Aggiornata su #spotify, nel player in questo post, la nuova #festiveten di #riservaindie con le novità della settimana, e non solo, selezionate dalla nostra redazione. Un flusso di musica costantemente rinnovato, senza barriere di alcun genere, sotto forma di playlist con gli artisti che sono passati fisicamente nella nostra trasmissione e quelli che vorremmo ospitare, ovviamente tutti rigorosamente del panorama indie italiano. In questa #festiveten ci sono le nuove entrate di #valeriacaliandro #emotu #helenburns #boban #monalisablackout #crp #ridethenoise #nuovoordinemondiale #dinoistessiealtrimondi #phomea #nowhere #iops #elso #lucagiordania #flatfifty #marsera #leossa #alessandrofiore #theelephantman #fatherandson. Seguiteci sui nostri social facebook, twitter, instagram, e piacete (e magari condividete) la nostra #festiveten su spotify. Nessuna tessera e nessun denaro è richiesto per partecipare ed ascoltare #festiveten. Buon ascolto ed ecco la playlist completa.
Prossimi ospiti a Riserva Indie
mercoledì 2 aprile 2025
martedì 1 aprile 2025
LA COSMOGONIA DEI SERPENTI E' UN VELENO CHE CURA - RECENSIONE A CURA DI LUCA STRA PER #DIAMANTINASCOSTI
Milano è, da sempre, una fabbrica di idee che poi si trasformano in trend e cambiano radicalmente il paesaggio di tutta la Penisola. Questo assunto si adatta bene ai Serpenti, un progetto musicale nato nel 2007, quando il bassista Luca Serpenti decise di dare vita ad un nuovo sodalizio artistico con la talentuosa cantante Claudia Franchini, già sua collega di band negli Ultraviolet. Il nuovo album della band milanese è “Titani”, uscito lo scorso 31 gennaio 2025. Già sin dal titolo del disco, nonché dal primo estratto “La tua Medea”, si coglie l’importanza dei miti antichi nel disegno musicale dei Serpenti. Nelle loro canzoni trovano spazio, infatti, oltre a Medea, anche Medusa, il Minotauro, Ulisse e molti altri. Si tratta però di miti “destrutturati”, per usare la definizione che ne ha dato la vocalist Claudia nell’intervista che ci ha concesso. Il Minotauro, ad esempio, visto tradizionalmente come mostro crudele e simbolo del male, forse non è così spregevole come viene raffigurato. E poi nessuno è monodimensionale a tal punto da essere interamente buono o cattivo.
Claudia ci ha detto anche di come Odisseo, con la sua epica del viaggio che supera il mondo conosciuto, sia una delle tematiche al centro del lavoro del gruppo. Non avere limiti, non essere incasellati e confinati venendo etichettati come espressione di un solo genere è un po’ l’obiettivo musicale primario del duo. Nei loro brani coesistono e vengono mescolati il rock con la dance, l’elettronica. L’orecchiabilità dei tormentoni con testi profondi da studiare a casa per capirli meglio. I suoni che caratterizzano il duo milanese sono saturi, brillanti come luci stroboscopiche e, allo stesso tempo, colmi di sottotesti, di significati comprensibili solo dopo ripetuti ascolti.
Come hanno scritto loro stessi nella loro biografia su Rockit, il desiderio dei Serpenti è, difatti, quello di coinvolgere sia un pubblico legato al clubbing, al dancefloor, che quelli che frequentano invece i live più rigorosamente rock. Dal punto di vista sonoro “Titani” è un album dressed to kill, dalla title track piazzata in apertura, alla chitarra pulita di Kora – altro mito, quello di Persefone – passando per Cassandra, che vanta il featuring di Malika Ayane. Dal punto di vista testuale la protagonista va giù di pillole senza aver niente da perdere, come una sorellina minore della protagonista del brano “Il liberismo ha i giorni contati” di altri milanesi importanti, i Baustelle.
La chiusura di “Titani” è affidata a “Icaro”, colui che sfidò il sole per sfidare il mondo. Un volo follemente spavaldo, grandiosamente ribelle. Tutti facciamo il tifo per il figlio di Dedalo e le sue “ali di cera”, per citare i Litfiba. Al termine dell’ascolto di “Titani” viene da chiedersi: ma se la vita è una trappola c’è un modo di sfuggire? Probabilmente la risposta è dentro i miti che ognuno tiene dentro di sé.
