte - ci sono tutti).
Ma Quentin riuscirà a stupirvi. Perché alla fine che piaccia o meno Tarantino è questo: stupore.
Tarantino riesce a farti innamorare della mitologia tedesca (ci saranno un Sigfrido e una Brunilde, nel film) anche in un western ambientato nel sud dell’America, per dire.
Un occhio di riguardo va dato anche alla colonna sonora, perché è qualcosa di veramente eccezionale, le scelte meno pensabili (ebbene sì, Tarantino fa partire un paio di pezzoni rap. In un western. Ambientato nella seconda metà degli anni ’50 del 1800.) risultano del tutto credibili. Inoltre, Tarantino va a bussare alla porta di un maestro d’eccezione per l’unico pezzo cantato in italiano della colonna sonora: Morricone.
                                                                               
Il pezzo è cantato da Elisa e se ascoltato così su due piedi può non entusiasmare, negli interni di Candyland prende un senso tutto suo. Inoltre il finale (questo ve lo spoilero di brutto, non resisto) rende onore alla memoria storica: E lo chiamavano Trinità (si, lo so, sarebbe Trinity il titolo ma per me anche la colonna sonora prende il nome del film) accompagna l’uscita di scena (rigorosamente a cavallo) del nostro eroe.
Io, come ho ammesso dall’inizio, sono di parte, essendo una fan di Tarantino. E il film non posso dire non mi sia piaciuto, o non mi abbia esaltato (non lo nego: i film di Quentin mi fanno l’effetto di un bicchiere di latte+ facendomi venire una gran voglia di ultraviolenza). Ma, non me ne vogliano i critici cinematografici veri, secondo me tutto questo paragonare un film a quelli precedenti di un regista (in casi come questi, ovvero senza un altro film dello stesso genere da usare come metro) non ha un gran senso. Ho letto più volte in diversi siti assurdi paragoni ad esempio, con Pulp Fiction che è un po’ una bestemmia. Che siano cose completamente diverse va da sé.
Beh, per fortuna io me ne intendo poco di musica e affatto di cinema quindi posso dare solo un consiglio spassionato: guardatelo. È un gran bel film, lungo, ma che si lascia vedere senza grandi fatiche, a mio avviso. Ah, io l’avevo visto con qualche giorno di anticipo rispetto all’uscita nelle sale italiane, in inglese, sottotitolato. Ecco, se avete la possibilità è molto più bello in lingua originale, alcune battute sono cambiate perdendo un po’ di sentimento (e poi, non so se è una perversione mia, ma la voce di Cristoph Waltz mi affascina non poco!). Comunque per me, come sempre, Tarantino vince un ulteriore pezzo di cuore. Fortuna che c’è. 
Testo di Flavia
                         
                                              

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