"TOMMASO FU L'INCONTRO CENTRALE DELLA MIA ADOLESCENZA, COME BRIAN ENO PER GLI U2" // LIVORNO FESTEGGIA 20 ANNI DI "OVOSODO" - TESTO DI MAURIZIO
Non so quante volte ho visto "Ovosodo" in questi vent'anni. Credo che dopo "Il sorpasso" del maestro Dino Risi, sia la pellicola che più ho amato e riguardato. Se la coppia Gassman - Trintignant racconta quell'Italia dal sorriso malinconico che finalmente si riprende dalla guerra, il film di Paolo Virzì è un acquerello di neorelismo fine anni 90 in una società ancora fortemente ancorata ai rapporti umani e non ancora contaminata dal delirio di internet. La vita e i sogni di Piero, splendidamente interpretato da Edoardo Gabbriellini, non sono molto distanti da quelli di tanti giovani dell'epoca. "Sogni grandiosi" che finiscono per scontrarsi con una realtà che per qualcuno più fortunato può voler dire America, ma per la grande massa l'ambizione di un posto "sicuro" in fabbrica. Una società, quella di "Ovosodo", dove ancora era possibile mescolare persone di estrazione diversa, e dove le distanze tra operaio e padrone erano più nella forma che nella sostanza. Una società in cui il figlio del padrone e il figlio dell'operaio leggevano gli stessi libri e non, come oggi, le stesse bacheche. Virzì mi ha insegnato quanta poesia e quanto orgoglio possano esserci in una vita "normale" tra famiglia, colleghi di lavoro e amici. Forse regalare otto ore a una fabbrica per "comprarsi" la possibilità di vivere era infinitamente meglio che restare connessi tutto il giorno cercando, pateticamente, di commentare "le vite degli altri".
sabato 29 marzo 2025
GLI HELEN BURNS SANNO BALLARE SOTTO LA PIOGGIA - RECENSIONE A CURA DI LUCA STRA #DIAMANTINASCOSTI
Se si fosse costretti a scegliere una sola parola per definire i catanesi Helen Burns, quella parola sarebbe pioggia. Pioggia caleiodoscopio delle emozioni più disparate, che la band - formata da Domenico alla voce, Sebastiano alla chitarra, Edoardo al basso e Salvo alla batteria – suscita nell’ascoltatore, dalla gioia per la fine di una lunga siccità al lato cupo dell’io che emerge ogni volta che il cielo si riempie di gonfie nuvole nere. Di questa materia sono fatte le canzoni degli Helen Burns, band catanese con il post punk e certo rock di matrice inglese nel sangue. Il loro esordio discografico, “The Rain Caller”, pubblicato a fine 2024, è un album saturo di colori nascosti dalla pioggia. Le sonorità non si riallacciano di certo alla musica italiana e i brani procedono piuttosto per suggestioni, flash musicali che arrivano, nella conclusiva “Raincaller”, ad abbracciare persino gli Underworld di Born Slippy. Il cantato dell’apertura “Always ends well” riporta alla mente i Joy Division, band seminale che emerge come tratto distintivo di tutto l’album.
Ma non mancano influenze stoner e alternative anche da Oltreoceano. Ciò che rende speciale una band così aliena rispetto al panorama nazionale è il senso di famiglia che si respira tra i membri del gruppo. L’album è infatti stato composto in un casolare del catanese, in un ambiente ideale nel suo isolamento per partorire The Rain Caller. Tra i pezzi dell’album che più colpiscono al primo impatto si colloca sicuramente “Combat girl”, con il cantato ipnotico e rabbioso di Domenico. Altro pezzo forte è “Mina” con quegli effetti di chitarra che creano come dei loop mentali nell’ascoltatore. Complessivamente quel che più colpisce di questo primo lavoro è la sicurezza nei propri mezzi che la band mostra. Attendiamo un seguito, convinti che, con una partenza così, non si possa che crescere.
Recensione a cura di Luca Stra
lunedì 24 marzo 2025
LEI CANNIBALE, OVVERO GUARIRE IN PUBBLICO CON LA MUSICOTERAPIA - #DIAMANTINASCOSTI A CURA DI LUCA STRA
Per una cantautrice come Giorgia Giampaoli, 31 anni, in arte LeiCannibale, marchigiana di Montecosaro, la musica è liberazione, ovvero quel magico mezzo tramite cui diventa possibile esprimere le proprie emozioni in modo comprensibile, quasi visibile al mondo, permettendo, allo stesso tempo, a chi la crea di scrollarsi di dosso scorie, come ad esempio legami divenuti tossici e, al tempo stesso, sentirsi rinascere dentro il calore buono che illumina una rinnovata fiducia nel futuro.
Ed è questo percorso di smarrimento e rinascita che emerge dai due singoli finora pubblicati dalla cantautrice nel 2024, ovvero “Ian Curtis” e “Cardigan Taiwan”. In realtà tali pezzi costituiscono solo una minima parte dei brani che Giorgia ha scritto per anni innanzitutto per se stessa, concependoli come estremamente intimi e, quindi, senza alcun desiderio di renderli pubblici. Ad incoraggiarla ad uscire allo scoperto raccontandosi alla gente è stato il conterraneo Gaetano Marinelli, attivo con il proprio progetto Dezebra e molto prolifico anche come autore. Marinelli ha aiutato LeiCannibale a superare un momento di scoramento creativo mettendosi a disposizione come coautore ed aiutandola a muovere i suoi primi passi nell’intricato mondo discografico attuale.
Passando ad un’analisi più approfondita dei due pezzi pubblicati, “Ian Curtis”, come ci ha spiegato la cantautrice stessa in un’intervista concessa a Riserva Indie, fotografa l’attimo in cui matura la convinzione che la propria relazione malata con il partner è diventata una prigione da cui si può evadere solo emulando uno dei propri idoli, Ian Curtis dei Joy Division. Quell’attrazione per la follia del gesto estremo che molti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. Tra i versi più taglienti del pezzo restano impressi, fin dai primi ascolti: “C'è lo stesso rumore di quando quel giorno, hai perso le staffe, io volevo morire” e l’emblematico refrain “Non avrò bisogno di amarti se sarò Ian Curtis”. Dal punto di vista musicale emergono riferimenti perlopiù identificabili nel rock britannico dei The Cure, dei citati Joy Division e nell’alt pop. In realtà, tuttavia, etichettare il sound di LeiCannibale è una scelta totalmente soggettiva e parziale perché la cantautrice ha già una personalità ben definita quanto eclettica, che abbatte ogni barriera musicale per trovare una strada tutta sua.
Il secondo e, al momento, ultimo singolo di LeiCannibale, “Cardigan Taiwan”, all’opposto del primo ha il proprio perno in una melodia più vicina al britpop e regala, musicalmente, un lato più quieto dell’artista marchigiana mettendo anche in risalto le sue doti vocali su una base pop decisamente più tradizionale. Tale lato solare ha però come contrappeso un testo pieno di spunti di vita, una vita che rifiuta ogni compromesso di comodo per essere vissuta davvero. “Vorrei che il mondo sparisse” esprime bene l’infischiarsene di Giorgia Giampaoli delle convenzioni e costrizioni.
L’artista marchigiana che, dal punto di vista discografico, fa ora parte della Net Label Mitridate Records, ed ha un accordo di distribuzione con Virgin Universal, ci ha confidato di essere al lavoro su nuovi singoli e, a medio termine, su un vero e proprio album. La aspettiamo nell’attesa di scoprire molte altre sfaccettature che compongono una parte della personalità di Giorgia/LeiCannibale.
venerdì 14 marzo 2025
#GLORYBOX - "LINEA GIALLA" DEGLI UNADASOLA - RECENSIONE A CURA DI IRIS CONTROLUCE
Cos’è la linea gialla? Per ognuno di noi può rappresentare qualcosa di diverso: per qualcuno si tratta di una delle linee della metropolitana meneghina, per altri è la delimitazione di una zona di sicurezza con accesso riservato, per chi ha un’anima integra e granitica addirittura può quasi non esistere del tutto… ma naturalmente non ci riferiamo a nessuna di queste persone. Cominciamo innanzitutto col dire che per il duo “Unadasola”, “Lineagialla” è il titolo dell’album d’esordio, disponibile su tutte le piattaforme digitali a partire dal 17 gennaio 2025, distribuzione “La Crème Records”. Bisognerà soffermarsi sul motivo che li ha portati a propendere proprio per questo titolo e interrogarsi sul significato simbolico del termine che è stato scelto, ovvero una sorta di linea di demarcazione tra quello che si conosce e l’ignoto, una barriera immaginaria in grado di avere un effetto rilevante sull’esistenza di tutti noi, separando ciò che eravamo prima di attraversarla e ciò che diventeremo successivamente. Quello che traspare sin dal primo ascolto del lavoro degli Unadasola, ovvero Arianna Lorenzi e Francesco Marchetti, è sicuramente la naturalezza con la quale vengono affrontati temi molto dolorosi e toccanti (come la perdita di una persona cara) o delicati e disarmanti (come le motivazioni che spingono a compiere l’ultima scelta possibile), intimi e complessi (come il disturbo del linguaggio, con conseguente isolamento e difficoltà di comunicazione). Se da una parte è ovviamente molto complicato capire fino in fondo cosa si prova nelle situazioni appena descritte, dall’altra quello che riesce a coinvolgere chi ascolta è proprio la spontaneità con la quale il duo toscano si abbandona al racconto di sé: le canzoni finiscono per diventare delle vere e proprie istantanee che invitano ad uno sguardo che parte necessariamente dall’interno. La scrittura viene vissuta come una sorta di catarsi attraverso la quale liberarsi dall’angoscia e dall’inquietudine, trasformando via via la disperazione in comprensione, per riuscire ad accettare situazioni che sono al di fuori del nostro controllo. Insieme alle melodie, orecchiabili e ricercate, i testi sono parte integrante della bellezza e della profondità dell’album: “Lei continua a stare ferma dietro quella linea, la linea di un confine che vorrebbe oltrepassare. Guarda il confine è stato varcato. E’ riuscita a volare lontano e la rincontreremo solo oltre il prossimo confine.” (Confine) “È la mancanza che diventa una stanza vuota nella mia testa, dove vado a cercarti, mi adatterò alle città sommerse, anche quando sono spente e abbandonate. Tutto ciò che mi rimane è dentro conchiglie nascoste”. (Città sommerse).
I brani più struggenti dell’intero disco si intitolano “A” in cui si affronta il tema della difficoltà del linguaggio (“Scrivevo sui quaderni quello che non riuscivo a dire, lungo corridoi coi pavimenti lucidi ad aspettare di guarire da problemi troppo stupidi come parlare, le frasi nella testa erano un po’rotte ancora prima di essere dette. E con sicurezza pronuncia il mio nome, senza paura di sentirsi dire: scusa potresti ripetere”) e “Mamma” dove la perdita viene affrontata con il coraggio di chi ha scelto di non sfuggire al dolore, bensì di viverlo, comprenderlo e attraversarlo, nel tentativo di riuscire ad accoglierlo. Nel testo, scorgiamo rimandi alla malinconia di “Lontano lontano “ di Luigi Tenco : “Vivo questa bugia per non trovare i tuoi occhi nelle persone che amerò. Ti cercherò fra tutte quelle vite che non hai vissuto e quando ti ritroverò, mi potrai salvare”. A ricamare sulla poesia delle liriche, lo splendido lavoro della produzione artistica curata da Andrea Pachetti ed Emma Nolde. Le scelte di arrangiamento fanno da perfetta cornice alle atmosfere eteree e rarefatte, anche per mezzo di virate di pop elettronico contemporaneo che si alternano a straordinari inserti di violoncello e chitarre acustiche. Le radici musicali del duo, impreziosite dai piacevoli intrecci delle linee di voce dei due cantanti, trovano una dimora ideale nel buon cantautorato moderno (come per esempio Amor Fou, Tiromancino, Scisma, Gazzè). Consigliamo di soffermarsi ad ascoltare il disco degli Unadasola con la dedizione e l’attenzione che merita una promettente proposta musicale come la loro, lasciandosi trasportare dalla profondità di racconti fortemente personali, sentiti e poetici.
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